Magazine Psicologia

L’esperienza del dolore

Da Renzo Zambello

L’esperienza del dolore

di Sabrina Costantini

Parlo “dell’esperienza del dolore”, perché “sentire dolore” è un’esperienza, un vissuto soggettivo che impernia ogni parte di noi, che difficilmente trova una descrizione e un senso. Non di meno, esperire dolore costituisce un’esperienza umana condivisa e condivisibile. Il dolore è una condizione emotiva estremamente intensa e irrazionale, che coinvolge la componente psichica e corporea. Ne sono una chiara espressione tutti quei modi di dire, che descrivendo l’emozione, richiamano il vissuto corporeo: “un dolore che trafigge il cuore, spezza il cuore, sconvolge la mente, un dolore che fa uscire di senno, che trapassa le membra, ecc.”

Il dolore è un’esperienza totale e totalizzante, che da condizione psichica si riverbera su quella corporea, generando stanchezza, spossatezza, deperimento, astenia, amnesia, ecc. Non solo, qualsiasi dolore corporeo, coinvolge il dolore psichico, anzi la sua origine è di natura psichica. La realtà che viviamo infatti, non è quella materiale, bensì la rappresentazione che noi ce ne costruiamo. Ciò che determina il sentire e l’agire, non è dato da quanto realmente succede, ma da ciò che pensiamo stia succedendo e dal perché riteniamo, stia succedendo. La qualità del nostro vivere è determinata da ciò che vediamo e rappresentiamo, di noi stessi e del mondo.

Una qualsiasi “ferita organica” quindi, richiama l’immagine che ci siamo costruiti del nostro corpo, con le sue potenzialità, risorse, limiti, le convinzioni circa la sanità e la malattia. In altri termini, si sovrappongono una serie di fotogrammi, costituiti dalla rappresentazione del corpo integro, del corpo sano, del corpo ideale, del corpo malato, della ferita o lesione. Il dolore organico inoltre, è una sofferenza limitata e confinata ad una specifica parte. La mobilizzazione psichica ed emotiva invece, è molto più diffusa, generalizzata ed intensa, quindi difficilmente delimitabile.

L’attenzione e l’iperinvestimento sul corpo leso, produce da parte dell’Io, non una riduzione bensì un incremento del vissuto di dolore, che risulterà ancora più intenso di quello organico. Il vissuto è sostanzialmente di perdita d’integrità, sanità, benessere. Il corpo non è più compatto e unico, con sé stesso. “Il corpo ci tradisce”, esce dal nostro controllo.

L’orientamento primario della vita, è costituito essenzialmente dalla ricerca di piacere, unita all’evitamento del dolore. Quest’ultimo infatti, viene vissuto come una minaccia all’integrità dell’organismo (Lowen). Come se fosse predittore di una situazione pericolosa e nociva, da cui l’Io cerca di proteggerci. Il dolore, risulta anche una minaccia all’integrità psichica, come tale può essere visto come il segno del presentarsi di una “prova”. Ci mostra che siamo in procinto di varcare una soglia, di affrontare una prova decisiva. La prova di una separazione, da un “oggetto” che, lasciandoci improvvisamente e definitivamente, ci scombina l’equilibrio interno ed esterno e ci costringe a ricostruirci. 

L’”oggetto” può essere un umano a cui siamo legati e la cui separazione è determinata da chiusura di una relazione, abbandono, rifiuto, o morte. Può anche essere una parte del nostro corpo, il corpo nel suo intero (pensiamo alle malattie, lesioni organiche, amputazioni), uno o più oggetti del mondo materiale, quali la distruzione della casa dopo una calamità, la perdita d’oggetti significativi, ecc.

In ciascuno di questi casi, in gradi diversi si verifica un’intensa esperienza di dolore. Tutti legati all’amputazione di un “oggetto amato”, così importante da regolare l’armonia, dell’attività psichica. La perdita improvvisa della persona amata, come parte integrante e strutturante della quotidianità, ma soprattutto delle relazioni oggettuali esterne ed interne, lascia un vuoto privo di senso. Ne consegue sconforto, confusione, smarrimento. Come se la persona, non avesse più chiaro dove collocarsi, qual è il suo posto nel mondo ed il senso della sua esistenza. Si è spezzato bruscamente il legame con l’altro, che attribuiva un significato, riempiva il bisogno relazionale, l’amore mancato, la conferma. Un pilastro fondamentale della stabilità.

La persona si sente sperduta, come se avesse smarrito una parte di sé. Il suo mondo interno, ne risulta amputato. Il dolore diventa una costante emotiva, una sorta di tunnel scuro, dove non c’è visibilità, non c’è possibilità di differenziare e scorgere alcunché, se non l’oscurità stessa. Oscurità, nero, che all’inverso rimanda al bianco, condizione costellata d’assenza e vuoto, fino ad includere depressione bianca (Green). Non si sa da che parte andare e non si sa, se ha ancora senso andare.

