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L’arresto di Mladic: la lunga strada della Serbia verso l’UE

Creato il 28 maggio 2011 da Bloglobal @bloglobal_opi

di Maria Serra L’arresto di Mladic: la lunga strada della Serbia verso l’UE Dopo 16 anni di latitanza, è stato arrestato Ratko Mladic, ex capo militare dei serbi di Bosnia e incriminato per genocidio e crimini contro l’umanità. Trionfante il Presidente serbo, Boris Tadic, che con l’arresto del super-ricercato può mettere fine ad una delle pagine più difficili della storia recente dell’ex-Jugoslavia, dei Balcani e dell’Europa intera. Esultante anche il governo di Mirko Cvetkovic, secondo cui il successo dell’operazione ha accresciuto la credibilità morale della Serbia e ha abbattuto, perciò, l’ultimo ostacolo per il processo di adesione all’Unione Europea. Non a caso, l’arresto avviene nel giorno in cui è in visita a Belgrado l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per la Politica Estera e di Difesa comune europea, Catherine Ashton, e a pochi giorni dalla presentazione in sede ONU di un rapporto (negativo) del Tribunale Internazionale per l’ex Jugoslavia sulla collaborazione serba. Tuttavia, non sarà l’arresto del “Boia di Srebrenica” a mitigare la considerazione che le organizzazioni occidentali hanno della Serbia e ad influire sul successo dei negoziati con le istituzioni di Bruxelles. Belgrado – nonostante faccia parte del Consiglio d’Europa dal 2003, nonostante aderisca al programma di Partenariato per la Pace (promosso dalla NATO per assistere i processi di riforma in materia di difesa dei Paesi sorti dalla dissoluzione del blocco sovietico) e nonostante abbia concluso nel 2008 l’Accordo di Associazione e Stabilizzazione previsto per una futura integrazione dei Paesi dei Balcani Occidentali (anche se è entrato in vigore nel dicembre 2009 dopo l’abolizione dei visti per i cittadini serbi ed è attualmente in ratifica dai Paesi membri) – ha ancora in sospeso numerose questioni di cui dovrà dare prova di maturità, a cominciare dalle sue relazioni esterne. Alla fine del 2010, pur continuando a non riconoscerne l’indipendenza, la Serbia ha accettato di aprire i negoziati con il Kosovo e ha avviato i primi colloqui nei primi giorni di marzo di fronte ad alcuni rappresentanti dell’Unione Europea. Tuttavia, Tadic ha già avvisato la Polonia – che, tra l’altro, si appresta a detenere per la prima volta il semestre di presidenza dell’UE – che non presenzierà al Summit dei Paesi dell’Europa Centrale e Sudorientale che si svolgerà nei prossimi giorni a Varsavia, poiché tra gli invitati risulta la neo-Presidentessa kosovara, Atifete Jahjaga, e che si presenterà come Capo di Stato, alla pari, dunque, degli altri colleghi. Inoltre, come già fatto presente dal Parlamento europeo nel corso della seduta del 19 gennaio, la Serbia avrà il compito di facilitare la cooperazione tra la missione di polizia dell’Unione Europea in Kosovo, EULEX, e serbi del Kosovo che risiedono nella parte settentrionale della Repubblica che aspira all’indipendenza; non di meno, Bruxelles, ha esortato Belgrado a smantellare le strutture parallele serbe in Kosovo, con riferimento alla regione di Mitrovica su cui Pristina non ha il controllo, poiché minano il processo di decentramento ed impediscono la piena integrazione della comunità serba nelle istituzioni kosovare. L’Unione Europea sta molto premendo per una rapida riconciliazione dei rapporti fra i due Paesi, innanzitutto per le potenzialità che una piena integrazione dei Balcani occidentali può offrire dal punto di vista economico e strategico: il Corridoio 10 Lubiana-Belgrado-Nis-Sofia e Nis-Salonicco, più rapido del 4 che attraversa Ungheria e Romania e del Corridoio 