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L’economia al servizio della felicità

Creato il 23 gennaio 2014 da Libera E Forte @liberaeforte

bruni

L’economia, la felicità e gli altri”: con questo titolo evocativo Luigino Bruni dimostra che la scienza economica può veramente essere utilizzata per aumentare il benessere umano, e che il lavoro dell’economista può – e deve – essere una attività morale al servizio della società.

L’autore, professore di Economia politica e membro del comitato etico di Banca Etica, è coordinatore del progetto Economia di Comunione (edc-online.org), un movimento di cui fanno parte “imprenditori, imprese, associazioni, istituzioni economiche, ma anche lavoratori, dirigenti, consumatori, risparmiatori, studiosi, operatori economici, poveri, cittadini, famiglie”. EdC è nata nel 1991 da una iniziativa di Chiara Lubich, ispirata dalla Centesimus Annus di Giovanni Paolo II, per contribuire “a dar vita ad imprese fraterne che sentono come propria missione sradicare la miseria e l’ingiustizia sociale, per contribuire ad edificare un sistema economico e una società umana di comunione dove, ad imitazione della prima comunità cristiana di Gerusalemme, ‘non vi era alcun indigente tra di essi’ (At 4,32-34)”. Alla base c’è un sistema di economia etica e solidale: le imprese che partecipano a Edc, numerose e sparse in tutto il mondo, si impegnano a creare nuova ricchezza e nuovi posti di lavoro e a ridistribuire gli utili nello sviluppo dell’azienda, nella promozione umana di bisognosi e nella crescita del progetto stesso mediante la formazione di nuove risorse. Il movimento è presente sul territorio anche grazie ai “Poli Produttivi, primariamente nelle cittadelle del Movimento dei Focolari di cui sono parte integrante”.

Coerentemente con l’impegno sociale di Bruni, “L’economia, la felicità e gli altri” getta le basi per “una teoria della felicità in economia” e approfondisce un tema troppo spesso ignorato ma in realtà fondamentale nelle dinamiche economiche e sociali moderne. Qual è – o dovrebbe essere – infatti lo scopo dell’economia? Aumentare i beni facendo in tal modo crescere il nostro benessere. In questo caso il lavoro dell’economista sarebbe “morale, umano e umanizzante”. Ma la storia ci insegna che non è così. La crescita di reddito non sempre produce un aumento di benessere. Al contrario, i così detti “paradossi della felicità” indicano che nei paesi avanzati l’aumento del reddito non è necessariamente accompagnato da un aumento di benessere, e che il livello di felicità è al di sotto della media.

In cosa consistono dunque i fattori che ci permettono di condurre una vita felice? Per Bruni la nostra felicità dipende “dalla qualità dei rapporti che riusciamo a costruire, o a non costruire, con le persone che ci stanno attorno, rapporti interpersonali che, sempre più frequentemente, entrano in conflitto con i beni di mercato”. Dunque non nell’accumulo di ricchezza, ma nel nostro rapporto con gli altri si nasconde la chiave per vivere una esistenza serena. Fattore non facile da gestire nella società contemporanea, in cui assistiamo alla sostituzione del rapporto umano con la ricerca ossessiva dei beni di mercato. Il risultato: le scelte che compiamo, e che sono volte al conseguimento della felicità, ci conducono spesso, anche se in maniera non intenzionale, all’insoddisfazione. “La carestia di felicità” scrive Bruni “dovuta alla povertà relazionale, può diventare più disastrosa e disumanizzante della carestia di cibo”. Come sosteneva Tzvetan Todorov: “Non vi è felicità senza gli altri”.

Il libro ripercorre le vicissitudini dell’idea di felicità in economia individuando “se, come, perché, quando e grazie a chi essa è uscita dall’orizzonte della scienza economica, dopo averlo occupato quasi interamente ai suoi albori”. Nei primi quattro capitoli vengono delineati i momenti principali del dibattito su economia e felicità, da Aristotele passando per il Medioevo e l’Umanesimo fino all’età moderna. Il quinto e sesto capitolo prendono in considerazione il pensiero degli economisti classici che hanno accentuato l’importanza della felicità e del benessere nell’analisi economica. Tra i britannici Smith, Mill e Marshall, che affermava che la felicità dipende in larga misura da fattori extraeconomici come la religione, la ricerca del senso della vita e in particolare la vita affettiva e l’amicizia; in Italia troviamo invece Filangieri e Genovesi, che insieme a Mill sosteneva la teoria originale e illuminante in base alla quale la felicità consiste nel rendere felici gli altri. Il capitolo successivo indaga le ragioni dell’estromissione relazionale dalla scienza economica (Utilitarismo, Wicksteed, Pareto), mentre nell’ultimo capitolo vengono presentate alcune teorie sulla natura sociale della felicità e il suo rapporto con i beni relazionali, la partecipazione civile e le motivazioni intrinseche.

A proposito del “cosa fare”, ovvero dell’approccio indicato per invertire la rotta di una economia che non sa più spiegarsi i paradossi della felicità, l’autore cita l’impostazione dell’economista Tibor Scitovsky, uno dei capostipiti con Richard Easterlin degli studi sulla felicità, che affermava che “Il rimedio è la cultura”. Come non essere d’accordo? La teoria economica contemporanea non ha più gli strumenti metodologici necessari per affrontare il tema della felicità. Bisogna rendersi conto che il reddito o il consumo sono i mezzi, ma il fine è la felicità. Per ottenere questo è necessaria un’inversione di rotta che non sia meramente economica, né politica, ma che prenda le mosse da una presa di coscienza “culturale” che deve investire tutti gli ambiti sociali, da quello dell’istruzione a quello economico-finanziario e istituzionale.

Marco Cecchini


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