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L'equilibrista

Da Suster
L'equilibrista
L'equilibrista avanza un passo alla volta.
Non pensa al dopo, nè al prima, pensa all'ora.
Non si volta a guardare quanta strada ha già fatto, sulla sua fune tesa, nè si distrae a contare i
passi che gli restano per arrivare dall'altra parte.
Non è l'arrivo per lui la cosa più importante, quanto il percorso.
Non è per vederlo toccare terra sano e salvo che tutti lo guardano, nasi in sù, ma per vederlo avanzare, un piede leva, l'altro metti, in linea retta su quella corda tesa, sospesa tra cielo e terra.
Non appartiene alla terra, in quel momento, e non appartiene al cielo: è un essere in bilico tra due realtà, si muove in equilibrio nello spazio sottile tra due baratri.
Mi vien chiesto di raccontare che tipo di mamma sono: daccordo, lo faccio. E che ci vuole?
Poi, più ci penso, e meno ne vengo a capo. Io a mala pena riesco a definirmi come persona, figuriamoci come mamma!
Mamma? Ah, già, perchè sono una mamma, ora. E chi se lo ricordava più! Dovrei segnarmelo da qualche parte, o rischio di cadere dalle nuvole ogni volta che qualcuno mi pone la domanda: "Com'è essere mamma?".
Ecco: nella difficoltà di raccontarmi, ho preso questa immagine.
E' così che mi sento, come mamma. Una mamma in bilico.
Sono alla perenne ricerca di un equilibrio, di un baricentro, di un centro di gravità permanente, se volete. Aggiusto continuamente il tiro mirando a un bersaglio in perpetuo movimento. Adatto i miei ritmi ai suoi, adeguo le mie abitudini alle sue.
Illudermi di poter fare il contrario all'inizio è stato un vano miraggio, e non è servito a molto: mi sono ritrovata sempre ad annaspare nella sabbia.
Ora ci sto provando, un passo alla volta, cercando il giusto equilibrio su quella corda tesa, che segna il percorso dei miei giorni. Tesa perchè se no inizia a oscillare e a ondeggiare a ogni mia più piccola incertezza, a ogni seppur lieve alito di vento: è tesa che deve stare.
Equilibrio, a pensarci bene, è una bella parola: contiene in sè anche l'idea di librarsi. E il significato di misura. Come fosse un librarsi in aria, ma con misura, senza esagerare.
Appunto.
Mi libro quindi, ma non sono un'acrobata: non so volare da un trapezio all'altro, volteggiando su me stessa in mille piroette. Procedo sulla mia fune, con calma e attenzione.
Non sono in grado di fare salti mortali, io; non riesco a fare bene più di una cosa insieme.
Faccio la mamma, per ora, e cammino adagio.
Perchè pensare a quel che verrà dopo? No, non ho bisogno di pensarci, ora: mi concentro sull'attimo presente, nel suo divenire, che già un momento dopo non c'è più.
E poi cosa mi sento?
Mi sento che ora ce la devo fare da sola, più o meno. Che sì: tanti ti guardano, da laggiù, e ti possono dare indicazioni, dirti "Che fai? Non così!" "Metti il piede là!", "Stai attenta che così non va!", ma là in cima ci sto io e basta, e la traversata sono da sola a farla. Lo so che da giù, con i piedi ben piantati sulla terra, tutto sembra più facile, e lineare. Lo so: ci sono stata anch'io.
Ma quassù è diverso.
Che sarà mai essere mamma? Non è poi così gravoso! Non ci vuole mica una laurea! Possono riuscirci tutte.
Sì', lo so, che l'ho sempre pensato anch'io. Ma convinta, eh! E che ci vuole! Sarà grosso modo come avere un cane... peccato che io ho sempre avuto solo gatti. E non giocavo con le bambole, da piccola.
Però ero una brava sorella maggiore, affettuosa, e molto protettiva. Orgogliosa anche, ma senza smancerie.
E così sono forse anche come madre, ma ancora devo spiegare bene a me stessa quale sia il mio ruolo, che forse mi sento ancora un po' troppo sorella maggiore, e poco mamma.
