Mr. Crap si siede sulla sua scrivania cosparsa di mille cianfrusaglie che nella luce soffusa della stanza creano un piccolo capolavoro di pittura astratta. Il fumo della sigaretta accesa gli fa socchiudere gli occhi in uno sguardo tra l’intellettuale pensatore e il misterioso uomo a contatto con la natura.
Apre il suo portatile, eternamente in stand by, la ventola surriscaldata trema al solo pensiero di un’altra giornata di lavoro. Il suo volto si illumina accecato dalla luce di una diagonale di 15 pollici. Google Chrome, The New York Times per sentirsi intelligente, Facebook per passare la giornata, Piratestreaming per sentirsi meno solo.
Si getta subito sulla seconda scelta: una lettura veloce ai pochi messaggi, una lettura lenta alle notifiche e poi si sofferma sulla bacheca. Scorre, saltando da un post ad un altro, tra un album di foto di vacanze ad un album di tette mezze scoperte nei bagni di casa e alla fine si sofferma su una frase. Qualcuno alla fatidica domanda “A cosa stai pensando?”, ha risposto con un “Cogito ergo sum”.
Il suo sguardo cade sul nome dell’utente: Cartesio. “Wow, intelligente questo Cartesio!” pensa. ”Che frasona! Cosa significa? Che lingua è?” si domanda. Una breve ricerca su Google e la risposta arriva: penso quindi sono. ”Profondo, ha ragione!” dice.
Domani, alle 8 di sera, Mr. Crap si impiccherà nella sua stanza lasciando un biglietto con su scritto: ”Sono un artista perché ho disegnato un cazzo su un muro, sono un fotomodello perché mi hanno fotografato in discoteca, sono un fotografo perché ho fatto le foto alla fiera del cinghiale di Zattaglia, sono un poeta perché ho scritto una poesia quando Mrs.Dory mi ha lasciato, ma alla fine per mantenermi faccio il corriere. Non so più chi sono. Mollo tutto. P.S. Ho copiato questo testo nella mia bacheca, mi aspetto qualche Mi piace.”
Illustrazione di Davide Bart. Salvemini
ll perché di quest’azione sta a voi definirlo, ma io Mr.Dave ho una teoria e sono qui per esporvela. Per lavoro, o per meglio dire per un lavoro che spero di far veramente a scopo di lucro (sapete non è così scontato), passo ore davanti al computer, disegnando, studiando, e osservando le correnti e le mode del momento in internet. Navigando tra pagine Facebook, blog, riviste specializzate e siti personali, mi meraviglio, entusiasta, dei lavori e della vita di alcuni personaggi che, stando ai loro scritti, fanno della loro passione un vero lavoro.
Così mi trovo spesso a digrignare i denti, scosso da fermenti di invidia, perché io quella vita non l’ho ancora vissuta. Poi mi rilasso, li contatto, gli parlo con un inglese maccheronico accorgendomi che sono come me, alcune volte con qualche vittoria in più, ma comunque persone che, per fare quel piccolo gesto mediatico, si sono dovuti muovere con un masso legato alla schiena.
Sorrido, come Lucrezio felice, osservando il naufragio seduto sulla terra ferma in “De rerum natura”. Internet, o per meglio dire il mondo digitale, offre la possibilità a chiunque d’essere un altro, un personaggio a cui sempre si è ambito. Il motivo credo sia più complicato di quello che sembra.
Nei rapporti sociali reali che si creano anche in un comunissimo pub seduti a bere una birra, il confronto dell’essere e non essere si smuove e si realizza attraverso la presentazione di prove che, passando da una foto di un ipotetica mostra al disegno concreto su carta, si concretizza nella gestualità, nello sguardo e nella sincerità che si crea, parlando faccia a faccia, con il proprio interlocutore. Tutto questo tradotto in bit si trasforma nel “mi piace”, nel commento positivo o negativo o, nel peggiore dei casi, nel completo disinteresse.
La foto che tanto elogiamo nel nostro profilo, è semplicemente il nostro sguardo sull’evento appena avvenuto, eliminando ciò che è futile (o veritiero?) per il nostro ego. Alfred Hitchcock diceva che: “Un dramma è come la vita, ma con le parti noiose tolte”; se mi permettete vorrei utilizzare questa metafora per definire ancora meglio il mio pensiero.
Sulla nostra pagina mostriamo solo ciò che vogliamo, solo quello che reputiamo giusto, tappezzando la nostra “divisa digitale” di stemmi e medaglie fasulle, rendendo praticamente nullo il confronto sociale. Questo perché se le uniche prove sono le nostre scelte ed il nostro “avatar” si confronta senza mostrarsi, l’utente diventa come uno dei tanti boss di “007″ che, nascosto nel buio, gestisce le malefatte attraverso i suoi scagnozzi aumentando a dismisura la propria aura malefica, smascherandosi alla fine come una persona normale, spesso al limite del ridicolo, semplicemente con tanti problemi psicologici.
Paradossalmente il nostro io può trasformarsi infinite volte, in infiniti personaggi diversi; uno nessuno centomila dice Pirandello. Siamo l’apoteosi del sabotaggio psicologico e dello spionaggio surreale, detective e ricercati, milioni d’anime cibernetiche comandate da un unico corpo fisico. Invio. Salva. Bip. Spengo il computer…no aspetta un’ultima occhiata sul profilo Facebook, è importante! Sono amorale lo so, magari è solo un grido d’aiuto.