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L'assordante silenzio dell'Italia sul Kivu

Creato il 06 settembre 2013 da Dragor

   PUBBLICO questo comunicato che ho ricevuto da Françoise Kankindi, presidente di BeneRwanda.

   MENTRE SI AVVICINA la ricorrenza del ventennale del genocidio dei Tutsi in Rwanda, che nell’arco di 100 giorni tra l’aprile e il luglio del 1994 ha causato un milione di morti in una carneficina prevista ed evitabile, nella quale il resto del mondo ha preferito non intervenire o ha agito come complice per ciniche motivazioni geo-politiche ed economiche, l’Italia si mostra ancora distratta riguardo a quanto sta accadendo nel Nord Kivu, cioè in quella parte di territorio Congolese al confine con il Rwanda, intorno alla città di Goma.

   QUESTA E’ LA ZONA dove nel luglio del 1994 l’Operation Turquoise della Francia garantì accoglienza ed impunità ai genocidari, comprese le famigerate milizie Interahamwe e quanto rimaneva delle Forze Armate Rwandesi, che fuggivano dal Rwanda incalzate dal Fronte Patriottico Rwandese. Ciò determinò una fortissima destabilizzazione della zona, che ha visto anche la ricostituzione di gruppi armati che si richiamano esplicitamente all’ideologia genocidaria dell’Hutu Power quali le Forze Democratichedi Liberazione del Rwanda (FDLR), e rappresenta motivo di grandissimapreoccupazione per il governo e i cittadini Rwandesi, mentre probabilmente, trattandosi di un territorio assai ricco di materie prime, risulta molto utile a trafficanti di vario genere. La forza di mantenimento di pace della Nazioni Unite (MONUSCO), in Congo dall’inizio degli anni 2000, nonostante le dimensioni (tra i 16.000 e i 20.000 uomini) ed i cospicui finanziamenti, non sembra avere ottenuto grandi risultati, ed è stata accusata di inerzia e, in qualche caso, di connivenza con il traffico illegale di oro e avorio e con le FDRL.

   PROBABILMENTE anche a causa di questa reputazione, che la rende invisa alla popolazione locale, a luglio di quest’anno la MONUSCO, a guida francese, si è dotata di una“Brigata d’Intervento Offensivo”, alla quale sono permesse azioni di guerra. Si è creata quindi una situazione che vede MONUSCO, Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) e i genocidari delle FDRL uniti contro l’M23 (Movimento 23 Marzo, milizia congolese il cui ex capo Bosco Ntaganda, imputato per crimini di guerra e rifugiatosi in Rwanda, è stato consegnato al Tribunale Penale Internazionaledell’Aia). Il governo Rwandese, accusato di sostenere l’M23, ha sempre negato in tutte le sedi tale addebito. La MONUSCO è composta prevalentemente da soldati di Paesi africani ed è guidata operativamente dalla Tanzania, nazione in forti difficoltà con il Rwanda, che recentemente a titolo di ritorsione ha espulso dal proprio territorio tutti gli immigrati di origine Rwandese., oggetto di un appello internazionale pubblicato sul sito di BeneRwanda (http://www.benerwanda.org/?p=2193), fa temere la ripresa del disegno genocidario iniziato nel 1959 e tragicamenteesploso nel 1994; anche in questo caso la comunità internazionale, se nondirettamente interessata nel manipolare le informazioni per nascondere il proprio ruolo, appare drammaticamente assente, nonostante si accumulino i segnali preoccupanti (ad esempio l’esplosione di bombe inviate dal territorio congolese in Rwanda che hanno ucciso una donna e ferito il suo bambino).

   FACCIAMO quindi appello alle fonti di informazione indipendenti affinché diano adeguata copertura a questi avvenimenti, perché la memoria del genocidio dei Tutsi del Rwanda del 1994 e il “mai più” che allora ne seguì servano veramente a proteggere le popolazioni, perché l’Italia si impegni in prima persona per una soluzione politica e negoziata della crisi del Nord Kivu invece di lasciare spazio, nel silenzio, alle armi.

   VORREI aggiungere che M23 si batte per la sopravvivenza di un popolo, i Banyamulenge, che il governo congolese vorrebbe genocidare cosi’ come il dittatore Habyarimana voleva genocidare i Tutsi in Rwanda. In questi anni M23 è diventato il punto di riferimento di quanti vogliono un Congo migliore, vale a dire liberato dalla cricca di Kabila, della Francia e dei preti.

   Dragor


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