Può apparire una faccenda ermetica: ma la scrittura è fatta di ascolto.
Non mi riferisco solo all’abitudine che sarebbe bene adottare: di leggere ad alta voce quello che si scrive. Bensì al fatto che un racconto debba avere per forza un centro, una sorta di motore (anche se suona retorico, lo so).
Di solito il lettore, e prima di lui il bravo editore, va a caccia di questo motore. È lui che muove, spinge e dirige tutto verso una precisa direzione. Uno dei motivi grazie al quale la storia si dimostra efficace e di valore, è la presenza di questo motore, o meglio della sua capacità di funzionare. Evito con cura di aggiungere “bene” al verbo funzionare: occorre rendersi conto che nella maggior parte dei casi l’esordiente scrive, scrive pure tanto. Ma non c’è alcun motore. Produce solo una carcassa.
Altre volte il motore c’è, diciamo che è interessante. Però non ha sufficiente forza per arrivare a destinazione.
Infine, quando il motore gira bene, allora siamo a cavallo (anche se è strano accostare equini a motori). Potrebbe persino colpire l’attenzione di un editore.
È un errore parlare solo di ispirazione, idee e fanfaluche del genere. Non sono le idee che creano la storia (racconto o romanzo che sia). E un sacco di gente crede di esserne capace; infatti si sente dire in giro: “Ho un mucchio di idee in testa, sarebbero dei romanzi fantastici”. Un’affermazione del genere non è molto distante da quella che dice: “Ho in mente dei nuovissimi modelli di automobili, sarebbero dei successi colossali. Ford, Fiat, fatevi da parte, grazie”.
Ciascuno può decidere di vivere nel film di fantascienza che preferisce; però la faccenda è un poco più complicata. L’idea è nulla senza un motore. Uno dei motivi che conduce un autore sul viale del tramonto non è la mancanza di idee, di ispirazione; bensì l’incapacità di creare il motore. La vena si inaridisce, e costui diventa un bravo, ottimo mestierante, ma nulla di più. Ci sono autori che ho amato molto, ma che da anni hanno smesso di scrivere qualcosa di almeno interessante.
Attenzione: non voglio affermare che le idee non ci devono essere. Senza, come si fa a scrivere? Dico solo che è appunto un’idea, mentre una storia, non importa la lunghezza che ha, è fatta di carne e sangue. Deve essere efficace e di valore. Ridicolo affermare a questo punto che è proprio qui dove l’asino rovina a terra (casca, insomma). Avere idee non costa nulla, alcune possono essere affascinanti: però bisogna sporcarsi le mani, darsi da fare. Il buon Manzoni diceva che bisogna “Pensarci su”; un’attività che non ha mai riscosso molto successo.
Si evocano allora balzane giustificazioni come:
“Sono un autore tutto istinto, butto fuori quello che ho dentro” (e ti chiedi perché nessuno ti invita mai a cena? Suvvia…)
“Sono un tipo viscerale, tutto umori e forza bruta” (Come?)
Adesso qualcuno potrebbe obiettare che di solito gli scrittori invitano a scrivere senza curarsi troppo della forma. Quella si curerà in un secondo momento; prima scrivere, lasciare spazio libero alla mano, quasi fosse un’entità sganciata dal cervello.
Ma sono d’accordo.
Capiamoci: c’è una bella differenza tra buttare giù un’idea, e basta; e scrivere. La seconda fase si verifica solo quando c’è un motore da qualche parte che inizia a fare il suo dovere. Prima non c’è nulla, ci sono solo delle immagini forse, una donna che ha fatto questo, un bambino che ha scoperto quello. Bene, ottimo anzi: e poi?
Gli umori, o l’istinto non sono di aiuto nel funzionamento di un motore. Questo richiede cura, freddezza, attenzione al dettaglio, disciplina. Alla fine magari inquina; batte in testa. Ha qualche problema di prestazione nelle salite. Succede. Sono pochi i romanzieri che riescono a non perdere un solo colpo in oltre 500 pagine; anzi forse non esistono. Però non ci si bada.