La casa cinematografica Prana ha invitato la stampa ad assistere ad alcune interessanti riprese di Nosferatu. Il film (scritto da Henrik Galeen, con musica di Hans Erdmann) si svolge sui monti Tatra e ha per tema una leggenda popolare —avvolta dal mistero, e di presunte origini rumene — sul sinistro personaggio di «Nosferatu», uno spettro dalle sembianze umane che si insinua nelle vite altrui. Eccoci di nuovo alle prese con uno di quei film carichi di mistero e molto in voga negli ultimi tempi. Per l’accuratezza della realizzazione, per l’amore dedicato da tutti i collaboratori a ogni dettaglio, Nosferatu si distingue però, beneficamente, dai prodotti in serie d’oggigiorno. Per la prima volta sembra qui risolto con facilità un problema tecnico del cinema: l’irruzione del mistero nell’aperta natura — e non solo in luoghi chiusi, fra scenografie stilizzate. Se davvero sia riuscita l’operazione di trarre dal fantastico più arbitrario i massimi risultati a cielo aperto, solo il film ultimato potrà naturalmente dimostrarlo. Le foto, da sole, non convincono a sufficienza, pur essendo molto promettenti.
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Una cinquantina di articoli, scritti tra il 1919 e il 1935, ricchi di eleganza e di ironia in cui Roth disserta in modo splendido su un Galateo con cine-illustrazioni, su l’Asso di danari inscenato dagli spettatori del Prater, su Karl Hau e la tragedia di Casa Hester. Ma anche sulla profonda tragicità di Rembrandt o sui cinque atti di Notti da incubo e le interessanti riprese di Nosferatu, ma anche su L’ultima risata di Carl Mayer, l’unico poeta del cinema tedesco che scrive film così come si compongono poesie, racconti e drammi.
Gli incontri che Roth fa sui vari set sono una sorta di bestiario classico (e attualissimo) con i caratteri ben definiti del genere. Straordinario leggere di manifesti che devono colpire (e non ferire) e suscitare curiosità contenendo tutto in forma concentrata e di americani che sanno ricostruire in modo perfettamente credibile giochi e mondi infantili (“gettano la loro infanzia nella luce famelica dei riflettori… si danno in pasto al Moloch degli studi cinematografici, e noi ci rallegriamo che appaiano così amabili sullo schermo e portiamo i nostri figli al cinema dimenticando come quei bambini che recitano abbiano forzato se stessi a essere bambini…”).
Joseph Roth, L’avventuriera di Montecarlo, traduzione di Leonardo Quaresima, Roberto Cazzola, Piccola Biblioteca Adelphi, Adelphi 2015.