Magazine Diario personale

L'attesa

Da Silvia
L'attesa
Lei era fuori dall'ospedale, l'asfalto era rovente di sole, l'aria si muoveva come fosse fumo deformando oggetti e strade.
Era asciutta, come si asciugava ogni volta che aveva paura, un dimagrimento del benessere più che della carne.
Aveva respirato a stento fino al momento in cui l'avevano legata stretta ed infilata nel tubo, lì dentro non aveva praticamente respirato.
I suoni violentissimi le avevano fatto compagnia mentre lei cercava di spingere il pensiero al di sopra del tubo, lontano da quella plastica pallida, dalla malattia, dal dolore, dalla pompetta sudata che stringeva nella mano destra.
Ne era uscita da quel tubo asfissiante, aveva camminato per risalire le scale, aveva risentito il sole e l'aria.
Aveva aspettato i risultati per un'ora, bevendo tè freddo lentamente.
Intorno a lei altre donne ed altri uomini attendevano.
Chissà a cosa pensavano, se le immagini che scorrevano dentro di loro erano le stesse sue, se si assomigliavano le paure e le domande.
Avevano ritirato le risposte quasi contemporaneamente, lei aveva aspettato ancora un po' tenendo la cartellina fra le mani.
Una donna aveva iniziato a piangere forte, l'altra sembrava quasi abituata a questo momento e passeggiava leggendo piano.
Sarebbero arrivati giorni senza sonno, ondate di paura agghiacciante, sensazioni di qualcosa di buono che invece poteva arrivare, fiducia improvvisa, forza e fragilità indicibili, sarebbero arrivati i giorni dell'offesa della carne, dello strazio dei corpi costretti nei letti da mesi, delle ore in cui qualcuno aveva fatto battere il suo cuore e respirare i suoi polmoni al suo posto, sarebbero arrivati giorni di camici allacciati dietro e flebo e drenaggi infilati nella pancia, sarebbero arrivate orrende minestrine scotte e flebo fuori vena, telefonate ai figli e baci alla loro macchinetta portafortuna, sarebbero arrivati gli urli stravolti dei malati soli nella lunga notte del reparto, la madonnina con la mano incollata in mezzo all'atrio dell'ospedale dove molti pregavano in silenzio, sarebbero arrivati i massaggi di sua madre sul viso e sulle spalle, la corsa dietro alla lettiga per soffiarle sulla testa un "è tutto finito".
Sarebbero arrivate le sorprese belle, le risate nonostante, la doccia rinfrancante, il sonno finalmente il primo sonno a casa.
Sarebbero rimaste le canzoni piantate nelle orecchie per superare la notte, il profumo della chirurga mentre spiegava i rischi dell'intervento senza minimamente capire quanta paura stesse gettando dentro ad un cuore solo.
Sarebbero rimaste pagine da scrivere ancora, con la faccia illuminata da questo schermo azzurro, come stasera.

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