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L’eterna lotta tra il papero e le vespe

Da Paperoga

L’eterna lotta tra il papero e le vespe

Assodato dunque che ho sempre vissuto immerso nelle mie molte fobie, ma che da nessuna mi sono fatto soverchiare, negli anni molte di queste sono scomparse da sole, quasi senza accorgermene. Per carità, continuo a non fidarmi dei cavalli e alle giostre il massimo del brivido per me sono le macchine da scontro, e certamente non mi lancerei col paracadute nè prenderei brevetti da sub a 40 metri di profondità come fa quel pazzo di mio fratello Pfaff.  Però da fuori non sembro più un nevrotico paranoide che teme il troppo alto, il troppo basso, il troppo veloce, il troppo stretto e il troppo ringhiante.

Però ancora qualcosa me la trascino dietro, inutile negarlo. Ad esempio soffro ancora di sfecsofobia, ben più banalmente detta paura fottuta delle maledette vespe. Ora si dirà, perchè proprio specificamente le vespe? E le api? Ma volete mettere le api con le vespe? Uno sciame ordinato e armonioso il primo, contro il mulinare psicopatico e insensato delle seconde? Le vespe sono fuori di testa, sono incazzose senza motivo sono brutte e allungate non servono ad una minchia e non fanno manco il miele.

Il mio primo incontro ravvicinato con queste malate di mente è stato relativamente tardi, a 18 anni. Ero in Vespa (niente battute, pena la catapulta) e percorrevo la via del mare. Casco ben allacciato, 80 all’ora, mezzogiorno di fuoco. Dentro al casco mi entra qualcosa. La sento ronzare e muoversi accanto alla tempia. Sento le piccole zampette, poi ancora ronzii impazziti di chi vuole uscire per forza. Non posso fermarmi, posso solo cercare di rallentare quanto prima possibile togliermi il casco in tutta fretta ma non faccio in tempo che ZOT!, sento una puntura sul cranio, un dolore insopportabile lungo un lampo. Adesso mi viene uno schock anafilattico, ho pensato da buon ottimista. Ma non succede nulla. Mi fermo, tolgo il casco, e vedo la vespa accasciata moribonda ancora lì. Scuoto il casco, cade e la schiacchio saltandoci sopra due volte come nei cartoni animati e bestemmiando.

Il secondo incontro è avvenuto al mare. Arrivo in bici in una zona protetta per fare il bagno in uno specchio d’acqua della madonna tra canneti uccelli e macchia mediterranea. Manco appoggio le cose sulla sabbia che uno sciame di vespe mi punta. Io non faccio in tempo a togliermi la maglietta che sono già a gambe levate sul bagnasciuga. Manca solo il motivetto di Benny Hill: io che corro da una parte all’altra mentre lo sciame mi insegue senza sosta. Mi getto in acqua, mi immergo nuoto toccando il fondo per una decina di metri, così farò perdere le mie tracce, penso. Riemergo e sono sopra la mia testa. E’ il panico. Di nuovo a fondo, poi ancora, ma loro mi braccano sono sempre lì. Non c’è altro da fare che uscire correndo dall’acqua riprendere lo zaino e darsela a gambe per centinaia di metri rischiando l’infarto. Uno si fa un culo così per evitare la forestale e la giornata al mare gliela devono rovinare un centinaio di vespe impazzite…

Il terzo incontro nelle splendide campagne bretoni. Immaginate una di quelle case col tetto a spiovente in aperta campagna vallonata, con le facciate praticamente ricoperte di lussureggianti piante rampicanti fiorite. Che meraviglia, eh? Aggiungete un migliaio di vespe a fare da bulli di paese attorno a quelle piante, e la poesia scomparirà lasciando il posto al fastidio e all’odio profondo. Giorni di tolleranza ai limiti della dichiarazione bilaterale di guerra. Poi il casus belli. Noto che dietro la tenda della cucina c’è un insetto che si dimena. Vado a spostarlo col dito ma seminascosto dalla tenda faccio male i calcoli, in realtà ci presso sopra il polpastrello e l’insetto mi restituisce un pungiglione e si, il fottuto insetto è una maledetta vespa. Ora non so, le vespe bretoni avranno un dna della madonna, ma la quantità di veleno sferratomi in quel colpo è notevole. Prima di arrivare in farmacia del piccolo paesino mi sento anche svenire. Arrivato in farmacia spiego nel mio miglior francese che una vespa mi ha avvelenato e mi si deve salvare la vita vi prego sono ancora troppo giovane per morire. Davanti al solito italiano che fa la sceneggiata, la farmacista si limita ad estrarre il pungiglione in un microsecondo e a darmi una costosissima pomata prima di farmi capire che mi devo togliere dal cazzo. Tornato a casa umiliato e svuotato nel portafoglio, decido che è troppo, ho già tollerato abbastanza le offese delle vespe senza replicare. E dunque scoppia la Prima Guerra Bretone. Nei giorni successivi, davanti allo sguardo allibito di chi condivide il tetto con me, il mio obiettivo sarà quello di uccidere 50 vespe, che è il numero che ritengo idoneo a sanare la ferita e a darmi soddisfazione. 50 vespe uccise per ritorsione di una puntura sul dito: manco i nazisti! Il bilancio sarà fallimentare. La mia paura di affrontare quelle bastarde sarà mille volte più grande del mio desiderio di sterminio, e dunque ne avrò uccise al massimo 4, tra le pernacchie e le irrisioni delle sopravvissute.

Poi, anni di silenzio e tregua. Certo, ogni volta che una vespa mi ronza attorno parte la musichetta del Benny Hill ed io comincio a fuggire verso l’infinito ed oltre. Ma nessun altra puntura, o provocazione. Fino ad un mese fa.

Non la faccio lunga ed arrivo al punto: le vespe hanno un ritrovo misterioso dentro il mio specchietto retrovisore della Punto. Entrano una ad una e non so cosa combinano. Quando arrivo al parcheggio dopo un secondo una è già là che si posa ed entra. Quando me ne vado le vedi uscire schizzando incazzate. Per paura che ce ne siano di nascoste mentre guido lascio il finestrino chiuso, il che con l’aria condizionata rotta 35 gradi e l’umido padano vi raccomando la mia cera e il mio sudore. L’altro ieri prima di accendere la macchina ho dato una botta incazzata allo specchietto e ne sono uscite due e mi hanno inseguito per qualche metro.

Ora, approfitto di questo spazio per rivolgermi direttamente a voi, pazze scatenate in giallo e nero: rivoglio il mio specchietto. Voglio poter tenere il finestrino aperto. Non voglio avere il timore che una di voi figlie di buona donna mi punga all’improvviso mentre guido, Dunque  vi avverto. Una settimana per trovarvi un’altra bisca. Poi vi annego con la pompa.



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