L’estate mundial ebbe inizio la mattina del 14 giugno 1982. Davanti ai tabelloni esposti nell’atrio del liceo, si era radunata una torma di teste e braccia ondeggianti che emettevano voci. Non avevo fretta di farmi avanti, il timore chiudeva il petto. Latino dovevo averlo recuperato con l’ultimo compito, e comunque potevo vantare dei buoni orali. Per greco la situazione si presentava confusa: nel secondo quadrimestre ero partito con un 3 di versione, poi era stato un crescendo di voti, ma la media mi tratteneva ancora sotto il 6. Matematica andava decisamente peggio: scritti tutti insufficienti tranne quello di recupero, 6 e mezzo in trigonometria. Quando misi finalmente a fuoco la riga con il mio nome e scorsi l’elenco delle materie, scoppiai in una risata incredula. Ero stato promosso in seconda. L’unico della classe insieme a Mariangela. Sette respinti e tutti gli altri rimandati a settembre. Una strage. Più che a esultare, trascorsi le ore successive a confortare Mauro, il quale si era beccato due materie e mi mandava ripetutamente a fanculo.
Nel pomeriggio ci ritrovammo a casa sua, Lanfranco, Enzo, Fabrizio ed io, per l’esordio dell’Italia contro la Polonia. Davanti al televisore, sprofondati nel divano o stravaccati sul tappeto tra patatine e bicchieri pieni di coca-cola, avevamo virato i discorsi dall’esito dell’anno scolastico ai pronostici per il Mondiale spagnolo. Nessuno di noi credeva nelle possibilità della Nazionale, anzi Mauro ci vedeva fuori già al primo turno. Io esprimevo un parere meno pessimista: Perù e Camerun potevamo eliminarli, in seguito non avremmo avuto più molte chance.
Alle 17,15 in punto l’arbitro francese Vautrot fischiò l’inizio dell’incontro. L’Italia partì tesa e contratta, condizionata dalle polemiche giornalistiche della vigilia, presto però prese in mano le redini del gioco costruendo diverse occasioni da rete. Nel secondo tempo Tardelli colse pure una traversa, e alla fine sfiorammo una vittoria che con più determinazione avrebbe potuto appartenerci. La prova sembrava comunque incoraggiante, pur con le solite lacune la squadra aveva destato un’impressione favorevole. Si trattava adesso di fare bottino pieno contro sudamericani e africani, impresa ampiamente alla nostra portata.
Salutai i miei compagni, largheggiando in pacche sulle spalle e battute sceme. Un paio di giorni dopo sarei partito per Gressoney, dove sarei rimasto sino ai primi di settembre. Mi attendeva un periodo senza libri ma non del tutto riposante. Anche quell’anno Claudio mi aveva proposto di lavorare al Tennis come barista tuttofare, compito che sapevo piuttosto impegnativo sebbene costituisse una vacanza per la mente. Così, mentre mi dirigevo verso la fermata dell’autobus, alzai lo sguardo al cielo terso che imbruniva sopra i tetti e pensai che l’estate era davvero cominciata. Roba da non crederci.