L’Azerbaijan nello scenario strategico mondiale

Creato il 20 gennaio 2015 da Bloglobal @bloglobal_opi

di Paolo Balmas

Nei primi anni del Secolo XIX l’Azerbaijan era il primo esportatore mondiale di petrolio. Le guerre e l’adesione all’Unione Sovietica da un lato e la crescita delle capacità di produzione dei Paesi del Golfo Persico dall’altro, hanno fatto in modo che tale primato si ridimensionasse e addirittura si dimenticasse per lunghi anni. Evidentemente, Mosca non riuscì a sfruttarne le potenzialità perché, tra l’altro, era concentrata piuttosto sullo sviluppo delle attività petrolifere nella regione siberiana. Un secolo più tardi, in questi giorni, Baku è tornata ad essere un attore di primo piano nella produzione ed esportazione di idrocarburi e tale condizione è destinata a crescere.

Nel 1994, dopo che l’Azerbaijan era uscito dall’Unione Sovietica e dalla catastrofica guerra per il Nagorno-Karabakh contro l’Armenia, la produzione del Paese raggiungeva appena i 160.000 barili al giorno (bpd) di greggio. Nel 2011 ha superato il milione di bpd. Nello stesso arco di tempo, la produzione di gas naturale è passata da circa 6 miliardi di metri cubi l’anno a oltre 17. Le prospettive che si sono aperte in questi ultimi anni hanno fatto in modo che Baku divenisse il fulcro delle attività geopolitiche della regione caucasica. La ricchezza accumulata grazie alla vendita di materie prime, invece, le ha permesso inoltre di ampliare e riorganizzare le forze armate e di effettuare ingenti investimenti all’estero, in particolare in Georgia, attraverso la quale passano i progetti energetici destinati a portare gli idrocarburi in Europa.

Fonte: U.S. Energy Information Administration

L’Unione Europea e la NATO si sono interessate in modo accurato al ruolo che Baku avrebbe potuto assumere nell’assetto strategico mondiale. Da molti anni, Bruxelles guarda all’Azerbaijan come la terra, in parte di origine e in parte di passaggio, dalla quale dovrà giungere in Europa meridionale il gas capace di diversificare il mercato che in Europa settentrionale è dominato dalla Norvegia (membro della NATO ma non dell’UE) e, naturalmente, dalla Russia. L’Occidente è stato diviso, e lo è ancora in parte, di fronte alla scelta di puntare agli approvvigionamenti provenienti dalla zona caucasico-caspica e rinunciare a una parte di quelli offerti da Mosca. La recente disfatta del progetto di South Stream (arteria energetica che avrebbe portato il gas russo fino in Italia), creato da Gazprom e al quale partecipava anche l’italiana ENI, dimostra che la politica europea in favore del Southern Corridor di matrice azera ha operato con forza e ottenuto una parziale vittoria.

Southern Gas Corridor – Fonte: Jamestown Foundation

La posizione geografica dell’Azerbaijan, compressa fra la guerra civile siro-irachena a sud e quella ucraina a nord, è determinante per comprendere il ruolo che il Paese ha assunto negli ultimi tempi e le scelte che prenderà nel futuro più prossimo. Ma a determinare ruolo e scelte hanno concorso, e concorrono ancora, anche altri fattori. Ad esempio, gli sconvolgimenti dei Paesi del Nord Africa, che hanno rallentato la realizzazione dei progetti energetici e la fornitura di idrocarburi libici e algerini all’Europa, e la recente caduta dei prezzi di petrolio e gas naturale.

La fascia di terra compresa fra le guerre civili costituisce un corridoio naturale che dall’Asia Centrale giunge in Europa attraverso la Turchia. A nord si avverte un rifiuto politico nei confronti delle materie prime russe; a sud la guerra ha messo fine, almeno per il momento, ai progetti energetici che avrebbero portato le immense quantità di idrocarburi iraniani e iracheni verso l’Europa attraverso la Siria. L’Azerbaijan è il cuore del corridoio che è andato costituendosi, il passaggio necessario con il quale si evita l’ingerenza della Russia e dell’Iran nella politica energetica europea. I due ultimi Paesi costituiscono i confini rispettivamente settentrionale e meridionale dell’Azerbaijan e con questo spartiscono le acque del Mar Caspio, sotto i fondali del quale giacciono le maggiori riserve d idrocarburi dell’area.

La politica internazionale di Baku si è sviluppata in direzione della NATO in un’ottica di allontanamento da Mosca, la quale è legata alla nemica Armenia da un’intesa militare e dal 2015 anche economica con la nascita dell’Unione Economica Euroasiatica (UEE). Allo stesso tempo, si è rivolta all’Unione Europea per accedere al mercato energetico. Il fatto che l’Azerbaijan sia al centro del corridoio le impone perciò di dover trovare la formula adatta a una delicata politica di equilibrio fra i Paesi dell’UEE, Kazakistan, Armenia e Russia. L’Unione Europea, sostanzialmente, vuole anche il gas del Kazakistan e Baku non potrà certo rifiutarsi di concederne il passaggio in nome di una politica anti-UEE.

