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L’avventura calcistica di “Baggio laser” (By Bruce Waine)

Creato il 25 luglio 2013 da Simo785

L’avventura calcistica di “Baggio laser” (By Bruce Waine)

Baggio laser”. 

Così titolavano i quotidiani sportivi del giorno dopo. Perché, sì, quella sera del 20 settembre del 1989, contro la Bulgaria, il resto lo fecero Carnevale e un’autorete. Ma la doppietta che stese i bulgari – con tanto di portiere messo a sedere sul secondo gol – e la quasi tripletta su punizione fu tutta opera sua. Era un’amichevole, di quelle che preparavano Italia ’90 e l’euforia generalizzata degli italiani per gli occhi spalancati di Schillaci e le note di “Notti magiche”. Ma bastò a Gianni Agnelli per capire che il numero 7 e la maglia della Fiorentina non dovevano rimanere a lungo addosso a Roberto Baggio, al quale meglio si addicevano – a parere dell’Avvocato, naturalmente – il bianconero ed il numero 10.

Chissà, forse Agnelli quella sera capì anche che il “divin codino” si avviava verso il Pallone d’Oro – che puntualmente vinse quattro anni più tardi – e che avrebbe incrinato l’immagine di tecnici della levatura di Fabio Capello, che tra i tifosi del Milan non è il mister che ha vinto scudetti uno dietro l’altro ma lo spocchioso che non sapeva decidersi tra Baggio e Savicevic. O forse immaginò che quel giovanotto nativo di Caldogno sarebbe stato il suo Platini 2.0 (e magari, diciamolo pure, la sua versione evoluta). O magari immaginò soltanto che i giornali del giorno dopo avrebbero titolato “Baggio laser”, e che quella sera stava nascendo una stella. 

Gianni Agnelli aveva queste intuizioni. E così prese il giovanotto veneto, se lo portò a Torino e lì lo mise in squadra con gente come Gianluca Vialli, Fabrizio Ravanelli e, di lì a poco, il giovane Alessandro Del Piero.

Ma forse non sono state le grandi squadre quelle che hanno esaltato l’estro di Roberto Baggio. Perché, sì: con la Juventus vinse il Pallone d’Oro, e di lì a un anno risultò essere l’eroe di Usa ’94. Ma al primo infortunio serio a nulla valse il parere dei tifosi, e la società decise di spedirlo al Milan preferendogli Del Piero. E del resto, della sua esperienza rossonera s’è detto: Capello non sapeva decidersi tra lui e Savicevic. Ed in seguito, all’Inter, doveva formare un tandem esplosivo assieme a Vieri e Ronaldo, ma di fatto il triangolo d’attacco si trovò a giocare assieme sì e no per una mezz’oretta in un anno.

Fu a Bologna che segnò ventidue gol in trenta partite. Ma, soprattutto, fu a Brescia, dove al posto di Renzo Ulivieri (troppo innamorato di se stesso per concedere che i risultati della sua squadra fossero dovuti al talento di Baggio) trovò Carlo Mazzone, che l’ormai ex “divin codino” riuscì a trovare la sua dimensione. Insieme al tecnico romano, infatti, l’ormai anziano Baggio riuscì a mettere in piedi un gruppo capace di qualificarsi per la Coppa Intertoto. Oltre – sia detto en passant – a raggiungere il venticinquesimo posto nella classifica dei candidati al Pallone d’Oro. 

Dopo di lui il nulla? No, questo non lo si può dire. Dopo di lui ci sono stati Alessandro Del Piero e Francesco Totti. Ma diciamo anche che insieme a lui c’era uno Zinedine Zidane del quale non si può evitare di far menzione. Però, certo, se uno ripensa al calcio italiano degli ultimi trent’anni – e forse anche più –, ai suoi campioni ed alle sue vicende, è difficile trovare figure paragonabili a quella di Roberto Baggio.


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