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Le spade di Nimier infilzano la morale.
Tradotto in italiano, a oltre mezzo secolo dalla prima edizione francese, il libro di un autore controcorrente.
Fra nihilismo e richiamo della sconfitta.
L'Ussaro che scrisse per l'amico Louis Malle
Nato a Parigi nel 1925 Roger Nimier si arruola nel 1945, dopo la Liberazione, nel Secondo Reggimento Ussari.
Quindi entra nell'agone letterario, fronda destrorsa all'esistenzialismo di Sartre e Camus.
Oltre a Le spade (1948), scrive Perfide (1950), L'Hussard bleu (1950), Les enfants tristes (1951) e D'Artagnan amoureux ou Cinq ans avant (1962). Come sceneggiatore, aveva scritto tra l'altro Ascensore per il patibolo (l957) per l'amico Louis Malle.
In italiano erano finora apparsi Storia di un amore (1962),D'Artagnan innamorato ovvero Cinque anni prima (1964) e Giovani tristi (1964).
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Fedele a un personale ideale di purezza, François Sanders è un adolescente guerriero senza ideali che passa dai ranghi della Resistenza alla Collaborazione nel disprezzo di qualsiasi morale. Monologhi rapidi, stile "parlato" che richiama Céline, Le spade di Roger Nimier trasforma una paurosa vicinanza psicologica tra autore e protagonista in un romanzo di formazione nichilista.
Elio Nasuelli (Sette/Corriere della Sera, 24.10.2002)
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Le spade: tutti contro tutto Un adolescente sensibile e pedante tenta il suicidio. Ma il piano nefasto va in fumo per l'intervento di sua sorella, della quale il giovane è ovviamente innamorato. E così la tormentata vita di questo piccolo antieroe romantico va avanti, sullo sfondo della Francia occupata dai nazisti, oscillando tra resistenza e collaborazionismo solo per il gusto nichilista di tradire e spiazzare tutti, soprattutto se stesso. David Frati (www.Lettera.com, 24.10.2002)"Entro un quarto d'ora mi ammazzerò. Mi chiamo Fran�ois Sanders e sono studente di terza in un liceo della capitale. Dichiaro subito che non sono molti gli studenti a me paragonabili nella maggior parte delle discipline. (...) Sono più serio della maggioranza della gente, il che non è difficile. Conosco le navi da guerra di tutti i paesi del mondo (...) Amo Corneille, e Proust, Balzac. Ciò dimostra che ho passato l'età della ragione. Lo dico a titolo informativo."
Roger Nimier è morto il 28 Settembre 1962. Si è schiantato a duecento all'ora al volante della sua fiammante Aston Martin. Bello, arrogante, insofferente e sicuramente anche sofferente (se non di altro, della vita, del mondo, di dover ottemperare al banale quotidiano obbligo di vivere). Lo scrittore francese è in questi mesi al centro di una vera e propria riscoperta. E "Le spade", il suo romanzo di esordio, è un vero e proprio manifesto programmatico: Nimier amava più di ogni altra cosa provocare, fino al punto di appiccicarsi addosso da solo (sicuramente esagerando) l'etichetta di fascista e filo-nazista in un ambiente culturale, quello della Francia del dopoguerra, egemonizzato dall'intellighenzia di sinistra. E dallo stereotipo dello scrittore impegnato faceva di tutto per distinguersi anche fisicamente: elegantissimo, amava mostrarsi al volante di fuoriserie e sempre sottobraccio a biondone prosperose. Come dice il critico Giuseppe Scaraffia di lui, "...preferiva l'infamia al conformismo": esattamente come Fran�ois, l'adolescente tormentato de "Le spade", che sembra spendere tutte le sue energie "solo" nel combattere col mondo, nel cercare una nuova e più fastidiosa via alla differenza. Partigiano, collaborazionista dei Nazisti, assassino, stupratore, torturato e torturatore senza soluzione di continuità, amorale più che immorale, Fran�ois attraversa in compagnia della sua dolcissima schiava-sorella-amante-tiranna le duecento pagine scarse di questo romanzo narrato in prima persona con uno stile acerbo ma sfrontato, sgradevole quanto basta da renderlo importante.
