Magazine Psicologia
... o la consapevolezza del nuovo politico
L’elefante è un animale dal fascino inconsueto. Possente ed ingombrante ma allo stesso tempo, fragile e attento. Nonostante il peso enorme, gli elefanti si muovono quasi senza fare rumore, con una straordinaria eleganza, quasi siano consapevoli di quanto la loro stazza possa mettere soggezione. Alla base del piede si trova infatti uno spesso cuscinetto di tessuto elastico, che serve ad assorbire il peso e che consente all’animale di camminare eretto sulle dita.
Normalmente gli elefanti procedono a una velocità di 6,4 km/h, ma possono raggiungere i 40 durante le cariche. Riescono a superare facilmente fiumi e laghi, in quanto l’acqua sostiene il loro peso, consentendo loro di nuotare per lunghe distanze senza stancarsi. L’elefante può vivere in solitudine, ma la vita in ambienti difficili, dove succede di affrontare lunghi periodi di siccità, ha insegnato all'elefante la solidarietà della vita sociale. Il branco, oltre a proteggere i piccoli non abbandona nessuno dei suoi componenti: quando uno di loro è ammalato o ferito, il branco lo assiste senza lasciarlo solo. L'elefante, abituato a vivere in compagnia, per tutta la vita condivide le paure e le abitudini del suo branco, solo alcuni esemplari, infatti, divenuti molto vecchi diventano anche "solitari". L'elefante viene spesso citato per la sua formidabile memoria, se subisce un torto, se lo ricorda per tutta la vita, per questo esiste il detto "ha una memoria da elefante".
Come l’elefante, il politico è un animale molto particolare. Solitario, poiché è solo nella solitudine della sua coscienza che regola il suo agire, ma al contempo, è colui che più di tutti ha bisogno del sostegno gruppale. L’eleganza politico sta nel saper gestire l’stinto che induce alla ricerca del piacere personale e quello del bene comune. La sua, la si può definire una visione “sistemica”, dove la componente principale è caratterizzata dal mantenere la varietà, ossia guardare ai vincoli da molti punti di vista, senza cercare di semplificare le situazioni, attraverso un approccio unificatore. Infatti, la vista, per l’uomo politico, come per l’elefante, può essere un punto debole. L’elefante, ha una conformazione cranica che lo porta ad una visione miope e confusa, attenta a ciò che sta nell’arco del suo raggio di visuale; per l’uomo politico la perdita della visione globale e delle conseguenze sul bene comune, possono portarlo ad una visione narcisistica che scotomizza tutto ciò che c’è intorno. Ecco perché ha bisogno di qualcuno che gli faccia da contrappeso. Come l’elefante dovrebbe essere in grado di capire che mantenere l'armonia del sistema non è responsabilità di un particolare supervisore, un leader accerchiato da sciocchi servitori. L’armonia del sistema è responsabilità di ogni singolo componente, anche di coloro che stanno nello schieramento opposto. Infatti è attraverso la consapevolezza dell’importanza della varietà che si dà origine a un sistema con un livello superiore di organizzazione. Per questo motivo non bisogna cercare di rimuovere le componenti avversarie perché ritenute antagoniste. Queste se sono presenti, servono per ricordare che non esiste solo una visione, ma una molteplicità di visioni.
E' forse per questo che si è scelto come patrono dei governanti e dei politici Tommaso Moro, un uomo che, pur essendo pienamente del suo tempo e quindi influenzato dagli schemi correnti, esalta i valori della libertà e della tolleranza. Dell’isola che non c’è, l’Utopia, di quel “non luogo” che avrebbe ispirato e continua a ispirare tante opere letterarie, Moro fa un laboratorio ideale, un “paradigma” del buon governo: l’isola di Utopia è un esempio unico di repubblica retta da un re filosofo, uno Stato i cui cittadini si impegnano a garantire a tutti il necessario sostentamento, un luogo dove la floridezza dell’uno soccorre alla povertà dell’altro. Quello di Utopia è un mondo alla rovescia, dove ognuno può seguire la religione o la parte politica che più gli piace, senza adoperare la violenza o gli insulti verso le altre. Oltre che per il richiamo al valore della coscienza, Tommaso Moro è un modello anche per la serenità nelle situazioni più drammatiche, cioè per quella virtù che è il senso dell’umorismo espresso in questa preghiera: «Signore, dammi una buona digestione e, naturalmente, qualcosa da digerire. Dammi la salute del corpo con il buonumore necessario per mantenerla. Dammi un’anima che non conosca la noia, i brontolamenti, i sospiri. Dammi il senso del ridicolo, fammi comprendere gli scherzi, affinché nella vita abbia un po’ di gioia e ne faccia partecipi gli altri».
La memoria dell’elefante lo porta a ricordare i torti subiti, ma l’uomo può ricordare per imparare ad imparare dal passato ed emanciparsi verso il futuro. L’uomo politico deve spronare la memoria, anche tra la sua gente, attraverso una politica culturale che sia protesa in avanti pur ricordandosi della propria storia. L’uomo politico, dovrebbe ricordare che la politica arruola ottimi artigiani e pessimi mestieranti. Non sempre sono nobili i motivi che orientano la preferenza dei cittadini a fare parte dell’uno o dell’altro schieramento; che la menzogna finisce per essere smascherata, e che oltre ad essere immorale è dannosa, più di quanto si presuma utile. L’uomo politico, dovrebbe ricordare che dire di no a richieste onerose per la comunità se pur doloroso, è doveroso e utile, poiché il consenso non sempre è la cosa più giusta. Il politico dovrebbe riconoscere gli adulatori e allontanarli in quanto, potrebbero alterare la sua percezione della realtà. La legge sta al di sopra di tutto, perciò, l’uomo politico dovrebbe vincere la tentazione di ignorarla col pretesto del vantaggio politico. Il miglior modo per chiudere la giornata, anche per l’uomo politico rimane comunque l’esame di coscienza.
Infine, come l‘elefante, l’uomo politico dovrebbe riconoscere quando il suo tempo si è concluso per potersi ritirare tra i saggi, lasciando il posto alla nuova linfa. Il riconoscimento della fine del proprio tempo, della propria stagione, fa dell’uomo politico colui che, mettendosi da parte e rinunciando al “gusto” per il potere, sprona le giovani generazioni a levarsi responsabili del proprio futuro. Questo potrebbe essere l’ultimo atto, un’uscita elegante e silenziosa, degna della massima riconoscenza.
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