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L’Europa nucleare: quando Londra e Parigi vollero dotarsi della bomba

Creato il 23 luglio 2013 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
L’Europa nucleare: quando Londra e Parigi vollero dotarsi della bomba

La questione nucleare è una ferita aperta nell’ambito delle relazioni internazionali. Nonostante le dichiarazioni solenni a favore dell’opzione zero, i possessori della bomba non intendono rinunciare alla sua potenza psicologica mentre nuovi attori statali cercano più o meno apertamente di dotarsene. Nel dibattito internazionale si dimentica spesso di citare la presenza degli arsenali sovrani di Regno Unito e Francia. A tutt’oggi Londra e Parigi sono infatti gli unici stati europei a possedere delle scorte nucleari proprie e intendono preservare questa condizione nel lungo periodo. Il vecchio continente, ancora saldamente ancorato all’ombrello americano, non assisterà alla nascita di una nuova potenza nucleare al suo interno.

La narrazione dell’era nucleare delle relazioni internazionali parte proprio dalla Gran Bretagna. Nel 1940 due professori di fisica dell’Università di Birmingham, Rudolf Peierls e Otto Frisch, redassero l’omonimo rapporto all’interno del quale illustrarono per la prima volta nella storia come la fissione del nucleo dell’isotopo di uranio-235 poteva essere applicata a scopi militari. Henry Tizard, presidente della “Commissione per lo Studio Scientifico della Difesa Aerea”[1], dopo aver letto il rapporto decise di costituire la “Commissione per l’applicazione militare della detonazione dell’uranio”, meglio conosciuta tramite il suo acronimo, MAUD, che rappresentò l’inizio del progetto Tube Alloys, il quale perseguì segretamente e con la partecipazione del Canada il programma nucleare britannico. L’obiettivo era dotarsi della bomba prima dei tedeschi, i quali stavano conducendo esperimenti in tal senso già dai mesi immediatamente precedenti lo scoppio del Secondo conflitto mondiale. Il possesso di un arsenale atomico nazionale diventò il perno del pensiero strategico britannico e non poteva essere altrimenti: la portata globale degli interessi nazionali, il declino economico, l’importanza cruciale delle vie di approvvigionamento marittimo rendevano le future capacità di dissuasione dell’arma atomica una necessità per la sopravvivenza del paese. Ciò nonostante lo sforzo anglo-canadese fu rallentato da due ostacoli cruciali – i costi del progetto, dal momento che lo sforzo bellico aveva ulteriormente limitato le già scarse risorse nazionali, e la posizione geografica del paese, la cui insularità agevolava l’efficacia degli attacchi aerei nemici e impediva l’individuazione di un’area sicura nella quale stabilire gli impianti per la lavorazione del materiale fissile – che obbligarono Tube Alloys a fondersi, già nel 1942, con il Progetto Manhattan.

I continui contrasti tra Londra e Washington, acuiti dall’adozione nel 1946 da parte del Congresso statunitense del McMahon Act istituente la Commissione per l’Energia Atomica, e la presa di coscienza da parte inglese circa la dimensione politica dell’arma, indussero il governo britannico a intraprendere uno sforzo autonomo. Il primo test sovietico, verificatosi inaspettatamente già nel 1949, nonché i dubbi relativi all’impegno statunitense di proteggere gli alleati europei da una eventuale minaccia militare moscovita non fecero altro che rafforzare la determinazione britannica. Nel 1952 l’Operazione Uragano, che ebbe luogo al largo delle isole di Montebello, portò a termine il primo test atomico inglese. Nel corso dei decenni successivi si instaurò e consolidò una cooperazione nucleare britannico-americana che assurse a modello di deterrenza asimmetrica concertata.

Oggi il deterrente nucleare britannico sembra in contrasto con un ambiente strategico in rapida evoluzione e contraddistinto dall’emergere di minacce non-convenzionali. Eppure, come già ribadito nel 1998 e nel 2006, il documento di revisione della strategia di difesa e di sicurezza nazionale del 2010, firmato dal primo ministro Cameron, ha confermato l’irrinunciabilità dell’arsenale nucleare nazionale ai fini della preservazione degli interessi vitali del paese. Il governo ha infatti affermato che, sebbene Londra continui a perseguire credibilmente e vigorosamente un progetto di disarmo globale di natura multilaterale, fino a quando si assisterà alla proliferazione orizzontale di armi di distruzione di massa e di sistemi missilistici balistici, la Gran Bretagna non rinuncerà a una postura di minima dissuasione nucleare. In un’epoca contraddistinta da incertezza l’arsenale britannico costituisce la garanzia ultima alla sopravvivenza del paese.

