Pur senza provare nessuna empatia per Renzi, non è difficile riconoscergli la parte del dominatore. Anzi, è un dato di fatto, che appartiene alla realtà e, quindi, così è. Altra cosa, però, è unirsi al coro di quelli che lo elogiano come un enfant prodige. Evito di discutere l’argomento relativo al congresso di partito divenuto il presupposto della sua nomina a Palazzo Chigi, tema pur decisivo, politicamente rilevante e democraticamente drammatico, ma che qui non interessa.
Vorrei, invece, delineare un tratto dell’antropologia renziana. L’ex sindaco è un corpo che desidera. Un corpo senza pensiero. Che desidera. Matteo Renzi conferma l’esprit postmoderno secondo cui l’età della ragione è finita, e d’ora in poi quel che conta è il caos irrazionale. È una peculiarità del suo agire registrata attraverso l’impiego di un linguaggio semanticamente indeterminato, che funziona all’oscuro del principio di non contraddizione. Un linguaggio che esprime le spinte volitive dell’uomo senza tradurle in un discorso dotato di senso.
Renzi è la versione aggiornata del bambino selvaggio: un adulto degli anni 2000, epoca in cui l’economia è diventata il soggetto del potere politico, che riavvolge il nastro della vita e si spinge indietro fino a un’età pre-linguistica, laddove il puro desiderio prevale sul pensiero.