L’indicazione del lussemburghese Jean-Claude Juncker a presidente della Commissione da parte dei leader dell’Unione getta un’ombra di motivato pessimismo sul futuro dell’Europa. Juncker è stato fino a due anni fa presidente dell’ “eurogruppo”, l’assemblea dei ministri delle finanze dell’area euro, uno degli organismi che hanno spinto l’adozione delle politiche di austerità nell’eurozona. E certo Juncker non ha nel frattempo “cambiato verso”.
Lo dimostra il suo manifesto, presentato in qualità di front runner del Partito Popolare europeo alle ultime elezioni di maggio. La narrazione è la stessa storia che abbiamo ascoltato negli ultimi 5 anni: alcuni paesi hanno speso troppo e ciò ha causato la crisi dell’eurozona:
Durante la crisi, il PPE ha dimostrato di essere il partito del governo responsabile. Mentre altri parlavano, noi agivamo. Le nostre politiche hanno arginato la crisi. Le politiche promosse dai nostri antagonisti, volte a “spendere adesso per pagare in futuro” sono state non solo la causa all’origine della crisi, ma rischiano ora di creare le condizioni per un’altra crisi futura.
Anche di fronte all’evidenza dei fatti - i debiti pubblici sono schizzati alle stelle dopo l’inizio della crisi, mentre prima si stavano riducendo – Juncker e il PPE continuano a cantare lo stesso ritornello. Le misure per la crescita sono le liberalizzazioni, in particolare telecomunicazioni, energia e servizi. Poco o nessuno spazio viene lasciato all’intervento pubblico, se non a fini blandamente redistributivi (salvo poi indurre gli stati membri a tagliare il welfare). Il mercato, lasciato libero, genera crescita, quasi per magia. Ogni aiuto finanziario ai paesi in crisi rimane condizionato alle solite riforme strutturali (mercato del lavoro e servizi).
Le cronache italiane del vertice europeo parlano di un (presunto) scontro Renzi-Merkel sulla “flessibilità” nell’attuazione del consolidamento fiscale. La prima bozza di documento per l’incontro parlava di “pieno uso della flessibilità contenuta nel Patto di Stabilità e Crescita”. Via via però il concetto è stato addolcito e si è passati prima a “buon uso” e poi a “miglior uso”. Se scontro vi è stato – e c’è da dubitarne visti i complimenti della Merkel a Renzi per il programma dei “mille giorni” e le dichiarazioni del ministro tedesco Schauble che riferisce di non aver sentito richieste sulla flessibilità “da parte del primo ministro italiano né da nessun altro” – ci sono pochi dubbi su chi l’abbia vinto. Se a ciò aggiungiamo che il popolare Juncker – sostenuto dalla Merkel – lascerà probabilmente cadere nel dimenticatoio la procedura di infrazione per eccesso di surplus nei confronti della Germania, il quadro diventa ancora più chiaro.
A conferma degli immutati equilibri in seno ai vertici UE, Federico Fubini su Repubblica ci informa che le nuove raccomandazioni del Consiglio, approvate anche dall’Italia, impongono il pareggio di bilancio già nel 2015 e non nel 2016 come previsto dal governo:
La novità passata sottotraccia nel vertice appena concluso è che la proposta del governo di rinviare il pareggio di bilancio per ora è stata respinta. Addirittura i leader, incluso il premier Matteo Renzi, hanno dato il loro “endorsement” (appoggio, approvazione) a un documento ufficiale che raccomanda all’Italia di fare l’opposto di ciò che aveva chiesto: il pareggio già l’anno prossimo, non nel 2016.
Insomma l’ “austerità flessibile” – la cui scarsa efficacia si è già vista in Spagna – c’è solo nelle dichiarazioni del governo italiano. La realtà è che i trattati sono lì e verranno applicati, con la conseguenza di cancellare ogni speranza di ripresa.
E solo di speranze peraltro si tratta. Si addensano infatti le nubi sull’economia italiana. Il governo aveva programmato per il 2014 una crescita dello 0,8% del PIL. Pochi giorni fa il Centro studi di Confindustria ha rilasciato una stima molto meno rassicurante: 0,2%. Se Confindustria avesse ragione – e i primi dati del 2014 sembrano andare in questa direzione, con un calo del PIL dello 0,1% rispetto all’ultimo trimestre del 2013 – ciò significa che sarà necessaria una manovra correttiva. Forse gli 80 euro rimarranno in busta paga, ma dovranno essere compensati dall’aumento di altre imposte e da tagli alla spesa pubblica (cioè maggiori esborsi per i cittadini per servizi come scuola e sanità).
Archiviato in:Economia, Europa, ibt, Italia Tagged: Angela Merkel, Juncker, Matteo Renzi, Merkel