In questi giorni ho cercato di parlare della questione della toponomastica di montagna con molte persone. Volevo capire se il palleggio di opinioni e posizioni che si leggono sui giornali aveva un pubblico (e soprattutto che tipo di pubblico). Si tratta, sono giunto a questa conclusione, di un numero di persone inferiore a quel che si potrebbe credere. Ma soprattutto è un pubblico stanco, rassegnato, talvolta persino disgustato. Questo dà adito a due tipi di considerazioni: o siamo in presenza di un atteggiamento di grave sottovalutazione di problemi che potrebbero quindi poi aggravarsi ed estendersi ad altri ambiti relativi al rapporto tra i gruppi linguistici; oppure un tale atteggiamento è pianamente giustificato e bisognerebbe finalmente cogliere l’occasione per spengere i riflettori su polemiche che s’infiammano ciclicamente senza portare mai a nulla di concreto. Intanto, anche il ministro Fitto pare aver capito che qui le cose non si risolvono a colpi d’ultimatum. E visto che adesso abbiamo ancora tempo, possiamo illustrare un’opposizione di base, quella che a mio avviso divide la fazione dei fautori di una toponomastica bilingue quanto più estesa (secondo la lettera dello statuto) e quella dei fautori di una sua drastica riduzione (per togliere visibilità alla sciagurata opera di Ettore Tolomei). I primi, in genere gli “italiani”, dovranno dunque essere visti come affetti da una particolare forma di esotismo (ancorché invertito nella direzione). I secondi, i “tedeschi”, da una particolare (e contrapposta) forma di arcaismo.
“L’esotismo – c’informa Wikipedia – è un fenomeno culturale che tende ad esaltare forme e suggestioni di paesi lontani (…) caratterizzato da un fervido apprezzamento di luoghi, popoli e costumi stranieri e talvolta anche dal contemporaneo svilimento pessimistico del costume e delle tradizioni patrie”. È evidente che qui il costume e le tradizioni patrie svilite non siano le proprie – queste sì, divenute ormai esotiche – ma quelle degli “altri”, degli autoctoni di più lunga data, e l’insistenza sul mantenimento di tutti i nomi in lingua italiana coincide anche con l’incapacità di affrontare criticamente la loro matrice storica.
L’“arcaismo”, invece, nasce come fenomeno letterario dato dal recupero di forme stilistiche antiche. Ma noi qui possiamo leggerlo come volontà di restaurazione tout court, impulso alla preservazione di una purezza che è figlia del mito dell’origine e non tollera altro che il ripristino assoluto di questa origine.
Ora, è possibile che i nostri amanti dell’esotismo vadano finalmente d’accordo con quelli dell’arcaismo? Occorrerebbe che gli uni e gli altri ponessero mano a una profonda trasformazione della loro mentalità prevalente. Come sappiamo, la cosa più difficile di tutte.
Corriere dell’Alto Adige 7 luglio 2010






