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L’Armenia cede a Putin e rinuncia all’Europa

Creato il 28 novembre 2013 da Bloglobal @bloglobal_opi

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di Giuseppe Consiglio

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La spinta dell’Unione Europea verso Est, che ha trovato un significativo slancio nell’ultimo lustro nell’ambito della più ampia politica di vicinato (PEV), non poteva lasciare indifferente la Russia che ha prontamente riorganizzato le proprie strategie – certamente anche nell’ottica della progressiva modernizzazione – per consolidare la propria influenza in quella che, almeno fino al crollo del blocco sovietico, veniva riconosciuta come un’area geopolitica di sua esclusiva pertinenza. L’Armenia, alla pari degli altri piccoli Paesi caucasici e dell’Ucraina (negli ultimi giorni salita alle cronache a causa della bocciatura della proposta di legge per la scarcerazione il leader dell’opposizione Yulia Timoshenko, bloccando dunque il processo di avvicinamento a Bruxelles), rappresenta infatti un’ulteriore pedina della partita che Mosca e Bruxelles stanno giocando per attrarre nelle rispettive aree di influenza le ex Repubbliche sovietiche. Dopo mesi di fitti negoziati che sembrava dovessero culminare con la firma dell’Accordo di Associazione e Stabilizzazione in occasione del Summit di Vilnius sul Partenariato Orientale in programma il 28 e 29 novembre, corroborati peraltro dalle dichiarazioni del governo armeno sull’opportunità e l’importanza di creare un’area di libero scambio con l’UE, Yerevan ha operato un repentino quanto inaspettato cambio di direzione che ha colto di sorpresa Bruxelles, vanificando mesi di trattative e facendo sfumare un obiettivo almeno in apparenza acquisito. L’Armenia, ha scelto di privilegiare un avvicinamento a Mosca ed è proprio in quest’ottica che vanno lette le dichiarazioni del Presidente armeno Serzh Sargsyan, che ha preannunciato la prossima adesione all’Unione Doganale. L’entrata nella Deep and Comprehensive Free Trade Area (DCFTA) dell’Unione europea verrebbe a questo punto interdetta all’Armenia in maniera definitiva.

Quali siano le ragioni che abbiano spinto il Presidente armeno a lasciar naufragare un accordo oramai in procinto di esser siglato possono essere ricercate nell’importanza che l’Armenia riveste come tassello fondamentale per la ridefinizione delle strategie geopolitiche non solo con riferimento ai Paesi occidentali ma anche e soprattutto al Caucaso Meridionale e alla Turchia e, quindi, al Medio Oriente e all’Iran (il Paese è tra l’altro membro del patto di difesa Collective Security Treaty Organization, CSTO). Le pressioni esercitate da Mosca per non dover rinunciare a Yerevan sono state dettate dalla necessità di ottenere una “vittoria” quando sembrava ormai certa la firma dell’ASA da parte dell’Ucraina, così come della Georgia e della Moldavia. Un successo simbolico insomma, acquisito contro un “nemico” che erode inesorabilmente quello che fu il territorio sovietico fagocitando una dopo l’altra le repubbliche caucasiche. Le argomentazioni di Putin devono comunque esser state molto convincenti a fronte di un’Unione Doganale che non può dirsi ancora del tutto rodata; e non è da escludere che sia entrato in gioco anche il ruolo che la Russia sta avendo nel conflitto tra Armenia e Azerbaijian relativamente al Nagorno Karabakh. È della scorsa estate, infatti, la notizia di un accordo di fornitura militare tra Mosca e Baku, che comprenderebbe anche armi offensive e che non può lasciare indifferente il Paese di Sargsyan se si considera che il bilancio per la Difesa dell’Azerbaijan è cresciuto da 175 milioni dollari nel 2004 a 3,7 miliardi nel 2013. La scelta di congelare il processo di integrazione potrebbe essere stata la moneta di scambio per un riorientamento di Mosca.

