Anno: 2012
Distribuzione: IRIS FILM
Durata: 81’
Genere: Fantascienza
Nazionalità: Italia
Regia: Manetti Bros
La verità sembra ricoprirsi di significati inadeguati alla giustificazione coerente di un’ideologia: “quanto bisogna fidarsi del prossimo? Che cos’è un pregiudizio? Quale limite si può superare per difendersi da una possibile minaccia o quanto si può rischiare di sbagliare per perseguire i propri ideali?”.
Nel tracciare con mordace arguzia il confronto psicologico tra tre personaggi essenzialmente diversi, L’arrivo di Wang gioca sottilmente con le matriosche di una realtà complessa e inidentificabile, minata da un’alienante e paranoica ossessione di verità, incapace di preannunciare le sorti dell’intero pianeta.
Gaia (Francesca Cuttica), un’interprete di cinese, viene contattata per la traduzione simultanea di un urgentissimo e segretissimo interrogatorio a luci spente, diretto da Curti (Ennio Fantastichini), un agente segreto privo di scrupoli, alle prese con un fantomatico Signor Wang. Quando, su richiesta insistente ed ansiosa della protagonista, le luci verranno accese, Gaia scoprirà la spaventosa identità del signor Wang, un alieno tentacolato, apparentemente pacifico, capace di comunicare attraverso la lingua umana più parlata al mondo: il cinese mandarino.
Al loro quinto lungometraggio per il cinema, i Manetti Bros spargono, sulla superficie fertile di una narrazione divertente e sagace, i semi dell’incertezza e del dubbio, rispetto ad una realtà camaleontica e irrintracciabile, ritratta dietro il vetro di una porta blindata, oltre la quale il film si comprime e si contorce in un vortice di domande asfissianti ed esasperanti. Una storia appassionante costruita su tempi congeniali e calibrati al fine di eludere l’orma imperitura del giudizio inequivocabile e di scardinare il complesso sistema di preconcetti, sul quale l’umanità intera poggia le sue pachidermiche zampe.
Non ci sono buoni, non ci sono cattivi, non ci sono eroi, non ci sono diavoli con le corna. Siamo figli di una contingenza priva di sentimentalismi, idiosincratica rispetto al buonismo di cui preferiamo riempirci la bocca, purificandoci dalle azioni che ci rendono colpevoli e che ossequiosamente mortifichiamo nel rispetto di un padre assoluto. Il paradosso della nostra ipocrisia è ricoperto, allora, dalla viscida cute di un tenero e messianico E.T., ambasciatore di una pace fittizia sulla quale inciampiamo, assecondando la banale matematica del giudizio immediato e sprovvisto di prove. Risulta di conseguenza inevitabile scomodare l’interpretazione esistenzialista delle alterità, chiamate a suggellare la nostra ignoranza, il panico della nostra incapacità di comprendere pienamente la realtà che ci circonda, che forse sta sotto i nostri piedi, sopra le nostre teste, dietro la porta blindata di uno stanzino asettico.
Siamo animali vulnerabili e indifesi, ammassati all’interno di uno spazio angusto che ci riconduce alla nostra stessa natura animalesca e bestiale, nei limiti di un quadro che noi stessi abbiamo dipinto, nel tracciato di una cornice che noi stessi abbiamo costruito per dimenticare il caos dal quale proveniamo. È tutto là fuori, sotto le bombe aliene che distruggono una città di rovine, di morti, di cupole e di ignari, è tutto mistificato dall’apparente assenza di equivocità nell’olocausto di un’informazione che fagocitiamo, fino a saturare i nostri insaziabili stomaci, da una parte, o ammalarci di insalubre e arrogante complottismo fideistico, dall’altra.
L’arrivo di Wang “è una storia psicologica di tensione”, spiegano i Fratelli Manetti, “in cui tre personalità enormemente diverse si confrontano manifestando a poco a poco le proprie caratteristiche. Il concetto che ci interessava raccontare è se chi ci è accanto tutti i giorni può essere più diverso di chi viene da un altro pianeta”. Il film non delude le premesse di un’opera fantascientifica e di genere, sconfinando morbidamente sugli impervi sentieri della riflessione etica e filosofica che avvalorano, senza autoreferenzialità demenziale, un’attenta ricerca, diretta ad obbiettivi talvolta parodistici e derisori, nonostante la piega apocalittica di un finale finalmente inusuale e fatalista; a partire dall’adeguamento ad un’interpretazione italiana e prettamente romana dei paradigmi cinematografici di fatto americani, in una divertente e rozza sfilata di elementi topici fantascientifici che collidono con il ritratto monumentale e sensazionalista delle istituzioni governative statunitensi, impresso nella prevedibile serialità buonista di film come The war of the worlds (di Byron Haskin, 1953, a cui segue il remake di Steven Spielberg del 2005), Independence day (di Roland Emmerich, 1996), e anche il recentissimo World invasion (di Jonathan Liebesman, 2011) .
L’arrivo di Wang si impone metalinguisticamente nel panorama cinematografico italiano con la vivacità di un vero e proprio alieno insolito e indipendente, capace di sfidare un ambiente giurassico e viziato.
Degni di nota sono gli effetti visivi digitali, realizzati appositamente per l’animazione di Wang dallo studio romano Palantir Digital Media, impegnato in 15 mesi di lavorazione: ben 346 inquadrature, 13 minuti di presenza scenica e recitazione di una creatura in computer grafica 3D.
Marco Pellegrino