Ripubblichiamo un articolo di Chiara Nizzoli, che ringraziamo insieme alla redazione di AnomaliaParma (dove l’articolo è apparso il 30 gennaio scorso) per avercelo proposto e fatto pubblicare anche qui. Buona lettura!
Copertina di “In Italia sono tutti maschi”
Il 29 gennaio era evidenziato sulla mia agenda.
Vi avevo annotato un’iniziativa dall’aria interessante: “In Italia son tutti maschi. La persecuzione degli omosessuali durante il fascismo – un incontro tra storia e graphic novel”, evento organizzato dal Centro Studi Movimenti e dall’Unione delle biblioteche di Parma per “celebrare” la giornata della memoria.
Corta. Mi verrebbe da aggiungere. Estremamente corta. Non potevo infatti prevedere che, proprio oggi, a due giorni dal ricordo della liberazione di Auschwitz e di tutte le vittime del nazionalsocialismo (a volte troppo mediatizzato e quindi svuotato di contenuti), sul quotidiano online parmatoday, potessi leggere l’ennesimo articolo di un’aggressione omofoba avvenuta a Noceto, centro non distante dalla ormai ben poco ridente città ducale.
Tralasciando qui (per ragioni di spazi e contenuti) lo splendido e, storicamente parlando, onesto e complicato, progetto di Luca de Santis e Sara Colaone, che hanno voluto raccontare, attraverso le immagini di un fumetto ingiallito (giallo come gialla è “l’afa e l’angoscia opprimente delle isole Tremiti dove è ambientata la storia” così riporta la disegnatrice) la storia di un confinato omosessuale durante la dittatura fascista, mi interessa ora condividere alcune considerazioni che gli autori, insieme allo storico Lorenzo Benedusi (università di Bergamo) e Brunella Manotti del CSM, mi hanno offerto come spunto di riflessione.
In Italia sono tutti maschi: una tavola del fumetto (passeggiata)
Ciò che balza immediatamente agli occhi, è la tragica attualità di avvenimenti che dovrebbero costituire solo tristi retaggi del passato. Ma, come ci ricordano oggi le pagine dei nostri quotidiani, ci stiamo solo illudendo che sia così. Non è così a Noceto, non è così a Parma, non è così a Roma e in Italia e non è così nemmeno in Russia dove è di qualche giorno fa, la legge anti-gay, che vieta la “propaganda dell’omosessualità davanti a minori”; pena: multe fino a 12 500 euro per bacio scambiato in pubblico.
In realtà l’unica propaganda ad agire ancora, latente (ma non troppo) e nociva alla costruzione libera e rispettosa di una società che si voglia dire democratica, è ancora quella fascista. Nel, a mio avviso straordinario, film di Ettore Scola “Una giornata particolare” (1977), il protagonista, interpretato da un a tratti commuovente Marcello Mastroianni apostrofa “io non sono né padre, né marito, né soldato, quindi non posso essere fascista”. Il riferimento è all’immagine di quell’ “uomo nuovo” costruito ad hoc da Mussolini per rappresentare un preciso disegno politico, dove il ruolo del “maschio virile e dominante”, doveva essere complementare a quello della donna fascista, inferiore sia fisicamente che mentalmente, nonché servizievole nei confronti dell’uomo-stato. E chi non era conforme a questo modello era da “prendere a calci e a manganellate” (così in una rivista dell’epoca). L’obiettivo della malsana ideologia fascista era quello di penetrare nelle vite degli individui, permeando nella loro quotidianità e contaminandone ogni aspetto, anche quelli più privati. L’azione era mirata perché i “disertori sessuali” non potessero avere visibilità pubblica; era necessario occultare “lo sporco” per non creare adito a discussioni tra l’opinione pubblica (cosa che accade anche oggi per altro, dato che la notizia dell’aggressione del ragazzo di Noceto è stata poco evidenziata, nonché relegata come accaduto marginale, dai mezzi stampa).
In Italia sono tutti maschi: una tavola del fumetto (mormorii)
Per coloro in quali osavano infrangere quella che Gramsci chiamava “la mascolinità egemonica” propria del dettame fascista, la pena era il confino. E di nuovo il riferimento alla sconcertante attualità è d’obbligo. Sull’idea di “confino” anche la ricerca storica è stata a lungo assente, al punto che le dichiarazioni di un ex presidente del consiglio, certo non ricordato per i suoi aforismi, disse pubblicamente che in fondo, il confino, altro non era che una vacanza. Tali affermazioni, ridicole per i più, gravissime per pochi altri, ahimè, ci ricordano ciò che molti hanno voluto dimenticare. Da una lato la questione omosessuale fa parte, insieme ad altri capitoli della storia italiana mai a fondo affrontati (vedi il colonialismo italiano in Africa, per parlar dello stesso periodo), di una serie di “rimossi storici” che non sono mai riusciti a squarciare i muri del pregiudizio e del disprezzo per tutto ciò che era (ed è) “altro”; dall’altro lato si assiste inermi ad una banalizzazione costante della memoria storica del nostro paese, sbrigativamente liquidata con quell’ “italiani brava gente”.
Tuttavia il“confino” era un’istituzione, riconosciuta dalla legge italiana, atta ad allontanare tutti i “diversi”, fossero essi “differenti” per scelta sessuale, religiosa o politica. E il perché la questione dell’omofobia non sia ancora totalmente risolta, lo spiega in parte il fatto che trattasi di un argomento che coinvolse (e coinvolge ancora!) trasversalmente la società. In pochi infatti sanno che il “confino comune”, a differenza di quello “politico”, venne mantenuto anche ben oltre la fine della guerra e la caduta del fascismo. Pare siano degli anni Settanta gli ultimi “rientri” di confinanti transessuali e omosessuali nel territorio italiano.
Rientri per nulla semplici: non sono per l’umiliazione subita ma anche per effetto di quel sistema indotto di “rimozione” che arrivò fin nella psiche delle vittime le quali tentarono di reinserirsi nelle società d’origine solo negando o fingendo che nulla fosse successo.
Questo per evidenziare come la macchina dei pregiudizi abbia agito (e agisca ancora) in maniera trasversale nella società intera. Questo per sottolineare che l’omofobia è un virus che continua a muoversi indisturbato nei corpi delle nostre società. Si tratterebbe forse di provare a “conoscerlo” un po’ meglio per cercare di trovare la cura giusta e debellarlo.
Ma finché saremo circondati da persone convinte di essere i custodi di una superiorità congenita e inoppugnabile, che stigmatizza ed esclude, non potremmo stupirci delle ciclicità con cui anche la più vergognosa delle storie si ripresenta.