La Deep and Comprehensive Free Trade Area (DCFTA) [1]

Ma cos’é (o meglio cos’era) la EU-Armenia Deep and Comprehensive Free Trade Area? La DCFTA doveva essere l’ultimo step prima dell’Accordo di Associazione tra UE ed Armenia. Un ulteriore sviluppo delle relazioni economiche tra i due partner che si inquadrava nell’ambito del partenariato orientale e dei negoziati per la sigla dell’Accordo di Associazione avviati nel luglio del 2010. La DCFTA, destinata a diventare parte integrante dell’accordo, mirava a rafforzare gli scambi commerciali e gli investimenti nonché l’integrazione dell’economia armena con quella comunitaria. In conformità con le regole afferenti alla realizzazione di un zona di libero scambio dei trattati WTO, la DCFTA prevedeva la progressiva rimozione dei dazi doganali sulle merci nonché una serie di accordi riguardanti i diritti di proprietà intellettuale, le regole di origine delle merci fino ad una possibile estensione dei confini dell’unione doganale comunitaria. Stabiliva ancora indicazioni di principio connesse alla possibilità di realizzare uno sviluppo economico sostenibile e rispettoso degli standard ambientali europei ed un impianto normativo che avrebbe garantito una maggiore conformità se non una vera e propria armonizzazione alle strutture legislative degli Stati membri. Scegliendo Mosca, Serzh Sargsyan ha perso l’occasione per avviare un’importante modernizzazione del Paese.

Uno studio sulla sostenibilità dell’accordo commerciale e sulle necessarie riforme accessorie che l’Armenia avrebbe dovuto adottare, mostrava come entrambe le parti avrebbero avuto dei vantaggi dalla stipula dell’accordo, garantendo all’ex Repubblica sovietica una crescita stimata del 15.2% delle esportazioni e dell’8.2% delle importazioni, assicurando una disavanzo in favore dell’Armenia nella bilancia commerciale con una crescita del PIL pari al 2.3% annuo. Ma questi non sono gli unici vantaggi a cui l’Armenia ha rinunciato: l’attuazione della DCFTA avrebbe comportato anche un sostegno finanziario da parte dell’UE per la realizzazione delle imprescindibili riforme sopra descritte nonché un importante trasferimento di konw-how, processo questo già intrapreso nella fase precedente all’avvio dei negoziati nel quadro di uno speciale programma di assistenza predisposto dall’Unione. Contemplata nell’accordo anche l’assistenza finanziaria e quella bilaterale che i singoli stati membri avrebbero messo in campo una volta siglato il trattato.

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L’Unione Doganale

Costruita sul modello dell’Unione Europea, l’Unione Doganale tra Russia–Bielorussia–Kazakistan si inquadra nella strategia russa di riorganizzazione dello spazio euroasiatico dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Questa prima embrionale forma di organizzazione sovranazionale sta presto evolvendosi in qualcosa che trascende la realizzazione di un mero accordo che preveda una tariffa comune per l’ingresso delle merci all’interno di una specifico mercato, assumendo una struttura che ricorda in maniera più nitida proprio l’Unione Europea. Ed è in tal senso che va letta la creazione dal 2012 di uno Spazio economico comune, che garantisca la libera circolazione di cittadini, servizi, merci e capitali. La Commissione Economica Euroasiatica, organo preposto al funzionamento dell’Unione Doganale ha dunque creato una zona di libero scambio e rimosso le barriere e i controlli alle frontiere fra i tre Stati membri. Oltre ad aver predisposto un regime tariffario comune, regole comuni in materia di origine e un sistema di controllo alle frontiere esterne dell’unione condiviso, gli Stati membri hanno anche aderito alla Convenzione internazionale sul sistema armonizzato (SA) di designazione e di codificazione delle merci. Quello dello spazio economico comune, è solo il preludio che porterà alla nascita dell’Unione Economica che dovrebbe entrare in vigore nel 2015. Definita dalla BERS, la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, il progetto di integrazione economica di maggior successo nell’ex territorio sovietico, l’Unione Doganale Bielorussia-Kazakhstan-Russia ha determinato una crescita annuale nel commercio di beni manufatti dell’area dal 18% al momento della sua istituzione, tre anni fa, all’attuale 23%.

Le opportunità per le imprese italiane

La germinazione di impianti sovranazionali votati alla realizzazione di una sintesi tra le regole che informano il mercato di una data area geopolitica, come le unioni doganali e le zone di libero scambio, rappresenta certamente un’opportunità per gli attori che intrattengono delle relazioni di natura commerciale con i Paesi membri di un determinato accordo.

Quali sono dunque le opportunità per le imprese italiane nel contesto appena analizzato? La scelta di prediligere Mosca rispetto a Bruxelles che implicazioni avrà sul volume degli scambi tra Italia e Armenia?

