Stavo giusto pensando che se c'è una cosa apprezzabile dei fallimenti è che questi non avvengono mai in maniera inaspettata, fortuita o all'improvviso. Nel senso che non sono come i ladri, che quando vengono a derubarti non ti avvisano. I fallimenti, sia sovrani che privati, avvisano sempre, e nel farlo fanno sempre molto rumore, anche se si agisce per attutirne il fragore. Al netto di tutte le analisi disponibili più o meno in tempo reale, prima che si manifestino hanno dei tempi di incubazione sufficientemente lunghi per difendersi e correre ai ripari. Tempi nei quali, in genere, si scrivono tonnellate di inutili analisi e articoli: un po' come quelli pubblicati in questi pixel. Insomma, ad un certo punto la percezione del rischio fallimento diventa (dovrebbe diventare) di dominio pubblico, anche se si rimane nell'inerzia e non si agisce per difendersi dagli effetti collaterali che potrebbero determinarsi. Prendiamo il caso di qualche banca, ad esempio. È da almeno quattro o cinque anni che tutti i media nazionali, anche quelli più allineati, trasmettono notizie circa le precarie condizioni di alcune banche che navigano in cattive acque; una su tutte: Mps. Non mi riferisco solo alle banche di grandi dimensioni, ma anche alle banche più piccole, le cui cronache vengono raccontate dalla stampa locale. Ebbene, sono anni che si conosce la stato di salute di queste banche, eppure, ad oggi, nessun risparmiatore ha perso quattrini. Ad oggi, ma domani?
Personalmente, non scommetterei che non possa accadere. Se non altro perché la normativa europea sui salvataggi bancari dispone che anche i risparmiatori, in alcune condizioni, debbano essere chiamati a patire le perdite delle banche in dissesto. Quindi, il fatto che non sia ancora accaduto non significa che non possa accadere domani. Anzi, le possibilità che accada aumentano al protrarsi della crisi.
Ampliamo l'orizzonte e passiamo agli stati.
Ogni bancarotta sovrana che si rispetti presuppone tempi di incubazione relativamente non brevi, dove si manifestano dinamiche in via di principio comuni a tutti i default. Molto telegraficamente, queste sono:
- repentini mutamenti di governi, anche con presa del potere da parte di persone non elette;
- fallimenti e sostanziali ridimensionamenti di realtà produttive;
- innalzamento della disoccupazione;
- crolli della borsa, specie dei titoli legati alla finanza ed al credito;
- repentini aumenti della pressione fiscale;
- significativa riduzione delle liquidità depositata presso gli istituti di credito;
- cessione di quote di sovranità in cambio di aiuti o denaro fresco;
- intervento di organismi internazionali (FMI, Troika).
Che evidentemente ha fatto venir meno il fattore "deterrenza" del rischio cambio. In un regime a cambi fluttuanti le variazioni di prezzo del cambio avrebbero esercitato una deterrenza, appunto, per via del fatto che la debolezza economica di una nazione, così come le criticità e quindi anche il rischio sovrano, sarebbero stati elementi riflessi nella quotazione del cambio, che avrebbe incentivato o meno l'investimento in una determinata area piuttosto che in un'altra, restituendo una percezione più attendibile delle finanze pubbliche e quindi della solvibilità dei rispettivi paesi. Questo avrebbe stimolato i governi ad implementare quelle riforme eventualmente necessarie per migliorare e rendere più efficienti i rispettivi apparati statali, la burocrazia, il fisco, e rendere più competitive le varie economie che, in un regime di cambi variabili, avrebbero dovuto per forza di cose riformarsi per attrarre capitali e investimenti. Così non è stato e i governi si sono trovati ugualmente finanziati a tassi bassi, nonostante il fatto che, almeno nel contesto italiano, nessuna riforma concreta sia stata effettivamente adottata. Miracoli del cambio fisso, dicevamo. Ad un certo punto della storia, però, in un bel giorno del 2011, ci si è accorti che non tutti i paesi della zona euro godono dello stesso merito creditizio, e ciò che era avvenuto fino a quel momento non era altro che un'illusione. I mercati stavano scaricando miliardi di titoli di stato di Spagna, Italia, Portogallo e Grecia, perché ritenuti non più affidabili. I rendimenti aumentavano vertiginosamente e di conseguenza anche i rispettivi spread sul bund tedesco. Quindi austerità a mai finire, perché "c'era lo spread ad imporla", si diceva. Peccato