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L’Europa delle braccia invisibili

Da Bloglobal @bloglobal_opi

di Salvatore Denaro 


Questo articolo è stato selezionato come articolo di apertura di Paperblog , il 29.11.11
L’Europa delle braccia invisibiliLa crisi economica che sta attraversando l’Europa pone il lavoro migrante, oggi come non mai, certamente in una posizione di assoluta debolezza e impotenza. In una crisi che ama definirsi “sistemica”, fattori come il lavoro irregolare, l’assenza di un’adeguata protezione sociale e i limiti ai diritti dei lavoratori aumentano in modo esponenziale all’interno del mondo del lavoro migrante.I processi migratori verso i Paesi industrializzati, sempre più espressione del divario tra i Paesi del Nord con quelli del Sud e della conseguente emarginazione di quest’ultimi dal sistema di produzione globale, nell’ultimo periodo sembrano essere condizionati dalle instabilità politiche e sociali del Nord Africa e del Medio Oriente. Appare inevitabile che, quindi, in periodi di conflitto e crisi, l’arretratezza economica e la disaggregazione sociale emergono in modo decisivo e rappresentano uno stimolo a cercare di migliorare la propria condizione di vita lontano dal Paese d’origine. La prospettiva di guadagnare fino a 30 volte ciò che si guadagna all’interno del proprio Paese d’origine o di fuggire da aree coinvolte in guerre civili, spinge ogni anno milioni di immigrati a cercare fortuna nel vecchio continente, sia attraverso i flussi stabiliti dai singoli Stati, sia in modo irregolare. Ed è proprio l’irregolarità a rappresentare un elemento determinante per lo sfruttamento lavorativo dei lavoratori immigrati.I Paesi che si affacciano sul Mediterraneo rappresentano spesso il naturale bacino d’accoglienza per la quasi totalità degli immigrati provenienti dall’Africa e, ultimamente, anche dai Paesi dell’Est. Il comparto agricolo di Paesi come Italia, Grecia, Spagna e Francia rappresenta un settore in cui la manodopera a basso costo, specie in tempo di crisi, continua ad essere un elemento particolarmente diffuso.  La Grecia, ad esempio, rappresenta “la nuova porta verso l’Europa”, tanto che, secondo gli ultimi dati forniti da Atene, circa l’80% degli immigrati irregolari dell’intera Unione Europea avrebbe fatto ingresso proprio attraverso i confini greci. In Grecia la percentuale degli immigrati impiegati in agricoltura si attesta al 17% della popolazione e, secondo recenti studi, la popolazione immigrata rappresenta  quasi un quinto della totalità dei giorni lavorativi dell’intero settore[1]Proprio quest’anno il governo greco si è opposto alla sanatoria di centinaia di immigrati irregolari impiegati nell’agricoltura ellenica. Per questa ragione qualche mese fa circa trecento immigrati hanno condotto uno sciopero della fame per protestare e porgere all’attenzione dell’opinione pubblica le loro precarie condizioni di vita. Oggi, oltre 350.000 lavoratori immigrati in Grecia si trovano senza permesso di soggiorno, elemento imprescindibile per l’accesso alle indennità sociali. Un dato sicuramente allarmante in un contesto di disgregazione sociale può rappresentare una bomba ad orologeria per la tenuta del sistema produttivo greco.Tuttavia, è stato raggiunto un compromesso: ovvero imigranti potranno godere di un permesso di soggiorno permanente dimostrando di vivere in Grecia da otto anni. Inoltre, è stata accordata la possibilità di andare e ritornare dai loro Paesi d’origine, all’interno della validità del permesso temporaneo, rinnovabile ogni sei mesi fino a quando non saranno raggiunti i requisiti necessari per la regolarizzazione permanente. Ma il tasso nazionale di disoccupazione è salito al 14% mentre le condizioni di moltissimi lavoratori immigrati e richiedenti asilo permangono senza prospettiva di soluzione all’interno di un’emergenza umanitaria, passata in secondo piano acausa della grave crisi economica e dalle recenti vicissitudini politiche. Non sembra essere casuale che Grecia e Italia, due tra i Paesi più esposti alla crisi finanziaria europea, siano finiti nella lista nera del Report 2011 di Human Rights Watch. Per quanto riguarda la Grecia, il rapporto esordisce così: “UNHCR described the situation facing migrants and asylum seekers in Greece as a “humanitarian crisis”, mentre in relazione all’Italia, oltre ad evidenziare situazioni di violenza ed ostilità nei confronti dei lavoratori migranti, si sottolinea come “Racist and xenophobic violence and hostile political discourse remained a pressing problem”. Anche per l’Italia il problema è analogo a quello della Grecia, in quanto da diversi anni è monitorata da diversi osservatori internazionali per quanto riguarda la condizione generale degli immigrati, in particolare, coloro che sono impiegati nell’agricoltura del Sud del Paese. Oltre che da Human Rights Watch, recentemente, sono emerse notevoli preoccupazioni anche da parte dell’International Labour Organization (ILO). Nei Report 2009 e 2010, il Comitato di esperti dell’ILO – che annualmente fornisce una valutazione imparziale e tecnica sullo stato di attuazione delle inerenti norme internazionali –, ha evidenziato importanti violazioni della Convenzione sui Lavoratori Migranti n.143/1975, da parte di un nutrito numero di Paesi, tra cui spiccano Italia, Portogallo, Slovenia, Benin, Burkina Faso, Camerun e Uganda. Tra le violazioni riscontrate, in particolare nei confronti dei lavoratori immigrati provenienti da Africa, Europa Orientale ed Asia, il Comitato ha evidenziato maltrattamenti, salari bassi e ricevuti con considerevole ritardo, lunghe ore di lavoro, situazioni di lavoro forzato in cui parte della paga è trattenuta dal datore di lavoro come corrispettivo per la sistemazione in alloggi sovraffollati, senza acqua ed elettricità. Il Comitato, inoltre, ha fatto proprie le considerazioni fatte del CERD (Comitato per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale) sui frequenti casi di razzismo e xenofobia nei confronti degli extracomunitari. Infine, particolare preoccupazione è stata espressa per le violazioni dei diritti umani fondamentali, in particolare dei migranti privi di documenti provenienti da Africa, Asia ed Europa Orientale, e per un clima dilagante di intolleranza, discriminazione e violenza.L’anno successivo lo stesso Comitato ha esortato il Governo ad intraprendere un’analisi delle recenti iniziative legislative intema di immigrazione, con particolare attenzione all’occupazione illegale dei migranti. In particolare, su questo punto, è stato chiesto di prendere tutte le misure necessarie per garantire ai migranti che si trovano in situazione irregolare, di poter essere messi in condizione di godere dei loro diritti umani fondamentali, secondo quanto stabilito dall’art.1 della stessa Convenzione.Situazioni di sfruttamento riscontrate in Italia, soprattutto nel settore agricolo meridionale sembrano ripetersi con le stesse caratteristiche nel sud della Spagna, precisamente in Andalusia. A questo proposito, particolarmente interessante ed esaustivo è stato un reportage del quotidiano inglese “The Guardian” sulla condizione dei lavoratori immigrati della Costa del Sol, in Spagna, intitolato “Salad slaves: Who really provides our vegetables”: un interessante documento che ha post oall’attenzione dei media internazionali cosa realmente si nasconde dietro le verdure e gli ortaggi destinati alle tavole di tutta Europa.Le legislazioni nazionali, i diritti enunciati dalla Carta Sociale Europea, la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU)e le Convenzioni Internazionali dell’ILO che interessano il lavoro migrante forniscono ampie garanzie per un reale rispetto dei diritti dei lavoratori migranti in Europa. Tuttavia, appare evidente come l’attuazione dei sistemi internazionali di protezione ed il contrasto alle pratiche di sfruttamento della manodopera immigrata non trovino un’effettiva  applicazione. Sono diverse le motivazioni che hanno condotto alla scomparsa della questione attinente ai diritti umani dei lavoratori migranti nell’agenda politica dei Paesi di destinazione. Tra queste: priorità economico-finanziarie; maggiore attenzione per le politiche regolatorie (flussi, rimpatri, sicurezza nazionale); dinamiche elettorali; scarsa attenzione mediatica.Le priorità economico-finanziarie rappresentano sicuramente un elemento che contraddistingue le politica europea da qualche anno a questa parte. In questo momento gli Stati non hanno alcun interesse nel condurre azioni politiche volte, ad esempio, a discutere la ratifica della Convenzione sui lavoratori migranti e i membri delle loro famiglie del 1990 (ONU), ad oggi ratificata solamente da 44 Paesi tra i quali non figura nessuno dei maggiori Stati occidentali. Secondo il Commissario ONU per i Diritti Umani Navi Pillay, siamo di fronte ad una delle più lente fasi di ratifica che ha visto una convenzione internazionale.In questi ultimi anni, il panorama europeo ha evidenziato come gran parte dei Paesi di destinazione hanno concentrato le loro attenzioni sulla regolazione e sul controllo del fenomeno migratorio, rispondendo maggiormente a dinamiche legate al consenso elettorale che alle reali esigenze del mercato del lavoro. Paradossalmente tali restrizioni, sia all’ingresso che nel raggiungimento dei requisiti per il rinnovo dei permessi di soggiorno, hanno incrementato le situazioni di irregolarità e di conseguenzale esposizioni a situazioni di vero e proprio sfruttamento lavorativo.L’assenza di una globalizzazione dei diritti umani nel mondo del lavoro associata ad una sempre più imponente globalizzazione dei mercati e del lavoro, produce sempre di più un cortocircuito, che, inevitabilmente, si riversa sull’anello più debole della catena produttiva: il lavoro migrante.* Salvatore Denaro è Dottore in Scienze Internazionali (Università di Siena) 

[1]Kasimis, C. (2008), ‘Survival andExpansion: Migrants in Greek Rural Regions’, Population, Space and Place, Vol.14, 511-524.

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