di Marco Cardilli
Secondo il mio modesto ed opinabile parere, questi ultimi tre, quattro decenni e quelli futuri (se le cose non cambieranno) saranno ricordati-quando la società tornerà ad interessarsi della storia, s’intende-come una sorta di medioevo della modernità. E intendo “medioevo” come erroneamente è entrato nell’immaginario collettivo: ossia un’epoca completamente buia, oscura, dominata dall’irrazionalità. Anche questo medioevo, come quello vero, contiene infatti dei sani fenomeni di cultura (io sono il primo ad interessarmene quotidianamente), ma questi verranno forse individuati e apprezzati dalle masse in futuro, come noi oggi a scuola riconosciamo l’importanza dell’umanesimo e lo studiamo. non credo purtroppo ci siano oggi fenomeni in atto importanti quanto l’umanesimo.
In questo nuovo medioevo, caratterizzato dall’assenza di memoria (nel senso di cultura storica), caratterizzato da una crisi profonda dei valori, valori cattolici da una parte e laico-progressisti dall’altra, e dominato in larga parte dall’insensibilità, dall’egoismo, dall’ignoranza, dall’edonismo e dal consumismo-ecco, in tutto questo-un ragazzo che lotta ogni giorno per acquisire coscienza della sua condizione e dei processi storici che l’hanno determinata, che non vuole rassegnarsi allo svuotamento e alla banalizzazione dell’esistenza, alla meccanizzazione della socialità (vedi le nuove tecnologie con cui tutti facciamo i conti) io credo sia un po’ come un monaco in una biblioteca medievale che studiava e custodiva i testi antichi (ossia la luce della ragione). Ora, questo ragazzo-e non parlo di un ragazzo ipotetico, ne esistono diversi-cosa potrebbe fare a differenza del monaco medievale? Cosa potrebbe fare per essere migliore del monaco?
Semplice: scendere dalla torre della biblioteca, uscire dalle mura del monastero e farsi frate francescano: cioè immergersi nel mondo, partecipando completamente, con la propria esistenza, al tentativo di cambiarlo: trasformare la propria mente e il proprio cuore in parole, gesti, azioni quotidiane, infine opere d’arte. E qui giungo al ragazzo che oltre ad esser uomo è anche artista: è questa la figura che un po’ più di altre mi sta a cuore, forse perché, un po’ egoisticamente o narcisisticamente, la sento mia.
Cosa può fare l’artista? Come può contribuire a portare un cambiamento nel mondo?
Credo che anche questa risposta sia semplice, ma arrivarci non è stato tanto facile: la scintilla finale è scaturita durante la lettura di una bella intervista a Moravia letta qualche giorno fa mentre raccoglievo materiale per la scenografia del film al quale sto lavorando.
L’artista, infatti, non deve far altro che “essere se stesso” dentro la società.
e per “essere se stesso” intendo “essere il proprio io” in continuo divenire, in continuo cambiamento (se è vero che nessuno in realtà è oggi uguale a ieri o a domani).
L’artista con il proprio “io” immerso nella società, quindi non fuori, non lontano, ma dentro, indissolubilmente legato ad essa, quasi per naturale aspirazione, vocazione, grazie al proprio fare, lotterà contro l’ipocrisia, contro ogni tipo di conformismo e di immobilismo (sia esso di destra, di centro, di sinistra, di sopra o di sotto), si ritroverà come per fatale attrazione ad occupare il punto preciso nel tempo e nello spazio dove c’è qualche cosa che, dalla profondità dell’animo umano, reclama libertà.
Un artista non può essere un servo, neanche della migliore ideologia possibile.
Ora qualcuno potrebbe dire: <<perché mai tirare in ballo l’ideologia, dato che sono morte tutte?>> Perché io credo, a differenza di chi pensa che le ideologie siano morte, che la nostra epoca sia fortemente ideologica. Li dove c’è un ordine c’è sempre un’ideologia dominante e l’ideologia di oggi non necessita di alcun manifesto: parla attraverso i mezzi di comunicazione di massa, attraverso il linguaggio della pubblicità e attraverso internet (che per diversi aspetti è diventato l’amplificazione di certi guasti perpetrati dalla tv).
Chiusa la parentesi sull’ideologia e tornando al rapporto tra arte e società, vorrei precisare che non intendevo dire che sia sbagliato partecipare pubblicamente alla vita democratica di un qualche partito politico o di un qualche movimento o di una qualche associazione, anzi tutt’altro.
Intendevo dire che l’artista può lavorar bene soltanto se riesce a mantenere una certa libertà nell’elaborazione di idee, nell’elaborazione di uno stile, di una poetica e che questa deve anche saper trovare il coraggio di essere eretica quando le circostanze lo richiedono.
Io, per mio conto, posso dire che proverò ad essere un artista libero, ma anche che resterò, penso, un progressista convinto. Resterò un progressista perché credo instancabilmente nell’idea che l’umanità possa liberarsi dalla sua stessa oppressione soltanto se lotta a favore della tolleranza, dell’uguaglianza, della pace, della dignità della persona umana, del progresso.
Ovunque ci sia un ragazzo vivo o un artista, bisogna che questo si faccia forza e inizi anche lui a parlare, senza più la paura di non esser compreso.