Con Valter Veltroni abbiamo molte cose in comune. Ad esempio, siamo nati lo stesso anno, amiamo un certo tipo di cinema, condividiamo una specie di cotta giovanile per l’America kennedyana e dylaniana, e anche sul versante della musica sono parecchi gli artisti e i generi che amiamo entrambi. L’Africa è un’altra comune passione, anche se noi non ci siamo andati da “turisti del dolore” ma per raccontarlo. Il dolore. Per alcuni anni, quelli trascorsi da direttore dell’Unità, abbiamo pensato che sarebbe stato un ottimo ministro della cultura, come poi effettivamente dimostrò di essere. Però da un certo punto in avanti non lo abbiamo più capito, e abbiamo iniziato a pensare che fosse rimasto vittima anche lui di quella specie di delirio di onnipotenza che coglie tutti coloro che entrano in contatto con il potere vero. Non si sa come né perché, il potere ha un fascino dal quale si resta abbacinati, storditi, stravolti e attratti come la polvere di ferro in un campo magnetico. Ci si conforma, si assumono quelle strane forme a spirale o a semicerchio o a ellisse, che si interrompono solo quando il campo magnetico cessa lasciando che la polvere si distribuisca dove vuole. Romano Prodi inventa il Partito Democratico a dispetto di D’Alema e dei vecchi del Pci, ne detta le regole, lo americanizza introducendo le primarie. Veltroni, in piena sindrome J.F.K., se ne impadronisce, ne diventa il leader e decide che è il caso di andare alle elezioni da solo. Fuori Mastella, fuori Dini, fuori la sinistra estrema. La fregatura è che nessuno aspetta che Valter li butti fuori dalla coalizione, se ne vanno da soli e Prodi va a casa. Sentendosi uno statista a 360 gradi, Valter pensa che con Berlusconi si possa, e si debba, ragionare. Elabora la teoria della Grosse Koalition all’italiana e si presenta all’elettorato con già stampata in faccia una sconfitta che sarà, purtroppo, una colossale batosta. Silvio, da parte sua, per vincere non fa nulla. Ripete stancamente il refrain di sempre: “Meno tasse per tutti”, “Più pilu per tutti”, “Più leggi per uno, gli altri ‘ndo culo”. A farlo trionfare basta Valter che non lo nomina mai convinto che l’antiberlusconismo non paghi, ma che quando si rende conto che i sondaggi lo danno a una distanza siderale dal Capataz, cerca di recuperare il tempo perduto pur non chiamandosi Marcel di nome né Proust di cognome. Il Partito Democratico, nato come forza di governo, mal si adatta al ruolo di oppositore, gli sta stretto, sente che qualcosa non va, non quadra e si rende conto che la politica di Veltroni è stato un monumentale errore strategico. Inizia a perdere pezzi, anche se quelli che perde più che pezzi sono zavorra. Valter si dimette compiendo un nobile gesto ma nulla di più (non se ne va in Africa come promesso ma resta in Italia), Rutelli abbandona e fonda l’Api, la Binetti convola a giuste nozze con Casini (che promette di non impedirle l’uso del cilicio), seguita da molti altri cattolici che non si ritrovano nelle scelte del partito. Quelli che restano si dimostrano più comunisti dei comunisti che, nel frattempo, sono diventati democristiani. Rosy Bindi, Dario Franceschini e Ignazio Marino sembrano infatti più pericolosi agit-prop del Comintern che pii cattolici intenti a stroncare sul nascere le unioni di fatto, il testamento biologico e le scelte omofobiche di molti loro correligionari sparsi in tutti i partiti che compongono il parlamento più schizofrenico e sgangherato degli ultimi 150 anni. Uno pensa, sta a vedere che con la pulizia fatta, il Partito Democratico diventa una cazzuta opposizione in grado di elaborare proposte alternative a chi di proposte per il Paese non ne ha proprio. Macchè. Tutti i galletti che fino a quel momento erano rimasti nella loro stia penitenziale, escono fuori e riprendono a beccarsi come, e più violentemente di prima; l’unica accortezza che hanno è quella di non farlo pubblicamente. Berlusconi è travolto dai suoi vizietti, da guai giudiziari nuovi e pregressi, dalle manie di persecuzione e dalla pochezza della sua politica incarnata dalla finanza creativa di Tremonti. Gianfranco Fini se ne va dal Pdl e fonda Fli. I suoi deputati e senatori prima lo seguono poi lo abbandonano (altrimenti che fascisti sarebbero?) mentre emerge, a suon di prebende, il gruppo del Responsabili. Ed è proprio in questo momento, quando più la fine di Silvio sembra imminente, che vengono fuori Tedesco, Pronzato e, ultimo in ordine di tempo, ma non di affari sporchi, Penati. Tutti e tre sono riconducibili all’area dalemiana-bersaniana e non vogliamo aggiungere altro perché ci viene da piangere. C’è una questione morale dentro il Partito Democratico? Risponde Ignazio Marino senza sotterfugi linguistici: “C’è nel Pd come in tutto il paese. Negli ospedali, nelle aziende pubbliche, nella Rai, nelle Università. Vanno ridefinite le modalità di selezione della classe dirigente, di chi ricopre delle responsabilità. Come? Con criteri di merito e di trasparenza, ponendo obiettivi verificabili da rispettare. Lo Stato non deve essere occupato da chi ha interessi personali”. La ricetta di Marino è semplice: “tre mandati e a casa, tutti, nessuno escluso”. Ma il Pd in questo momento è interessato a una discussione molto più importante di quella sulla questione morale, e poi: “che palle ‘sto Berlinguer”. L’argomento che impegna il partito a ogni livello riguarda “u pilu”. Anche nel Pd ci si pone la domanda se è il "pelo" che fa bene alla politica o è la politica ad essere al servizio del "pelo". Che dalle parti dei Democratici spirasse un’aria nuova per quanto riguarda la “questione sessuale”, ce n’eravamo resi conto già dal 22 agosto 2008, quando il didietro di Concita De Gregorio, fresca di nomina a direttore dell’Unità, fece bella mostra di sé sul materiale pubblicitario della testata fondata da Gramsci causando frequentissime polluzioni notturnea Gnazio La Russa. Sarà che con il passare del tempo il pelo è diventato sempre di più il centro dell’attività politica italiana (tanto che Bersani ha scelto una gonna al vento come emblema della riscossa del Pd), ma anche i Democrat si sono sentiti in dovere di affrontarlo nei suoi contenuti chiamiamoli più culturali (di sinistra) e meno prosaici (di destra). Quindi, via libera alle pornostar alle feste dell’Unità ma solo con dibattito post-streaptease. Proiezione dei film che ripercorrono la storia della pornografia, ma con le dovute differenziazioni artistiche e strutturali fra Nagisa Oshima e John Holmes, e conferenza-dibattito di mezzanotte (in fascia protetta) con Rocco Siffredi sul tema, “Tira più un pelo di...”, però solo se don Antonio Mazzi assicura la sua presenza (avevano pensato a don Gelmini ma Siffredi non avrebbe avuto un contraddittore valido). La domanda che in questo momento tutto il Pd si pone mettendola al centro della propria discussione post-ideologica è: “Quanto è di sinistra, per una donna di sinistra, che milita a sinistra e si batte da sempre per i valori della sinistra indossare il perizoma?”. Il relatore della maggioranza favorevole al perizoma sarà Matteo Renzi, quello di minoranza, che spinge decisamente verso l’uso della coulotte, lo stesso Bersani in qualità di concittadino di Federico Fellini. È obbligatoria la prenotazione. Si prevedono solo posti in piedi.
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