Ed è bello essere mamma? Mi chiedono ancora. Sì, bello. E' faticoso però, e questo non l'avevo messo in conto.
Ma non è per Lei, che sia faticoso.
La fatica più grande è questo divenire, questo percorso in equilibrio sospeso tra il non essere e l'essere madre. Amleticamente parlando.
Io non sto ancora nè di là né di qua: non so bene quale sia il mio posto e in effetti mi sento sempre un poco fuori posto.
Nei negozi, quando mi informo sul prezzo dei paracolpi per il lettino e la commessa mi domanda: "Di che colore è la cameretta? Così glie ne mostro uno abbinato" e io penso "Cameretta?", e divento io di mille colori mentre cerco una scusa per scappare con nonchalance perchè intanto ho sbirciato il prezzo nel catalogo.
Ai giardini, quando mi fanno indirettamente notare che la bambina è troppo piccola per giocare sul tappeto elastico ("Lorenzo, stai attento! Non saltare lì! Non hai visto che c'è una bambina piccolissima?").
Per strada, quando mi chiedono se non fa un po' troppo freddo per portare la bimba scosciata sul seggiolino della bici.
Ma intanto non mi sento più nemmeno di là: non rimpiango la mia vita senza di Lei, i tempi sfasati, gli orari impossibili per conciliare due lavori e le uscite notturne con gli amici, la libertà di prendere e andare...
Anzi sì, quella un poco mi manca. Ma ne ho acquisite altre di libertà: la libertà dei pomeriggi stravaccata sul tappeto a giocare senza sensi di colpa; la libertà di cantare male canzoni stravecchie, e ci sarà sempre qualcuno che mi ascolta rapito, perchè non ha mai sentito niente di simile in vita sua; la libertà di mettere i calzini a righe con le scarpe aperte, sotto i leggins e i pantaloni al ginocchio, vestirmi a minchia, uscire spettinata e ricevere complimenti lo stesso; la libertà di non avere impegni inderogabili; la libertà di rimandare tutto ad altri tempi, e nel frattempo pensare solo a star con Lei.
E così a volte ancora indugio tra queste due estremità della corda tesa, ciò che lascio, ciò che mi aspetta, troppe cose da finire, lasciate a metà, sospese anche loro.
Chissà che madre diventerò.
Per ora sono una madre che gira in bicicletta con la bimba sul manubrio, e che a volte canta pedalando.
Sono una madre che se il biscotto che sta mangiando finisce a terra, lo raccoglie, ci soffia sopra, si guarda intorno, e glie lo ridà.
Sono una madre che "E vabbé se vuoi proprio mangiarti la pianta grassa fallo; se devi urlare così ti lascio in pace: magiatele, vedrai che schifo che fanno" e corro a vedere su internet se mai non fosse tossica, la pianta, che mi si avvelena la bambina.
Sono una madre che anzicché andare a dormire presto per svegliarsi all'alba e iniziare a pulire casa, rimane alzata fino alle due davanti al computer, e la mattina riemerge dal suo coma al suono di "Mamma be-be!"
Sono una madre un po' distratta, ma senza esagerare. Un po' arrangiona ma senza sbragare. Ritardataria, ma sto migliorando. Leggermente sboccata, ma cerco di rimediare. Piuttosto pigra, ma da quando Lei gattona il mocio è diventato un appendice di me, e la scopa elettrica è perennemente in carica.
Stringo il mio bilanciere e mantengo l'equilibrio, aspettando il momento in cui ci saprò danzare, su quella corda tesa.
Che poi il mio bilanciere sarebbe Lei.
E' lì, seduta, che mi guarda, accigliata.
"Be'?" Le chiedo, sperando che emetta il verdetto finale con cui chiudere questa autoanalisi che sta diventando penosa.
"Be-Be!" Mi risponde.
Perfetto!
Con questo post partecipo al contest di Mamma Moglie  Donna, Festa della mamma: festeggiamoci raccontandoci (bisogna vedere se verrà ammesso!)
L'equilibrista

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