Analizzando lo spettro di oltre un milione di galassie, la Baryon Oscillation Spectroscopic Survey ha realizzato la misura più precisa di sempre della scala dell’universo. Consentendo di quantificare alcune proprietà della dark energy e della curvatura. Numerosi gli italiani nella collaborazione.
di Marco MalaspinaLe oscillazioni acustiche dei barioni si riflettono nella tendenza (qui molto esagerata) delle galassie a raggrupparsi in sfere. Sfere che in origine erano onde di densità in propagazione nel plasma dell’universo primordiale. Il raggio delle sfere (linea bianca) è il “righello standard” che ha permesso agli astronomi di determinare, con la precisione dell’uno per cento, la struttura a larga scala dell’universo. Crediti: Zosia Rostomian/LBNL
«Non sono tante le cose della vita di tutti i giorni che conosciamo con un margine d’errore dell’uno percento. Ebbene, da oggi posso dire di conoscere le dimensioni dell’universo meglio di quelle di casa mia», annuncia David Schlegel, fisico del Lawrence Berkeley National Laboratory e principal investigator della collaborazione BOSS (Baryon Oscillation Spectroscopic Survey), una campagna osservativa di proporzioni enormi che ha già analizzato gli spettri di oltre un milione di galassie remote.
«Mai s’era raggiunta una precisione simile nella misurazione della scala dell’universo. Vent’anni fa gli astronomi discutevano fra loro basandosi su stime che differivano l’una dall’altra fino al cinquanta percento. Cinque anni fa eravamo arrivati a ridurre il margine d’incertezza al cinque percento. Un anno fa eravamo scesi al due percento. Una precisione dell’uno percento, come quella ottenuta oggi, è uno standard destinato a reggere a lungo».
Questa prestazione da record è stata raggiunta analizzando, con il telescopio della Sloan Foundation, gli spettri di luce di oltre un milione di galassie – 1.277.503, a voler essere precisi – distribuite su 8509 gradi quadrati di cielo e con redshift compreso fra 0.2 e 0.7, dunque spingendosi indietro nel tempo fino a oltre sei miliardi di anni nel passato dell’universo. «Le misure di redshift di galassie presenti nel database di BOSS», osserva Schlegel, «sono probabilmente più di quelle raccolte da tutti gli altri telescopi nel mondo».
Misurare posizione e distanza delle galassie, e dunque la loro distribuzione in uno spazio a tre dimensioni, con tale precisione è, per gli astrofisici, una sfida cruciale. «Vedi qualcosa in cielo e subito ti domandi: ma quant’è distante? Una volta che riesci a determinarlo», spiega il direttore della Sloan Digital Sky Survey, Daniel Eisenstein, «scoprire il resto diventa di colpo molto più facile».
La mappa tridimensionale ricostruita grazie a BOSS consente, per esempio, di risalire con estrema precisione all’ampiezza delle cosiddette BAO (baryon acoustic oscillations), le fluttuazioni impresse sui barioni dalle onde acustiche dell’universo primordiale. Fluttuazioni di cui ancora oggi si conservano le tracce nella radiazione del fondo cosmico a microonde e nella distribuzione, appunto, di galassie e ammassi di galassie.
Non solo: la mappa 3D di BOSS è per gli scienziati uno strumento ottimale per misurare la curvatura dell’universo. E dai dati raccolti pare proprio che la curva, se mai c’è, sia davvero impercettibile. Insomma, tutto sembra confermare che viviamo in un universo piatto, in senso euclideo: un universo in cui le rette parallele corrono senz’incontrarsi mai e sommando gli angoli dei triangoli s’ottiene sempre 180 gradi.
Infine, grazie ai risultati delle misure effettuate da BOSS è ora possibile delineare un po’ meglio le caratteristiche di alcune entità ancora avvolte nella nebbia più fitta, come l’energia oscura, che stando ai risultati di BOSS sembrerebbe non variare proprio mai. Media INAF ne ha parlato con una delle scienziate della collaborazione, la cosmologa italiana Licia Verde.
Professoressa Verde, la misura di BOSS aiuta a fare un po’ di luce sull’energia oscura. Dai risultati che avete ottenuto cosa se ne deduce? Varia o è costante? Ed è la costante cosmologica di Einstein o qualcosa d’altro?
Einstein inventò a suo tempo la costante cosmologica, quando ancora nemmeno si sapeva che l’universo è in espansione, quando “big bang” apparteneva più ai fumetti che alla scienza. Dopo più di mezzo secolo la costante cosmologica fu resuscitata per spiegare l’espansione accelerata dell’universo. Ma una costante cosmologica è un (bel) po’ scomoda: una volta che comincia a far accelerare l’universo, nessuno la ferma più, e separa rapidamente le galassie l’una dall’altra di modo che si perdano di vista. Allora perché vediamo sia gli effetti della costante cosmologica, sia tante altre galassie? Non solo: i fisici teorici che studiano le proprietà dello spazio-tempo e del vuoto ci dicono che la costante cosmologica dovrebbe essere dieci elevato a un numero grande di volte più grande di quel che appare. Ora, siccome la caratteristica distintiva della costante cosmologica è che è, appunto, costante, dovrebbe avere sempre lo stesso valore nel tempo e nello spazio. Quindi è aperta la “caccia” a indizi per vedere se c’è qualche segno che non sia proprio costante.
Le misure come quelle di BOSS aiutano a ricostruire con precisione la storia dell’espansione dell’universo, che ovviamente non è la stessa per una costante cosmologica o per qualche cosa come una “in-costante” cosmologica. Nonostante queste misure sempre più precise, quel 70% dell’universo [che non è materia e che attribuiamo all’energia oscura, ndr] non mostra variazioni, insomma sembra proprio costante. Il punto fondamentale è: magari non è una costante ma varia cosi poco che ancora non lo possiamo misurare? O è proprio una costante e il fatto che la troviamo “scomoda” significa che la fisica sta cercando di dirci qualche cosa… che ancora non capiamo? È proprio un mistero. Qualunque cosa sia, le misure, come quelle di BOSS, sempre più precise, sono gli strumenti indispensabili per cercare di risolvere il mistero.
A proposito di distanze: nella lista d’autrici e autori dell’articolo che avete sottoposto a Monthly Notices of the Royal Astronomical Society (vedi qui sotto) s’incontrano nomi decisamente italiani, ma tutti di persone attualmente all’estero. C’è, per esempio, Claudia Maraston in Inghilterra, Francesco Montesano in Germania, l’italo-argentina Claudia Scoccola a Madrid e lei, nata a Venezia e laureata a Padova, oggi docente all’Università di Barcellona. È un caso o vi siete messi d’accordo?
«Gli italiani tendono a essere buoni lavoratori e intraprendenti di carattere, una combinazione potente. No, non ci mettiamo d’accordo… ma ci fa piacere incontrarci, molte volte inaspettatamente, oltre-confine. Per quanto ognuno segua una traiettoria distinta, abbiamo sempre molte cose in comune!»
Per saperne di più:
- Leggi l’articolo “The clustering of galaxies in the SDSS-III Baryon Oscillation Spectroscopic Survey: Baryon Acoustic Oscillations in the Data Release 10 and 11 Galaxy Samples“
Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Malaspina