La nuova stagione de Diario le Storie italiane condotto da Corrado Augias su Rai3 ha ripreso il suo spazio divulgativo dopo la pausa estiva e in questa puntata l’argomento trattato riguarda una delle meraviglie del mondo che si trova proprio nella nostra penisola. Un capolavoro artistico, unico, inquadrato nell’annosa questione dello sterminato patrimonio culturale italiano, dimenticato , sottovalutato o addirittura non catalogato. Non esiste oggi, una catalogazione definitiva, specie per i reperti archeologici. Inoltre per i grandi musei statali non esiste una stima del valore delle opere possedute dal nostro paese, solo una parte è esposta, tutto il resto giace nei magazzini. Un’abbondanza che sembra quasi eccessiva. Come se fossero davvero troppi i nostri Beni architettonici, troppi i siti archeologici, troppe le opere d’arte da tutelare.
Un patrimonio immenso, per certi versi sterminato. Da tutelare e valorizzare per noi, ma anche per il mondo. Un circolo vizioso che apre sempre le stesse questioni, siamo famosi in tutto il mondo per l’enorme quantità di beni culturali. Però, nel resto d’Europa, dove in comparazione i siti di potenziale interesse sono assai meno, si riesce a dar lavoro a molti. In Italia, non riusciamo a guardare alla cultura come a una forma di investimento che potenzierebbe le risorse italiane. Non sappiamo ancora cosa fare, se vendere tutto, oppure conservare tutto; se questo patrimonio possa servire per il turismo, o per l’identità culturale o semplicemente per arrivare “ad altro”. Ben venga allora la sensibilità dei privati che finanziano interventi. Allontaniamoci dallo stereotipo del mecenatismo, oggi, i privati, possono rivelarsi validi collaboratori che offrono intelligenza e risorse professionali. Lo sponsor vuole un pò di visibilità ma, in cambio diventa uno strumento per sopperire a una cultura dimenticata. I beni culturali possono essere usati come motore di attrazione e diventare il veicolo di un’attività capace di espandersi.” Il sistema della cultura è vivente e se non riusciamo a proteggere il nostro patrimonio – continua il prof. Sacco – non produciamo, dobbiamo utilizzare tutte le tecnologie per attivare i giovani, non dobbiamo limitarci pietisticamente a mantenerlo”. Il nostro profitto in Pil potrebbe essere raddoppiato e potenziato, ma, abbiamo una logica avulsa, servirebbe una nuova visione, lungimirante che porterebbe a creare nuovi posti di lavoro e anche a dare ossigeno a tanti luoghi d’arte in crisi. Un’industria che porterebbe ricchezza e cultura. Un’avventura in questo mare di insensibilità italiana. Una sfida importante. Bisogna cominciare a crederci. Altro che con la cultura non si mangia!