Le nostre imprese appaiano ancora non del tutto preparate a raccogliere la nuova sfida. L’interscambio commerciale tra l’Italia e l’Unione Doganale nel 2012 si è attestato a circa 34,5 miliardi di euro, in crescita del 10% rispetto al 2011 e del 70% sul 2005. La quota italiana nell’interscambio complessivo dell’area però, rappresenta appena il 3,5%, una performance non esaltante soprattutto se raffrontata a quella della Germania che invece supera il 9%, ma cha al contempo ci colloca al secondo posto nelle esportazioni. Nei prossimi due anni è però prevista una forte impennata che dovrebbe portare il volume dell’interscambio a sfondare, entro il 2015, i 40 miliardi di euro [2], con una crescita del 7,5% l’anno. I Paesi dell’Unione Doganale acquistano il 5,5% del totale del comparto “moda” esportato dall’Italia, circa il 4,4% dei macchinari meccanici, il 4,3% dei manufatti vari, rappresentati in larga misura da mobili e prodotti per l’arredamento, dal 3,7% degli apparecchi elettrici.

Che l’Italia abbia un elevato livello di interscambio in particolar modo con Russia e Kazakhistan, è dimostrato anche dai dati disaggregati: essa è infatti il primo partner commerciale europeo del Kazakhistan nonché il primo importatore al mondo; con la Russia, nel 2011 il volume dell’interscambio ha superato i 27 miliardi. Le imprese italiane già operanti nella Federazione Russa potranno esportare nei tre Paesi dell’Unione Doganale con il medesimo certificato di conformità, intraprendere nuove attività commerciali negli altri due paesi dell’Unione, e trovare un melieu sostanzialmente analogo a quello presente appunto in Russia.

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L’Armenia è un importante partner commerciale per l’Italia. Nel 2011 il valore dei beni esportate nell’ex Repubblica sovietica ammontava a 102,3 milioni di euro a fronte di un import il cui valore si è attestato ai 14,6 milioni di euro, garantendo un saldo positivo per l’Italia nella bilancia commerciale, e collocandola al contempo al quarto posto come partner commerciale europeo dopo Germania, Bulgaria e Belgio e al decimo posto in assoluto. Ex polo tecnologico dell’Unione Sovietica, l’Armenia importa dall’Italia principalmente macchinari e attrezzature, metalli non-preziosi e derivati, prodotti tessili e prodotti chimici; mentre la stragrande maggioranza delle importazioni riguarda i prodotti tessili, seguiti a distanza dai prodotti plastici.

In ragione di quanto appena descritto, appare evidente che l’Italia ha degli importanti interessi commerciali da difendere, tanto con l’Armenia quanto con i Paesi dell’Unione Doganale stessa. Certo l’adesione di Yerevan a quest’ultima, potrebbe garantire uno sviluppo delle relazioni commerciali tra i Paesi che la compongono con il nuovo innesto armeno e l’Italia che dal canto suo potrà sfruttare le opportunità connesse alle buone quote di mercato già detenute nell’area.

Le imprese italiane potrebbero perfino avvantaggiarsi dal fatto che Yerevan abbia preferito Mosca all’UE: se nel momento in cui entrerà in vigore l’Unione economica eurasiatica nel 2015 Russia, Bielorussia e Kazakistan non saranno in grado (come appare abbastanza plausibile) di portare via all’Italia quote di mercato armeno, essa potrà mantenere e sviluppare le proprie posizioni restando al riparo da potenziali concorrenti europei che avrebbero potuto approfittare dell’accordo di associazione tra Armenia ed UE. Gli attori istituzionali giocheranno un ruolo fondamentale nel facilitare la penetrazione e il consolidamento nel mercato eurasiatico delle imprese italiane.

* Giuseppe Consiglio è Dottore in Internazionalizzazione delle Relazioni Commerciali (Università di Catania)

[1] EU-Armenia Deep and Comprehensive Free Trade Area European Commission – MEMO/13/728   26/07/2013.

[2] Il dato emerge dallo studio elaborato dal servizio Studi e Ricerche di Intesa San paolo in collaborazione con l’Associazione Conoscere Eurasia.

[3] In ragione principalmente della natura delle categorie merceologiche che interessano l’import – export tra Italia e Armenia.

Photo credits: SACE; Reuters

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