Passando all’altro lato della Manica, bisogna ricordare che sebbene il primo test nucleare sia stato condotto nel 1960 durante la presidenza di Charles De Gaulle, la storia dell’arsenale francese affonda le proprie radici negli anni della Quatrième Republique ed è strettamente legata al ruolo di due primi ministri appartenenti alla sinistra del paese, Pierre Mendès-France e Guy Mollet. Diversi ragioni spiegano la decisione francese di dotarsi di capacità nucleari. In primo luogo, la profonda diffidenza nei confronti delle intenzioni statunitensi nel teatro europeo. Washington aveva infatti evidenziato la necessità di riarmare la Germania Federale, la quale sarebbe dovuta divenire il baluardo contro le minacce militari provenienti dall’Europa orientale, una soluzione non condivisa da Parigi che ancora scontava le profonde ferite inferte dall’invasione del 1940 e dalla successiva occupazione nazista. In secondo luogo la Francia, dubitando della volontà statunitense di proteggere l’Europa occidentale da un eventuale attacco militare sovietico, intendeva costruire una capacità difensiva autonoma che sarebbe stata utile al continente intero. Tale capacità difensiva e dissuasiva indipendente, credibile ed efficace avrebbe concesso a una nazione più volte piegata militarmente nel corso del secolo precedente, e ulteriormente umiliata a Dien Bien Phu nel 1954 e Suez nel 1956, un simbolo concreto di potere militare e politico.

Le relazioni diplomatiche e militari ambivalenti e competitive intrattenute con gli alleati, il declinante prestigio internazionale che la presenza americana in Europa stava ulteriormente adombrando, e la concretezza della minaccia convenzionale e non convenzionale sovietica avevano quindi indotto i decisori francesi della Quarta Repubblica a perseguire una capacità militare di difesa e di sicurezza autonoma. Tuttavia il processo decisionale del periodo era stato rallentato da deboli equilibri politici e da complessi meccanismi burocratici che solo l’accentramento dei poteri nella figura del presidente, decisa con la costituzione del 1958 istituente la Quinta Repubblica, riuscirono a superare. L’arsenale nucleare francese divenne infatti parte del domaine réservé del presidente. De Gaulle fece dell’arma atomica il simbolo materiale della credibilità riconquistata, del prestigio e della grandeur della nazione francese. Non a caso, la dimensione politica e diplomatica dell’arsenale ha goduto da sempre nella cultura strategica francese di una posizione prioritaria rispetto al suo significato strategico. Negli anni Sessanta l’arma nucleare intendeva riflettere il prestigio e la forza militare del paese vis-à-vis una distribuzione internazionale di forze che sembrava soffocare la superiorità militare e politica che l’Europa aveva tradizionalmente rivestito. Parigi possedeva la bomba, non era quindi uno dei tanti paesi europei deboli e incapaci di provvedere alla salvaguardia della propria nazione senza il soccorso statunitense. L’arma atomica esprimeva grandezza e la sovranità dello stato che la “monarchia nucleare”, racchiusa nella famosa dichiarazione di Mitterrand «a dissuasion, c’est le president, donc moi» avrebbe garantito. Mentre oggi essa – oltre a proteggere l’indipendenza, l’integrità e la sovranità della Francia contro le minacce di natura statale ai suoi interessi vitali – appare come un vestigio della centralità strategica che l’Europa ha certamente perso ma che tenta nondimeno di riacquisire.

Contrariamente a quanto è accaduto in Gran Bretagna, la politica nucleare francese ha beneficiato di un solido consenso trasversale alle forze politiche, all’opinione pubblica e alle amministrazioni della Quinta Repubblica. Un consenso che si è perpetuato, benchè sia stato messo timidamente in discussione dalla crisi economica internazionale, anche durante la presidenza Hollande e che pare poggiare su quattro pilastri: il mantenimento di una deterrenza nucleare limitata ma efficace, la conservazione di un arsenale dissuasivo e non offensivo, l’europeizzazione delle capacità francesi e la promozione del disarmo globale. Dopo aver mostrato un atteggiamento diffidente nei confronti delle politiche nucleari delle due superpotenze durante la guerra fredda, a partire dagli anni Novanta la Francia è quindi diventata una potenza dello status quo, impegnata nella promozione del regime di non-proliferazione, nella riduzione del proprio arsenale e della sospensione dei test nucleari. Ciò nondimeno la totalità dei libri bianchi della difesa pubblicati nel corso degli ultimi due decenni – l’ultimo è stato reso noto nell’aprile del 2013 – ha sottolineato come il mantenimento dell’autonomia strategica attraverso gli strumenti convenzionali e non convenzionali di cui lo stato dispone è essenziale per la sopravvivenza della nazione.

Oggi sia la Francia che la Gran Bretagna si oppongono alla de-nuclearizzazione dell’Alleanza Atlantica. Inoltre la crisi economica mondiale ha prodotto l’approfondimento della cooperazione nel campo nucleare tra i due paesi, la quale è finalizzata alla riduzione dei costi di produzione e di gestione, nonché alla massimizzazione dei benefici provenienti dai rispettivi arsenali nucleari sovrani ma interdipendenti. Al Summit anglo-francese per la cooperazione sulle questioni di sicurezza e difesa del 2010 Londra e Parigi hanno congiuntamente dichiarato che sino a quando gli ordigni nucleari esisteranno nel sistema, la NATO rimarrà un’alleanza nucleare. I due governi hanno inoltre assicurato che le capacità nazionali nucleari intendono contribuire alla sicurezza degli alleati e al mantenimento della pace internazionale. Attualmente, circa 225 testate strategiche, di cui 160 operative, costituiscono l’arsenale nucleare britannico, mentre circa 300 quello francese[2]


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