In effetti il bianco e il nero, rappresentano i due movimenti difensivi che generano il dolore stesso (Nasio). Da una parte si riscontra il disinvestimento, ritiro dell’interesse e attenzione dalle usuali attività, progetti, relazioni. Un ritiro emotivo ed energetico dalla quotidianità abituale. Da cui il dolore da “deperimento”, da collassamento, svuotamento dell’Io. Non c’è più interesse per niente e per nessuno, neanche per sé stessi. Dall’altra si verifica un dolore cogente, dato da iperinvestimento della rappresentazione della persona amata (o di ciò che si è perso), una contrazione su un unico punto, esaurimento dell’Io, occupato unicamente ad amare chi non c’è più. Si succedono ripetutamente e incessantemente ricordi, frasi, silenzi e gesti.

Si crea un ulteriore dolore, nella misura in cui tanto amore e tanta dedizione si scontra con la realtà della mancanza. Inoltre, tanto investimento su un’unica rappresentazione, contrasta con la desertificazione circostante, data dal disinvestimento delle altre rappresentazioni. La rabbia a cui si lega inesorabilmente, è altrettanto cieca, non ha una direzione né una fine. Diventa impotenza estrema, paralizzante. Non c’è un bersaglio contro cui rivolgerla, se non, insensatamente contro sé stessi e chi se n’è andato.

Talvolta la rabbia, rischia di essere proiettata in un falso oggetto esterno, causa dell’accaduto. Proiezioni, che allontana da quanto sta realmente accadendo dentro di sé. La battaglia interna, viene spostata all’esterno, senza possibilità di soluzione alcuna. Non potendo riportare in vita chi se n’è andato, l’individuo ritira sé stesso dalla vita, per ricostruire la relazione perduta, attraverso il disinvestimento (morte di attenzione, concentrazione, vitalità, espansività, pensiero, emotività). Questo stato emotivo, sospeso fra la vita e la morte, rappresenta l’unico spazio possibile di relazione.

Il grado di sofferenza, la qualità della perdita interna, il vissuto di “inconsolabilità”, differisce in base alla natura del legame e al tipo di nutrimento ricevuto. La perdita, svela in massimo grado, ciò che rappresentava la persona cara. Il lutto costituisce quindi un limite, una chiusura, una separazione ed una nuova apertura.

Il limite oltre il quale non ci è dato di andare, perché la morte è un evento incontrollabile e incontenibile. La chiusura di una parte di sé, funzionante solo in relazione con l’altro. Chiusura di una serie di rappresentazioni di sé, che non sono più adeguate alla realtà. Rappresenta una prova di separazione dalla persona reale e dal ruolo assolto dalla stessa, nella costruzione del proprio equilibrio ed identità.

Elaborare il lutto, significa trovare un senso, a tutto quel dolore incomprensibile e insensato. Ritrovare integrità, grazie al connubio fra il pensiero con le sue spiegazioni e il cuore con i suoi movimenti emotivi. Le rappresentazioni di sé quindi, si modificheranno e rinnoveranno.

Come tale, una separazione conduce a nuova apertura. Impone alla persona di trovare su sé e in sé, quelle funzioni di sostegno, amore, riempimento, rassicurazione, fino ad allora rivestite da chi se n’è andato. Con la perdita della persona amata, si perde l’attesa. Cessa di esistere un tempo ed uno spazio di separazione e di successiva riunione con essa. L’apertura a sé, implica che l’attesa e la riunione diventi un filo conduttore di sé stessi, ciò che unisce le fasi vitali, le varie capacità, le mancanze, le relazioni, i cicli emotivi, con gli alti e i bassi, i rimproveri e le consolazioni.

Ciò che sembra inevitabile e necessario nel mondo concreto, non lo è in quello interno. La separazione emotiva è il frutto di un percorso duro, difficile, che richiede molta forza e costanza. Infatti, nonostante il mondo reale rimandi all’assenza, il mondo interno sotto spinta del dolore, si ostina a voler tener presente e vivo. E’ un atto di grande coraggio e forza affermare a sé stessi “mi arrendo! Smetto di oppormi alla realtà”.

L’accettazione dell’assenza reale e permanente dell’altro, rende possibile l’elaborazione del lutto e il graduale reinvestimento delle attività, relazioni e interessi, da cui era stata ritirata attenzione e vitalità. Se non si produce accettazione, persiste la condizione di dolore e assenza, fino ad arrivare nei casi estremi, a situazioni “dell’amato fantasma”, in analogia con il fenomeno “dell’arto fantasma”, “percezione impazzita”, volta a colmare la mancanza reale dell’altro, con una presenza allucinata percettivamente.

