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L’illusione di non essere come gli altri

Creato il 29 marzo 2011 da Andreapomella

L’illusione di non essere come gli altriL’uomo si è avventato nella stanza, ha detto che voleva parlare col responsabile dell’ufficio, il dottor… (ha letto su un foglio estratto al volo dalla tasca dei jeans e poi l’ha chiamato col nome di battesimo). Il responsabile dell’ufficio, il dottor nomedibattesimo, lo ha pregato di attenderlo fuori dalla stanza. “C’è una fila di poltrone nel corridoio, la faccio chiamare appena mi libero”. Così l’uomo è rimasto seduto su una delle poltrone del corridoio. Ci è rimasto per un quarto d’ora, per mezz’ora, per un’ora. Ho incrociato i suoi occhi a intervalli di venti minuti, mentre entravo e uscivo dalla stanza. Aveva gli occhi fiduciosi e la pazienza di chi è abituato da una vita a subordinarsi ai tempi degli altri. Quando finalmente il responsabile dell’ufficio l’ha invitato a entrare, lui si è seduto rumorosamente davanti alla scrivania, le mani poggiate sulle cosce, il naso che puntava dritto e la bocca semiaperta come uno studente davanti alla commissione per l’esame di maturità. Ha detto che era un cassaintegrato di una società il cui nome suonava un po’ come degestlogestfagest… e che però lui non era tipo da scoraggiarsi e perciò si era rimboccato le maniche e stava per prendere in gestione il bar di un campeggio. Tutto questo lo ha pronunciato a una velocità straordinaria, come se le parole venissero espulse più che essere pronunciate. La sua fiducia negli altri, l’aspettativa che dimostrava di riporre nel futuro era commovente. Indossava un giubbotto senza maniche, tipo quelli che usano i pescatori. Da una delle tasca fuoriusciva una rivista sportiva sgualcita e alcuni fogli scarabocchiati, credo fossero documenti. Ho cercato di scacciare l’angoscia mentre osservavo la sua speciale fede negli uomini e negli eventi, era capace di un’intensa concentrazione, era teso all’obiettivo. Mezz’ora più tardi l’ho visto uscire dall’ufficio, mentre io ero immerso nei pensieri rituali durante l’ennesimo vagabondaggio lungo il corridoio. La sua faccia irradiava una nuova originalità, sembrava volesse toccare ogni cosa con lo sguardo, appropriarsi del mondo, fagocitarlo con la sua determinazione. Glielo leggevo nei gesti minori. Sono convinto che non saprà mai che io sapevo, e almeno questo mi dà l’illusione di non essere come lui.


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