di Giuseppe Dentice
Il 16 e 17 giugno il Paese dei Faraoni è andato alle urne per eleggere dal secondo turno elettorale il primo Presidente della Repubblica dopo la trentennale era mubarakiana. Un appuntamento elettorale carico di tensioni anche a causa della recente decisione da parte della Corte Suprema egiziana di annullare i risultati delle consultazioni legislative dello scorso novembre e di sciogliere il Parlamento. Ad ogni modo, in attesa dell’ufficializzazione dei dati il quadro che sembra delinearsi vede in vantaggio Mohamed Mursi (52,4%) su Ahmed Shafiq (47,2%). In questo link la mappa elettorale e i dati ripartiti su base regionale in continuo aggiornamento.
Per capire cosa sta accadendo in Egitto occorre però fare un passo indietro.
Shafiq e Mursi al ballottaggio
Il primo turno dello scorso 23 e 24 maggio aveva decretato due risultati importanti: da un lato, la sostanziale sconfitta della rivoluzione egiziana e dei suoi leader e dall’altro, una grande indifferenza da parte della popolazione nei confronti dei candidati Presidenti. Infatti, su una popolazione elettorale di circa 50 milioni di aventi diritto, i votanti erano stati circa il 46%, ossia meno di un quarto della popolazione totale egiziana, con una scarsissima affluenza dei giovani. Nell’immagine sottostante la ripartizione dei voti su base regionale.
I due candidati usciti vincitori dal primo turno e che si sono affrontati nello scorso fine settimana di giugno sono l’ex Premier di Mubarak, Ahmed Shafiq, e l’ultra-ortodosso Mohamed Mursi, candidato di “riserva” della Fratellanza Musulmana dopo la squalifica per un cavillo burocratico di Khairat el-Shater – miliardario e uomo di punta della medesima organizzazione – da parte della Commissione elettorale egiziana.
Shafiq è un militare – ex pilota dell’aeronautica egiziana, di cui è stato anche comandante dal 1996 al 2002 – e fino al 2011, al momento della caduta di Mubarak, ricopriva l’incarico di Ministro dell’Aviazione. Nel gennaio del 2012 è stato nominato Premier ad interim per alcune settimane fino alla nomina di Essam Sharif, esponente dello SCAF (Supreme Council of Armed Force). Shafiq rappresenta, dunque, il candidato del vecchio regime.
Mursi è un’islamista leader di Giustizia e Libertà, braccio politico dei Fratelli Musulmani, espulso dalla Fratellanza dopo la sua decisione di correre come indipendente alle Presidenziali, ma appoggiato dai Fratelli dopo il siluramento di el-Shater. E’ un ingegnere e ha studiato negli Stati Uniti. Eletto per due mandati nei precedenti Parlamenti come candidato indipendente fino al 2005, è un noto attivista anti-israeliano ed è stato arrestato per motivi politici.
Nei loro rispettivi programmi elettorali, i candidati si sono fatti portavoce di diverse istanze di rinnovamento e, al contempo, di stabilità: in particolare, Shafiq si è mostrato come l’“uomo forte” dello Stato e garante della sicurezza del Paese; Mursi come sostenitore e possibile nuova bandiera della rivoluzione di Piazza Tahrir.
Il programma elettorale di Shafiq non è molto dissimile da quanto legiferato finora dallo SCAF, in quanto, in sostanza, è semplicemente una continuazione dei precedenti piani di governo attuati dai Premier succedutisi sotto la presidenza Mubarak. Il programma di Mursi, invece, sembra essere una sorta di contratto con gli elettori sui futuri impegni che il nuovo Presidente egiziano dovrà mantenere ed attuare.
Durante il primo turno elettorale il margine di distacco fra i due è stato pari allo 0,1%, ossia circa 300mila voti di differenza – Mursi ha ottenuto il 24,8%, mentre Shafiq il 24,7%. Negli ultimi sondaggi, Shafiq è risultato quasi sempre in vantaggio, anche grazie al sostegno totale da parte dello SCAF. Ed è sulla base di ciò che non dovrebbe stupire, nonostante i dati emersi dai primi scrutini, una sua “zampata” finale.