8 che mette in collegamento l’Albania con la Romania passando attraverso il Kosovo, è la strada più breve tra l’Europa e il Medio Oriente. A ciò bisogna aggiungere l’importanza rivestita dal Danubio che collega il Reno e il Meno con il Mar Nero e dalla valle del fiume Morava che mette in collegamento il Nord europeo con la Grecia e, dunque, con il Mediterraneo. Non bisogna dimenticare nemmeno l’importanza che la Serbia potrebbe assumere nei piani di sicurezza energetica e l’eventuale creazione di corridoi energetici tra Est Europa e Russia. E in relazione a questi rapporti con la Russia, l’integrazione della Serbia comporterebbe anche importanti effetti politici. Ne è un esempio la NATO, che sarebbe disposta ad accogliere la Serbia nel proprio sistema pur di strapparla all’influenza del Cremlino. Tuttavia, per quanto Belgrado si dimostri dialogante, sembra ancora non intenzionata a rompere il cordone ombelicale con Mosca, né la Russia pare essere disposta a rinunciare al rapporto con un Paese che la proietta direttamente verso l’Europa Occidentale e il Mediterraneo. Tra l’altro il governo deve fare i conti con una parte dell’opinione pubblica ultranazionalista, che ha parlato dell’arresto di Mladic come colpo gravissimo agli interessi nazionali della Serbia e che ha accusato Tadic di “tradimento”. Un atteggiamento già visto nel 2008 in occasione dell’altro arresto eccellente di Karadzic. A ciò va aggiunto il fatto che altre larghe parti del Paesi ritengono che il Tribunale dell’Aja sia tutt’altro che imparziale. Tutto ciò potrebbe quindi costituire una pericolosa spina nel fianco del Presidente nelle prossime consultazioni elettorali. Il Parlamento Europeo ha in secondo luogo osservato che la corruzione è ancora diffusa nel Paese, evidenziando in particolare il problema dei traffici illegali (provenienti soprattutto dal Sud-Est asiatico), i cui proventi vengono utilizzati per alimentare le reti criminali. Il Parlamento ha richiamato anche l’attenzione sul fatto che i funzionari detengono più di un ufficio, il che comporta situazioni di pericolosi conflitti di interessi e altri casi di corruzione.  Oltre alle grandi riforme interne necessarie e all’adeguamento all’aquis comunitario, il Parlamento europeo ha sottolineato la necessità di migliorare l’accesso all’istruzione nella loro lingua originaria, così come all’informazione, per le minoranze bosniache, bulgare e rumene. A preoccupare è, soprattutto, la situazione dei rom (circa 400mila), che vivono in condizioni di estrema povertà: solo il 5% di essi ha un lavoro a tempo determinato. Discorso analogo può esser fatto anche per la libertà religiosa che, pur non essendo un criterio stringente per l’ingresso nell’UE, è certamente un parametro fondamentale per il rispetto dei diritti umani. Prima di tirare le conclusioni sul futuro europeo della Serbia bisognerà dunque attendere il 10 ottobre prossimo, quando la Commissione europea si pronuncerà sulla richiesta di candidatura ufficiale (avanzata per la prima volta, peraltro, nel 2009). Il Commissario per l’Allargamento, Stefan Fule, ha già fatto intendere che la strada dell’ex Paese jugoslavo è ancora lunga. Del resto manca ancora un criminale latitante da catturare: Goran Hadzic, serbo di Croazia, persecutore dei croati in Slavonia durante la guerra dei Balcani. E se si pensa che un Paese meno problematico come la Croazia ha dovuto rinviare il completamento del processo di adesione iniziato otto anni fa orsono (sembra che la conclusione sia ora prevista per il 2013), la strada per Belgrado sembra profilarsi decisamente tortuosa.  * Maria Serra è Dottoressa in Scienze Internazionali (Università di Siena)

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