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L’editing non è un optional

Da Marcofre

Incredibile ma vero. Ancora adesso, non sono pochi gli scrittori esordienti che affermano con determinazione che se sei bravo non hai bisogno di editing.
Una domanda sorge spontanea: ma dove vivono costoro? Non tutti si possono permettere un lavoro di editing (in pratica solo quelli che pubblicano). Ma fare spallucce, e dichiarare che uno bravo si arrangia, ebbene significa mancare dei mattoni fondamentali.

Significa far passare il messaggio che scrivere è, sì insomma, una cosa così, mica ci vuole molto. Uno scherzo, un gioco da ragazzi.

Eppure basta poco per capire cosa c’è dietro la pagina scritta: impegno, ossessione, brama di lasciare qualcosa che sorprenda. Dietro ogni bravo autore esiste l’editor: non solo per sistemare le virgole. Ed è dimostrato quasi scientificamente che una virgola, messa nel posto giusto, cambia la rotazione dell’asse terrestre, sul serio. A volte, c’è una moglie. Pochi sanno ad esempio (io l’ho scoperto solo di recente), che Lev Tolstoj leggeva estratti dei suoi scritti alla moglie. E lei lo consigliava.

In “Guerra e Pace”, Sofia Tolstaja trovava brutta la parte militare, e ottima quella relativa alla psicologia dei personaggi. E Lev concordava con l’opinione della moglie (con cui ebbe un rapporto decisamente burrascoso, come si sa).
Non vogliamo chiamarlo editing (in fondo l’editing è anche altro)? Benissimo, diamogli un altro nome: “ciccioli” va bene? Ma senza quello scambio di idee, avremmo davvero opere così memorabili?

L’immagine dell’autore che compone da sé in solitudine, grazie a una linea diretta con gli Dei dell’Olimpo, è fasulla. Chi scrive, se ha qualche ambizione, deve per forza scambiare anche solo quattro chiacchiere con qualcuno. Ciascuno è libero di pensarla come vuole, e di agire come meglio crede. Quello che mi lascia senza parole è ritenere, o meglio ritenersi, già bravi. Nemmeno gli scrittori “arrivati”, premiati e osannati dalla critica, lo pensano sul serio.

Questo tradisce un’idea di scrittura che a me non piace e immagino di non essere il solo. Perché non si tratta di divertissement, al contrario. È una fatica e un cammino. Proprio per questo sarebbe meglio non essere soli. E liberarsi dalla presunzione di poter fare a meno di chiunque.

Sì, si può (si deve) lavorare sodo sulla propria scrittura. Leggendo molto, rileggendo e passando ai raggi X il lavoro dei migliori. Se è possibile, la frequentazione di una scuola di scrittura aiuta; ma ricorda sempre che non deve promettere nulla ed è necessario comprendere (per evitare fraintendimenti), che il grosso del lavoro spetta solo a noi, e basta.

Avere da qualche parte un libro con il proprio nome e cognome stampato in cima, non ha molto significato. Ormai stampare (su carta o su “digitale”), è uno scherzo. Gonfiare il petto e ritenere di essere più importanti perché: “Ho pubblicato, modestamente” è ridicolo.

La differenza ormai tra scrittori e coltivatori del proprio ego malato si è spostata altrove, su nuovi livelli. A occhio e croce oserei dire che questi “livelli” sono formati da talento, capacità di creare storie interessanti, trame efficaci, personaggi credibili. Per capirci al volo: quei personaggi che incontri sfogliando un libercolo in libreria, e devi acquistarlo per sapere come andrà a finire. Quale sarà il loro destino.

Eppure si tratta di persone di nessuna importanza, poveracci: come quelli di Carver.


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