I rapporti con la Russia, tuttavia, non sono così netti: l’Azerbaijan è ancora in parte dipendente dal passato sovietico, soprattutto nel campo della difesa. Si tratta di una condizione da cui Baku sta progressivamente uscendo, ma con cautela. Ad esempio, le relazioni che in tal senso sono state strette con Israele non possono che destare i sospetti di Teheran.

L’Iran non ha rinunciato a raggiungere il mercato europeo e l’apertura di Teheran a cui si è assistito negli ultimi tempi è realizzata anche in questa prospettiva. Il nuovo obiettivo è di intercettare il Southern Corridor in Turchia. L’Occidente è molto attento alle relazioni azero-iraniane. I due Paesi sono uniti in primo luogo dal fatto che nel nord dell’Iran vivono circa venti milioni di cittadini di etnia azera, oltre il doppio della popolazione dell’Azerbaijan. Ciò rende di primaria importanza tutte le considerazioni possibili che la geografia umana impone alla geopolitica.

Baku possiede i rapporti più stretti con la vicina Georgia. Tbilisi condivide gli stessi presupposti geografici di Baku in relazione al corridoio energetico, con la differenza che la Georgia non possiede le riserve di idrocarburi di cui può vantare l’Azerbaijan. Gli investimenti azeri, attraverso la Socar (l’ente nazionale per gli idrocarburi) e il Sofaz (il fondo nazionale petrolifero), sono stati rivolti essenzialmente alla realizzazione delle infrastrutture energetiche.

La presenza del gasdotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, che dal Mar Caspio raggiunge il confine turco attraverso la Georgia, ha permesso l’incontro con la Turchia e la creazione del progetto TANAP che porterà il gas in Grecia e, successivamente con il progetto TAP, in Italia. Ankara è alla ricerca di un accordo con l’Iran e con il Kazakistan. Il governo di Recep Tayyip Erdoğan sta lavorando intensamente affinché la Turchia diventi un hub dell’energia. Un sogno che condivide con Atene e con Roma. In tal senso, la proposta di Mosca di far emergere un Turkish Stream dalle ceneri del precedente South Stream si inserisce in un contesto perfetto, che non solo mostra quanto la Russia sia determinata a non rinunciare alla propria presenza nel Southern Corridor, ma esercita anche un fascino deciso su quei sogni energetici e una forza da non sottovalutare sull’intero assetto geopolitico della regione.

A deteriorare le condizioni propizie che si sono create e che hanno permesso a Baku di operare con efficacia alla realizzazione della rete energetica, vanno elencati alcuni fattori preoccupanti. Il primo è chiaramente il conflitto rimasto a lungo in sospeso con l’Armenia per le province del Nagorno-Karabakh che Baku rivendica. Più volte i toni si sono accesi e lo scorso novembre, l’abbattimento dell’elicottero armeno da parte delle forze azere sulla Linea di Contatto ha dimostrato che la situazione è tutt’altro che stabile. Baku negli ultimi anni ha potuto incrementare le proprie capacità belliche e ha dichiarato in varie occasioni, più o meno apertamente, di essere pronta a utilizzarle. Gli altri fattori, invece, riguardano le condizioni in cui versano i Paesi confinanti.

Innanzitutto, le tensioni fra Georgia e Russia non si sono mai spente del tutto. A ciò va aggiunto che nel Caucaso del Nord, fra Cecenia e Daghestan, Mosca sta affrontando una situazione esplosiva con il fondamentalismo islamico unito nell’organizzazione denominata Emirato del Caucaso. Gli attacchi terroristici si sono susseguiti con una frequenza crescente negli ultimi mesi ed è stato necessario ampliare la presenza delle forze armate nell’area. Infine, le recenti violenze nell’est della Turchia, dovute al fatto che il partito armato curdo PKK non ha accettato il rifiuto di Ankara a intervenire militarmente per salvare la città di Kobane, rende anche quel territorio a rischio di destabilizzazione.

L’Azerbaijan si trova così a subire varie pressioni su più fronti. La sicurezza dell’intera regione è al primo posto delle preoccupazioni internazionali di Baku. Lungo i prossimi mesi del 2015 si comprenderà se l’impalcatura su cui si sta costruendo il futuro energetico europeo ha realmente delle basi solide.

* Paolo Balmas è Dottore in Lingue e Civiltà Orientali (Università La Sapienza, Roma) e membro del Consiglio Direttivo di Istrid Analysis

Photo credits: Oil&Gas Middle East

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