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L’efficacia nella scrittura

Da Marcofre

Per secoli leggere, o scrivere, hanno rappresentato una fortuna per pochi eletti. Adesso è alla portata di tutti. È diventata un’abitudine, per nostra fortuna.

Il Web ha moltiplicato le cose da leggere. Testi, blog, Twitter, o Facebook, inondano le giornate con una quantità di contenuti impressionante. Sta educando una generazione di lettori a badare solo a quello che serve, è utile in quel momento. E basta.

La domanda potrebbe quindi essere: utile a chi? Utile per realizzare cosa?

Per i siti si parla di usabilità. Secondo Jakob Nielsen:

L’usabilità è un indicatore di qualità che ci dice quanto una determinata cosa è semplice da usare.

La sua definizione in realtà è più articolata (per chi fosse interessato, la si trova in “Web Usability 2.0″, in Italia pubblicato dalla casa editrice Apogeo), però possiamo fermarci qui e chiederci se ha senso applicare, magari coi dovuti correttivi, una legge del genere al libro.

La prima risposta, è no, ed è un no con tanto di orrore.

L’efficacia nella scrittura è un indicatore di qualità che ci dice quanto un concetto è semplice da comprendere.

Non ho fatto altro che prendere la frase del buon Jakob, e applicarla alla scrittura. Questa o è efficace oppure ci si sta applicando al monologo. Quasi mai l’efficacia viene presa in considerazione, perché a torto si ritiene che l’ispirazione guidi verso la gloria. Basta avere quella, e nient’altro. Tutto il resto, composto da riletture o riscritture, non viene nemmeno preso in considerazione.

Certo, mi rendo conto che è ardito usare termini come “indicatore di qualità”, anche perché la qualità cos’è? Ognuno ha la sua definizione, così come ciascuno può affermare che la bellezza, l’arte, il bene e il male sono concetti variabili.

Quando invece si mette al centro del lavoro di scrittura l’efficacia, esiste una buona probabilità di ottenere qualcosa che arrivi davvero a innescare, in pochi individui, un fenomeno sismico dagli esiti imprevedibili. E tutti coloro che biascicano di “quello che piace a me, può non piacere a te” o “quello che è bene per me, può non esserlo per te, e allora?”, rischiano di restare spiazzati.

Percepiscono infatti che esiste una via differente, che possono disprezzare, ignorare, ma che ottiene dei risultati che contraddicono il loro convincimento.


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