Una vittoria di Shafiq, di fatto, vorrebbe dire la fine di tutte le istanze rivoluzionarie e il ritorno allo status quo ante. Infatti, in assenza di un Parlamento e di una nuova Costituzione, Shafiq diverrebbe Presidente della Repubblica con gli stessi poteri assoluti di Mubarak. Il problema è capire se i militari saranno disponibili o meno ad abbandonare il potere – come da loro promesso all’epoca delle proteste del novembre 2011 – lasciando il comando dello Stato ad un loro uomo.
Invece, una vittoria di Mursi, che “inaspettatamente” potrebbe profilarsi, equivarrebbe ad un’affermazione degli interessi dei Fratelli Musulmani e spingerebbe lo SCAF a radicalizzarsi sulle proprie posizioni e a non fare alcun passo indietro. In questo modo Mursi sarebbe un Presidente accerchiato dai militari e senza più un Parlamento amico. In assenza di una nuova Costituzione, Mursi potrebbe invocare i poteri presidenziali quasi assoluti e governare pur in presenza pur in presenza della ferrea opposizione dello SCAF.
Ma in uno scenario del genere non è da sottovalutare il possibile ruolo dell’Alta Corte costituzionale che, essendo in mano ai militari, potrebbe decidere di dichiarare fuorilegge il possibile futuro Presidente islamico così come fatto recentemente con il Parlamento.
Programmi economici: le priorità per il nuovo Egitto
Da oltre un anno l’Egitto vive una congiuntura socio-economica difficoltosa, tale da portarlo sull’orlo di un collasso finanziario. Secondo gli ultimi rilevamenti del Fondo Monetario Internazionale , i principali indicatori dell’economia egiziana mostrato dati realmente preoccupanti: il PIL nel 2011 è cresciuto di quasi l’1% a fronte della media del 6% degli anni precedenti le rivolte; l’inflazione ha raggiunto circa il 13%; il tasso di disoccupazione è salito al 12% – allo stesso tempo quello giovanile è salito al 25% (ma stime non ufficiali danno percentuali più elevate) –; il deficit di bilancio ha toccato i 22,5 miliardi di dollari; le riserve valutarie sono precipitate dai 36,2 miliardi di dollari del dicembre 2010 ai circa 15,2 del 2012; circa il 40% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà dei 2 dollari giornalieri stabilita dalla Banca Mondiale ed, infine, il debito estero ha ormai superato i 35 miliardi di dollari, con un incremento del 3,6% rispetto all’anno precedente.
Ma siccome al peggio non c’è mai fine, pochi giorni fa le agenzie statunitensi Fitch e Moody’s hanno tagliato il rating del Paese da BB- a B+, sottolineando che “la probabilità di una continua debolezza ed instabilità macroeconomica, nonché le crescenti pressioni di spesa e finanziamento del bilancio, hanno portato al downgrading” dell’Egitto.
I problemi sono tanti e consistenti e da un punto di vista meramente elettorale i programmi economici sia di Shafiq, sia di Mursi non mostrano sostanziali differenze. Se le politiche di Shafiq saranno improntate sulla continuità con il passato e quindi sul neoliberismo, quelle di Mursi saranno tendenzialmente improntate verso una tradizione solidaristica propria della Fratellanza Musulmana egiziana e verso l’osservanza dei precetti musulmani e con un occhio interessato verso la finanza islamica. Ma al di là di ciò, anche la Fratellanza Musulmana vanta importanti ed influenti relazioni politico-economiche con i principali esponenti della classe affaristica egiziana che adottano i principi del libero mercato e della privatizzazione.