Le spade: tutti contro tutto
"...non mentite a voi stessi, chi mente a se stesso perde il rispetto di sé e degli altri. Può essere il primo a offendersi... Così si arriva al vero odio".
Un romanzo del 1948 prende a narrare una realtà disillusa, annoiata, un'esistenza senza esistere che tanto sembra andare accanto ad un concetto, anzi all'assenza di concetto di vissuto, dei giorni nostri.
Forse nel 1948 l'idea di Resistenza soprattutto in Francia, l'idea di arruolamento, di Milizia poteva ancora portare qualche reminiscenza di motivo e desiderio di vivere. Qualcosa di inconsciamente intrinseco all'esistere umano, come se derivasse dalla genetica e fosse un rimasuglio di tutto ciò che di ribelle e combattivo avevano avuto i nostri padri.
Oggi che si gioca con la morte al punto da non rendersi conto che uccide per davvero e che porta con sé la fine, l'unica fine sulla quale non esiste ciak di regista che risveglia d'incanto i corpi senza pathos e senza pianti di parenti, non sappiamo nemmeno più perché si muore.
Così diventa tragicamente moderno il romanzo di Roger Nimier che Meridiano zero propone al pubblico italiano per permettere di conoscere un'altra voce autorevole del panorama letterario francese.
Siamo a leggere della storia cinica e grottesca di Francois Sanders, "un ragazzino piuttosto biondo" innamorato della sorella che a sua volta vive storie di altri amori, che prepara il suicidio accuratamente, senza forse rendersi conto che non sarà mai abbastanza determinato e coraggioso da portarlo a termine.
È la storia di una generazione che vive di interessi e di entusiasmi di riporto, che comincia una querelle con se stessa e va in giro a seminare intrinsecamente guai: prima partigiano, poi collaborazionista, il ragazzo di fatto è cresciuto troppo in fretta in un mondo che non capisce e che si è impadronito della giovinezza come oggi si impadroniscono dei nostri figli impegni troppo impegnativi ed impegnati per loro. I viaggi, la scuola, la palestra, gli amici: tutti obblighi che li attanagliano togliendo il gusto del fare per il voluto, per il fare, per il volere.
Non era facile avere vent'anni nel 1945, sulle macerie di una guerra. Ma forse non è facile avere dieci anni nemmeno oggi, sulle rovine dei valori e di una famiglia che non esiste più. Non tanto perché non esista per davvero, quanto perché il gusto di essere famiglia umana collettiva si è perso dietro la doverosa difesa di un individualismo che ci permette di essere adulti consapevoli ma che ci annulla la dimensione bambina che non dovremmo perdere mai.
La liberazione di Parigi descritta da un collaborazionista incapace di uccidersi diventa allora la carta carbone del ventesimo secolo: là dove la folla esulta, il giovane perduto percorre il sentiero della rivolta solitaria, senza sapere in realtà quale fosse la rivolta giusta.
Colui che si sentiva più grande di coloro che venivano interrogati sotto tortura nei commissariati, capaci di riassumere la propria vita in quattro pagine di quadernone, senza l'uniforme di Vichy non era di colpo più niente.
E oggi l'uniforme non la porta quasi più nessuno...
Roger Nimier nasce a Parigi nel 1925; nel 1945 si arruola nel secondo Reggimento degli Ussari e scrive il suo primo libro nel 1948, proprio Le spade, per le Edizioni Gallimard. Collabora a sceneggiature cinematografiche e assume sempre più il ruolo dell'avvocato del diavolo, istigatore nella gioventù di un veleno, come lo chiamerà il premio Nobel Mauriac, che lo rendeva indegno della Chiesa secondo quest'eminente accademico di Francia.
Lo stile di Nimier è pressante e disinvolto, provocatorio, suscitante interrogativi intrinseci e debite risposte che si devono leggere tra le righe e prendere così, come si può prendere una storia apparentemente vera, di quel realismo che troppo spesso si spegne nell'abitudinarietà dell'essere e della vita.
(Nonsololinke.com, 21.1o.20002)
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