che, nel frattempo, l'Europa si sia seduta su una bomba ad orologeria fiscale, resa ancor più dirompente da un altra bomba che è assai più difficile disinnescare: quella demografica, per via del rapido invecchiamento della popolazione. Quindi, fine dell'illusione? Neanche per sogno. Ad oggi, si sta vivendo un'illusione analoga, anzi, addirittura peggiore, molto peggiore. I bond italiani sono collocati con rendimenti ai minimi storici, nonostante un contesto economico fortemente deteriorato e il debito pubblico assai meno sostenibile rispetto ad allora. I rendimenti non riflettono affatto i fondamentali economici dell'italia e neanche le prospettive di crescita futura. Oggi l'Italia è assai diversa rispetto al 2011 e anche molto più rischiosa. Inutile spiegare il perché in questo articolo che ha fine diverso: l'intero blog è dedicato ad illustrare, nel miglior modo possibile, la situazione in cui si trova l'Italia; quindi, se ne avete tempo e voglia, potete approfondire l'argomento leggendo qualche articolo sul blog. Per rendervi la vita più facile, QUI potete trovare qualcosa di immediatamente fruibile. Andiamo oltre, e veniamo alla BCE. I mercati, sia obbligazionari che azionari, stanno prezzando un intervento ulteriormente espansivo della BCE: cioè, i mercati, anche per via delle parole di Draghi -che non perde occasione per rinnovare il suo "whatever it takes"-, si attendono che la BCE, nel prossimo futuro, acquisterà titoli pubblici schiacciandone ulteriormente i rendimenti, che non sono affatto espressione del grado di rischio o di solvibilità dei paesi. L'essenziale è offrire l'illusione.
L'illusione che ci sia qualcuno o qualcosa (in questo caso la banca centrale) che possa veicolare la percezione del rischio, sia dei mercati che dell'opinione pubblica. Per cui, i meno edotti si diranno: "i titoli di stato italiani rendono poco"; e la massaia risponderà: "rendono poco perché sono sicuri. Comprali!".Quindi vengono comprati. In altre parole, ciò che si vuole dire è che la percezione del rischio è fortemente distorta dal fatto che le banche centrali (in questo caso la BCE, ma anche le altre) si sono sostituite al mercato nel processo della formazione dei prezzi determinati per via dell'incrocio della domanda e dell'offerta, le cui condizioni di equilibrio sono fortemente distorte.
Certo: in cuor della Bce alberga la speranza che, prima o poi, le economie possano riprendersi e quindi che si avvicinino ad esprimere livelli di crescita tali da giustificare i livelli di prezzo di molte attività finanziarie oggi in bolla, senza che questa si sgonfi facendo precipitare i prezzi verso livelli maggiormente aderenti all'economia reale. Ma se la ripresa dovesse tardare arrivare, che si fa? Ecco che i mercati esigerebbero nuove dosi di eroina monetaria, che dovrebbe essere somministrata in dosi maggiori, al fine di eliminare gli effetti dell'assuefazione determinata dagli interventi precedenti. E la Bce, consapevole del fatto che un crollo violento dei mercati finirebbe per abbattere le deboli speranze di ripresa mettendo sotto pressione i paesi più deboli (leggasi Italia), non può fare altro che adeguarsi e somministrare dosi crescenti di eroina monetaria, divenendo ostaggio dei mercati ancor di più di quanto lo sia oggi.
Eppure... Eppure la BCE non avrebbe nessun motivo per comprare debito pubblico di paesi falliti dell'area mediterranea, e se ciò dovesse avvenire, avrà nulla a che vedere con il finanziamento dell'economia reale, come in molti invece si illudono. I bond governativi scontano già livelli di interessi estremamente bassi, peraltro - come detto- in modo completamente distorto rispetto ai fondamentali economici, che invece soffrono e si deteriorano. Alle singole aste non esiste un problema di domanda di debito pubblico. La bilancia commerciale delle zona euro, per di più, è già in attivo e un eventuale deprezzamento del cambio avrebbe come ovvia conseguenza quella di favorire le economie più forti dell'Eurozona: leggasi Germania che sta già esportando ad un cambio (quello dell'euro) già deprezzato, che non riflette i fondamentali economici di quella nazione, che esigerebbe un valuta ancor più forte rispetto all'euro. Miracoli del cambio fisso, che ha consentito di agganciare economie più deboli (quelle dell'area mediterranea) che contribuiscono a schiacciare il cambio, rispetto a quanto altrimenti sarebbe.
