Sembra quasi impossibile che possano bastare le dimissioni di un consigliere della banca centrale europea per indurre i mercati finanziari a riprendere le vendite di titoli azionari e per far risalire le preoccupazioni sulla crisi dei debiti pubblici europei. Ma non è impossibile se il consigliere in questione è il rappresentante della Germania.
In realtà la sostituzione di Jurgen Stark con il suo connazionale Jorg Asmussen avrebbe dovuto essere accolta dai mercati con soddisfazione, ma si sa che in certi frangenti la paura, magari accompagnata dalla voglia di speculare al ribasso, è cattiva consigliera e fa fare cose irrazionali.
Il fatto è che Jurgen Stark può essere definito, a suo modo, un euro scettico, avendo sempre espresso l'opinione che paesi come l'Italia (e peggio gli altri mediterranei) non avessero i requisiti per far parte del gruppo dell'Euro, come ci rammenta l'ex governatore e presidente del consiglio Carlo Azeglio Ciampi.
Intendiamoci, era Stark ad avere ragione, allora come oggi, e non Ciampi e Prodi, perché l'Italia non era in condizioni di rispettare i requisiti richiesti per l'adesione all'euro, come non li avevano Spagna, Grecia e Portogallo, ma stante già l'assenza della Gran Bretagna la non adesione dell'Italia avrebbe privato di senso la creazione stessa della moneta unica. La nascita dell'euro fu una decisione politica, mentre Jurgen Stark proviene dalla Banca centrale tedesca e pertanto cresciuto credendo nei principi che sono alla base della creazione prima di quella e poi della stessa Bce:
La BCE è la banca centrale responsabile della moneta unica europea, l’euro. Il suo compito principale consiste nel preservarne il potere di acquisto, mantenendo così la stabilità dei prezzi nell’area dell’euro. Quest’ultima comprende i 17 paesi dell’Unione europea che hanno introdotto la moneta unica a partire dal 1999.Dopo l'esperienza della grande inflazione, durante il periodo della Repubblica di Weimar, i tedeschi hanno posto in cima alle loro preoccupazioni la lotta all'inflazione e la stabilità del potere di acquisto della moneta, ponendo la loro banca centrale come cane da guardia a salvaguardia di questi due principi cardine, poi trasmessi alla banca centrale europea.
Da questo discende che la Bce, contrariamente alla Fed americana, non può gestire autonomamente la creazione di moneta e non può quindi mettere in atto gli stimoli all'economia già messi sul tappeto dall'altra parte dell'Oceano.
La sostituzione di Stark non con un altro funzionario proveniente dalla banca centrale tedesca, ma con Asmussen, un esponente del ministero del tesoro, fanno però capire che anche i tedeschi hanno compreso che in questo momento storico bisogna saper derogare ai principi più rigorosi, se si vuole veramente salvare la moneta unica e l'intera Unione Europea.
C'è da spettarsi dunque che l' impegno della Bce nell'acquisto dei titoli di stato italiani e spagnoli continuerà e non è improbabile che presto si arrivi a definire l'istituzione dei famosi "eurobond", ovvero i titoli di stato garantiti dall'Unione Europea, in sostituzione dei titoli di debito nazionali.
Le dimissioni di Stark hanno intanto riportato lo spread tra i btp decennali italiani e gli omologhi bund tedeschi a 363 punti, puntando decisamente verso nuovi massimi. Vedremo domani se la rapida sostituzione di Stark con Asmussen calmerà i mercati, ma a dare corda alla speculazione anti italiana non sono solo le vicissitudini estere, perché le notizie che arrivano dall'interno fanno di tutto per alimentarle.
Lo spettacolo che in questo periodo ci offre il teatro della politica italiana è più desolante del solito.
Da una parte c'è un governo che non ha l'autorevolezza per imporre scelte impopolari ma necessarie, ritrovandosi a riscrivere i provvedimenti della manovra finanziaria anche più volte al giorno, a causa delle proteste di questa o quella categoria che si sente troppo tartassata, mentre dall'altro siede un'opposizione da un lato colpita al cuore della sua pretesa superiorità morale smentita dalle inchieste giudiziarie, e dall'altra una serie di personaggi e movimenti che non sanno neanche di cosa si sta parlando.
In sovrappiù appaiono di tanto in tanto dei presunti e auto nominatesi salvatori della Patria, che avanzano bizzarre proposte per risolvere definitivamente il problema del debito pubblico nazionale.
Dopo il già citato Luca di Montezemolo, che oltre la patrimoniale che gli consentirebbe di non versare allo Stato che qualche spicciolo, ha presentato proposte che ricalcano grossomodo le stesse che ha presentato il governo, e tralasciando le velleità di Pierferdinando Casini, forse in tandem con Emma Marcegaglia, generale senza esercito, ma ben maritato, ultimo della serie a comparire è stato Alessandro Profumo, ex amministratore delegato di Unicredit.
La fantascientifica proposta di Profumo, di imporre una patrimoniale di 400 miliardi di euro per dimezzare il debito, ha già fatto ridere tutta l'Italia e non solo, anche se c'è sempre qualcuno pronto ad abbracciare le cause più disperate, per la semplice ragione che i 400 miliardi da raccogliere non ci sono proprio.
Del resto per Profumo parla il suo curriculum: dopo aver cavalcato la stagione della deregulation bancaria e delle fusioni tra istituti di credito, la banca guidata dal banchiere genovese è stata in Italia la preda più ghiotta della speculazione internazionale e la vittima più illustre della crisi finanziaria, crollando a più riprese da una quotazione in borsa di 7, 4 euro agli attuali 0, 74 centesimi di euro, dopo aver dovuto peraltro effettuare due aumenti di capitale e con il pericolo più che ipotetico di doverne effettuare una terzo entro l'anno in corso, per la gioia degli azionisti.
Dopo aver raggiunto questo obiettivo Profumo è riuscito a dimettersi ottenendo una buonuscita di 30 milioni di euro, tanto per far capire perché questo paese va a rotoli, ma la cosa peggiore è che il genio della finanza pare adesso aver proprio intenzione di entrare in politica, se non in un improbabile governo tecnico, come candidato alla carica di sindaco di Verona.
A dare un contributo per rendere la commedia in scena più farsesca ci si mettono pure i magistrati, o meglio la loro associazione sindacale, che ormai non si riesce più a capire quali obiettivi persegue, o forse si capisce benissimo. Forse il governo avrebbe fatto bene a mantenere il limite per il contributo di solidarietà a 500 mila euro all'anno di reddito, per tenersi al sicuro da eventuali ritorsioni (alla fine pagheranno soli i calciatori).
D'altra parte, con certe facce che girano non si può certo stare tranquilli.