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L’etica del personal shopper II parte

Creato il 06 settembre 2010 da Cristina

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Nella prima parte di questo articolo abbiamo osservato i comportamenti che sarebbero da evitare in questa professione.

Adesso desidero raccontare le motivazioni che mi hanno portato a pensarla così.
A parte le convinzioni personali e gli effetti di comportamenti facilmente verificabili, ho avuto non molto tempo fa l’occasione per fare una cosa che normalmente non si racconta: spionaggio industriale.

Qualche tempo fa mi è capitato di visitare un negozio molto grande, dove una ragazza molto giovane si è presentata a me, credendomi una cliente comunissima, e dichiarandosi una personal shopper.
Ora.
A quell’epoca eravamo veramente in poche, e l’orda selvaggia delle improvvisate ancora non c’era. Per cui mi son stupita di non conoscerla affatto. Più tardi ho capito come funzionava: era la figlia della padrona, che lavorava come commerciale per l’azienda di casa e andava raccogliendo percentuali in negozio.
Decisi di fingere di crederle, e le permisi di “assistermi”.
E’ stata un’esperienza decisamente  allucinante.

La ragazza cercava di vendere, vendere, vendere, in ogni modo. Non capiva granché, o non le importava di capire, nel senso che proprio non si rendeva conto che una taglia sbagliata non è vestibile; per cui mi proponeva di tutto, anche di una taglia sopra o sotto alla mia. Quando le facevo notare che il cappotto non mi stava bene, proponeva di aggiungere una cintura elasticizzata. Quando le dicevo che un top mi stava bene ma non mi piaceva, mi rispondeva “E dai, prenditelo, costa così poco, male che vada te lo metti per stare in casa!”.

Orrore degli orrori.

Ma la cosa peggiore è stata la sua presenza soffocante. Non mi ha mollata un solo attimo. Mi stava col fiato sul collo per farmi comprare qualcosa, qualsiasi cosa. Aveva inoltre la spiacevole tendenza a sconsigliarmi quello che invece mi piaceva con motivazioni inconsistenti, e questo fattomi ha fatto supporre che alla base altro non vi fosse se non banali ragioni di guadagno (suo).

Insomma, è stata davvero un’esperienza irritante e sgradevole.

Credo che questo andrebbe suggerito a coloro che credono che si possa ottenere un servizio gratuitamente quando di solito è una cosa che be’, si paga. Di solito, inoltre, c’è un motivo per cui la si paga. Si pagano la professionalità e la capacità di consigliare, e di rendere le prove un’esperienza piacevole e fruttuosa.

Quando è arrivato il momento di andare alla cassa, la ragazza ha ovviamente scortato la sua cliente (me) portando in mano lei gli abiti che avevo alla fine scelto, porgendoli alla cassiera come a sottolineare che erano opera sua, e prestando una certa attenzione allo scontrino. Avendolo provato in prima persona, davvero mi domando come possa non dare fastidio un atteggiamento del genere.


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