Quel che occorrerebbe, almeno nel conteste italiano, non è più credito a favore delle imprese, già fortemente indebitate. Ma più capitali. E il capitale è cosa assai diversa dal credito, che andrebbe rimborsato. Ma i capitali, in genere, vengono allocati ove esistono migliori condizioni attrattive per far fare impresa: impensabile nel contesto italiano, senza che questo venga profondamente riformato. Questa consapevolezza rende ancor più audace l'illusione di chi si attende che un ulteriore ciclo espansivo della Bce possa portare rilevanti benefici all'economia reale.
Andrebbe considerato anche che alla Bce è vietato assumere il ruolo di prestatore di ultima istanza, in quanto la banca centrale non può finanziare direttamente i governi. Così dicono i trattati, fino a quando sono fatti per essere rispettati. E di questo aspetto ne abbiamo già parlato QUI , QUI e QUI, ma anche altrove. Ammesso che gli aspetti tecnici e legali siano superabili, non avrebbe senso finanziare governi ai quali è impedito di spendere a deficit per via del vincolo del pareggio di bilancio. Giusto o sbagliato che sia, in questo contesto, non questo il punto.
Quindi, a meno che non si voglia fare carta straccia dei trattati, a questo punto non rimangono che due possibilità.
La prima: intervenire sul mercato secondario (come già fatto in passato con il programma Smp) e quindi comprare titoli detenuti dalle banche, prevalentemente.
La seconda: aggirare il sistema bancario e finanziare direttamente le imprese, magari acquistando obbligazioni. Lasciamo perdere gli aspetti tecnici, ma questa ipotesi la vedo pressoché impossibile. E poi, comunque, non esiste un mercato obbligazionario delle imprese di piccole o micro dimensioni, per il semplice emotivo che queste non emettono obbligazioni. E sono soprattutto quelle in deficit di capitali.
Torniamo alla prima ipotesi. Se la Bce comprasse titoli sul mercato secondario (cioè da banche, prevalentemente), oltre a schiacciare ulteriormente i rendimenti dei titoli di stato, consentirebbe di liberare risorse del sistema bancario idonee a finanziare l'economia reale, si dice. C'è un fatto, però. Ossia che non è scritto da nessuna parte che le banche debbano finanziare l'economia reale, posto il fatto che la ripresa appare ancora un miraggio. Quindi, perché allargare i cordoni della borsa accollandosi il rischio di imbarcare nuove sofferenze per via di una economia ancora in apnea? si diranno le banche. Dubbi, questi, aggravati anche dal fatto che la Germania o chi per lei potrebbe contrastare Draghi nell'acquisto di debito sovrano. Dubbi resi ancor più evidenti dal fatto che in molti paesi i pariti con connotazioni euroscettiche sono in forte affermazione. Dubbi rafforzati dal fatto dinanzi alla Corte di Giustizia Europea pende il giudizio sulla legittimità degli OMT, lo strumento anti spread nato nel settembre del 2012, proprio al fine di placare i mercati e finora mai usato. Quindi se dovesse esserne sancita l'illegittimità, sarebbe logico ritenere che, a maggior ragione, il vizio colpirebbe anche il Qe sul debito sovrano.
Seconda questione: le imprese, e anche le famiglie, come dicevamo, sono già abbastanza indebitate, a fronte di fatturati in calo e redditi disponibili in contrazione che rendono difficoltoso rimborsare i prestiti. Quindi, a mio avviso, al netto del fatto che un QE della Bce sui debiti sovrani tenderà ad accrescere le divergenze tra i vari paesi, appare legittimo nutrire più di un dubbio sull'impatto che un eventuale QE sul debito sovrano potrebbe avere sull'economia reale. Al tempo stesso, produrrà aspettative di crescita dei prezzi non sostenuti da fondamentali economici altrettanto robusti, tali da giustificare livelli di prezzo così alti. Non ricordo chi sia stato a dirlo, ma qualcuno di sicuro più autorevole di me(che non sono autorevole), ebbe a dire che "un'economia senza fallimenti è come una chiesa senza crocifisso". L'illusione che possa esistere un'economia senza fallimenti, continua. La domanda è: fino a quando?