Di fatto, sia Shafiq, sia Mursi dovranno necessariamente far fronte ai problemi più imminenti della popolazione, ossia il finanziamento dei sussidi di energia e cibo (l’Egitto importa il 40% della prima e più del 60% del secondo) e il pagamento degli stipendi di 6 milioni di dipendenti pubblici, senza dimenticare che il governo dovrà negoziare con il FMI il prestito condizionale da 3,2 miliardi di dollari per finanziare progetti di governance, inclusione sociale ed economica e modernizzazione dei sistemi economici.
Parlamento sciolto e lo spettro del “golpe bianco”
Sullo sfondo della contesa elettorale, quel che più preoccupa è il rischio di un golpe bianco attuato dai militari attraverso l’esautorazione del Parlamento recentemente votato, senza spargimenti di sangue ma con l’obiettivo di azzerare la volontà popolare espressa con la vittoria delle frange islamiche.
Il Consiglio Supremo delle Forze Armate è il principale accusato e già reo di aver falsificato i sondaggi ufficiali del primo e del secondo turno, con lo scopo di influenzare il voto a proprio favore.
Insomma, l’Egitto è nel più totale caos e di certo la decisione della Corte Suprema egiziana di annullare i risultati delle elezioni legislative dello scorso inverno, con il conseguente scioglimento del Parlamento, per vizio di incostituzionalità non ha fatto altro che rendere la situazione ancora più incandescente. Sempre la Corte Suprema ha, inoltre, annullato la legge che avrebbe impedito ad Ahmed Shafiq di candidarsi, in quanto compromesso con il regime di Mubarak. Misure prese nell’evidente tentativo da parte della giunta militare al potere di contrastare l’avanzata degli islamici, ma che hanno sollevato invece nuovi attriti e proteste nel Paese.
La decisione della Alta Corte ha completamento rovesciato qualsiasi scenario politico immaginabile. Infatti, lo scioglimento del Parlamento – eletto tra novembre 2011 e febbraio 2012 – in realtà nasconde un altro problema ben più importante, ossia la questione della redazione della nuova carta costituzionale e dunque della definizione dei poteri del futuro Presidente.
La Costituzione, infatti, sarebbe dovuta essere riscritta da una commissione di 100 esperti di nomina parlamentare: essendo tale commissione espressione delle elezioni del novembre 2011, e dunque a maggioranza islamica, è stata osteggiata dalla giunta militare che ha sempre puntato a continui rinvii della nuova Carta nel tentativo di controllare l’intero iter di redazione. Così, lo SCAF, giocando sulle lacerazioni esistenti fra forze laiche e islamiste, ha sciolto l’Assemblea costituzionale rimandando a data da destinarsi la formazione di una nuova Assemblea e quindi la scrittura di una nuova Costituzione.
Come hanno fatto notare gli esclusi dalla corsa presidenziale Abdel Fotouh e Hamdeen Sabbahi, nonché l’ex Presidente dell’AIEA Mohamed el-Baradei, tale atto della Corte Costituzionale sembra assumere sempre più i contorni di un vero e proprio colpo di Stato e rischia di porre le basi per l’instaurazione di una dittatura dei militari a lungo temine.
Il destino segnato della rivoluzione
Se la caduta del regime trentennale di Hosni Mubarak aveva fatto pensare ad un passaggio da un’autocrazia personalistica ad un regime democratico pluralistico, oggi appare più evidente come il processo democratico sia ancora lontano e come, invece, i militari stiano pianificando un golpe bianco cercando di sfruttare a proprio favore le pressioni popolari per estendere e radicare in maniera forte la propria influenza sulla vita politica ed economica del Paese mediorientale.
La questione costituzionale, lo spinoso caso del processo a Mubarak, il ballottaggio elettorale e la grave crisi economica rappresentano pericolosi focolai di instabilità per l’Egitto e per il suo assetto laico di Stato. Così la rivoluzione di Piazza Tahrir e il suo spirito democratico rischiano di risultare gli unici veri sconfitti.
* Giuseppe Dentice è Dottore in Scienze Internazionali (Università di Siena)