Elaborare il lutto, comporta lasciar andare l’altro nelle dimensioni della perdita, arrendersi alla propria condizione di vita, contrapposta a quella di morte. Processo che, richiede un gesto di grande amore per sé stessi e per il mondo circostante, che rappresenta la vita. Arrendersi quindi a ciò che poteva essere e non è stato, alla mancanza di possibilità ulteriori, alle cose non dette, che cadranno nel silenzio.

Quanto visto sulla perdita reale di una persona amata, è parimenti valido per ciò che concerne la perdita di altri tipi di oggetti: corpo sano, oggetti materiali, ecc. Pensiamo ad esempio alla perdita dell’integrità del corpo, com’è nel caso di una malattia che altera il normale equilibrio e le usuali potenzialità, introducendo dei limiti e la riduzione della funzionalità. Anche in questo caso, non c’è ritorno alla condizione precedente, pur nell’ipotesi migliore, di ripristino totale della funzione.

La condizione di malattia infatti, ha messo alla prova, ha scardinato l’idea di integrità, l’immagine di “corpo sano”, “indistruttibile”. La nuova condizione d’equilibrio, include inevitabilmente l’esperienza di mancanza, di dolore, di un corpo che va incontro a deterioramento e malattia. Per non parlare delle situazioni in cui, non c’è possibilità di restitutio ad integrum dell’organo, funzione, ecc. Maggiormente si richiede una separazione dal corpo integro e ideale, per una ricostruzione e riorganizzazione della rappresentazione di sé, incluso il sé corporeo e le relative attività. E’ necessario ridurre l’investimento della parte malata, che comporta un deprimento della persona nella sua totalità, in direzione di un nuovo investimento in ogni parte di sé. Il processo di elaborazione del lutto, è anche in questo caso indispensabile e vitale e attraversa le stesse fasi prima descritte.

Il tipo di reazione, il vissuto di dolore e perdita, dipendono dalla funzione attribuita al corpo intero, rispetto al vissuto di identità e valore. Quanto cioè, il senso di identità stabile e articolato, dipenda dall’immagine del corpo “integro” e “perfetto”.

Il dolore quindi, con i suoi processi (disinvestimento-iperinvestimento) è un fenomeno naturale e sano. Il grado di tale processo e la durata dipendono dalla strutturazione sottostante, dal tipo di organizzazione mentale-emotivo-relazionale. Ovvero, dal tipo di ruolo e dalla funzione nella dinamica interna, assolta dall’oggetto perduto.

Nel caso di persone con una “ferita di non amore” (Schellembaum) profonda e cronica, la perdita di un caro, scardina in modo più consistente e disorientante l’equilibrio. Perché riapre una ferita profonda e originaria, che ha connotato le relazioni importanti di “bisogno vitale”. La perdita quindi, lascia totalmente inermi.

Nello stesso modo, la perdita di sanità, di integrità del corpo o di un oggetto importante e simbolico come la casa, costituisce una condizione altamente traumatica, per chi possiede una ferita narcisistica significativa. Questi in effetti, si avvale di elementi esterni per colmare la mancanza interna e i diritti lesi nell’infanzia, che pertanto assumono valore irriducibile.

Di fondo e comune a tutte le persone, rimane il significato sottostante quest’esperienza. Il dolore e il lutto, costituiscono una rinnovata occasione per comprendere le proprie ferite e poterle lenire.

La perdita è una “disgrazia”, ma nello stesso tempo fonte di comprensione e crescita, quindi prerequisito per una nuova condizione di “grazia”.

E’ come se il dolore creasse uno squarcio, uno strappo nel mondo interno, che nello stesso tempo, rappresenta una nuova via, un’apertura alla ricostruzione di sé. Inconcepibilmente ma inevitabilmente, l’esperienza del dolore diventa contemporaneamente, fonte di tormento e grande ricchezza.

“L’amore è un’attesa

e il dolore

la rottura improvvisa e imprevedibile

di questa attesa” (Nasio)

Bibliografia

Freud S. Lutto e malinconia. In Metapsicologia (1915), in Opere, vol. VIII, 1976, pp. 103-105, 115, 117-118. Boringhieri.

Green A. (1985). Narcisismo di vita narcisismo di morte. Borla.

Lowen A. (1983). Bionergetica. Feltrinelli.

Nasio J.D. (2005). Il libro del dolore e dell’amore. Edizioni Magi.

Schellembaum P. (1991). La ferita dei non amati. Red Edizioni.

da: www.vertici.it


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