Magazine Lavoro
Così nei cortei fiammeggianti di bandiere rosse, in questo sabato romano allietato da un sole benedetto, sembra tornare l’eco di anni lontani, di una nuova possibile alleanza tra operai e studenti. Anche se non c’è oggi, bisogna pur dirlo, come c’era all’epoca, un possente e radicato movimento autonomo di studenti e di operai, portatore di obiettivi vincenti. Avanza però, nelle scuole una ribellione di massa. E i segnali di questa rivolta sono tutti presenti, attorno alla Cgil.
A cominciare dal fatto che il corteo principale mostra alla testa, per la prima volta nella storia sindacale, proprio i giovani. Giovani lavoratori e giovani studenti. Un segnale importante. emblematico, voluto dal nuovo segretario generale. Innalzano gli striscioni di una campagna aperta su nuovi strumenti di comunicazione come Facebook, per denunciare il diffondersi di offerte di lavoro vergognose. Ora eccoli a ripetere che i giovani “non sono più disposti a tutto”, a ripetere che il futuro deve essere dei giovani e del Paese.
Sono ragazze e ragazzi abituati a essere ultimi non solo nei cortei ma anche nelle trattative, anche nelle contrattazioni sindacali. Prima vengono quelli del posti fisso poi, se avanza qualche risorsa, tocca a loro. Ora sono riconosciuti, con la Camusso che invita i tanti dirigenti sindacali ad aprire le sedi, a darsi da fare. Magari cominciando dalla raccolta di adesioni per evitare quella trappola dei 60 giorni posta in essere dal governo col suo collegato lavoro. E’ la norma, voluta dal ministro Maurizio Sacconi, che “concede”, senza far troppo chiasso, 60 giorni di tempo, dopo i quali i precari non potranno mai più ricorrere a un giudice per far valere i propri diritti.
La Cgil così tratteggia meglio la propria identità attorniando i “padri” dai “figli”, senza mettere gli uni contro gli altri. E’ proprio ancora lei, la Camusso, a ricordare quelli che vorrebbero aumentare l’età pensionabile degli anziani proprio per lasciare i giovani agli ingressi dei cancelli delle imprese. Così Piazza San Giovanni prende le fattezze di un coro fatti di mille voci: metalmeccanici, impiegati pubblici, insegnanti, immigrati. Una piazza ribollente ma in parte diversa da quella di poche settimane fa, organizzata dalla Fiom-Cgil. L’incontro di questo sabato ha una predominanza assoluta di vessilli Cgil e non partitici. Ecco perché appare un po’ stridente il titolo apparso su “Conquiste del lavoro”: “La Camusso riporta in piazza i politici”. Certo è una manifestazione politica ma per i suoi contenuti sindacali (che chiamano in causa la politica e soprattutto il centrodestra) e non per gli emblemi di partito. Certo ci sono molti dirigenti del Pd a cominciare da Bersani e dalla Bindi, così come della Sel, della Federazione delle sinistre, dell’Idv, ma senza vistose intromissioni nei cortei. Con una condivisa opinione sullo stato del Paese e sulla necessità di uscirne.
C’è chi alla fine vorrebbe una proclamazione, dal palco di piazza San Giovanni, di uno sciopero generale. La Camusso si limita a dire “Abbiamo scioperato e continueremo a scioperare''. Ricordando, così, gli scioperi generali già fatti. C’è chi interpreterà tali parole come una presa di distanza dalla Fiom. A chi scrive appare soprattutto come la consapevolezza che una scelta impegnativa come questa ha bisogno di preparazione, e se possibile di unità, di un movimento già in piedi. Perché è utile riflettere su quale danno insopportabile provocherebbe, in queste condizioni politico-sociali, un flop dello sciopero generale. Le spallate, se si vogliono dare, non possono tradursi in spallatine. Occorre saper indicare un “paese diverso”, anche attraverso un “sussulto etico” (parole della Camusso). Un “sussulto democratico “ come si diceva un tempo.
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