Questo anno 2011 è l’anno di una importante presa di coscienza: le probabilità di un mio rientro a vivere in Italia si sono notevolmente abbassate. L’ipotesi è sempre rimasta in piedi, in the back of my mind: finito il Ph.D., vediamo dove sarà possibile andare per lavorare, e vediamo cosa succede a livello di assunzione per il ministero dell’Istruzione italiano, il tutto in estremo relax, senza angosce, senza pretese, senza eccessive ambizioni o paure.
Insegnare e scrivere sono le due cose che so far meglio, e con più piacere. Ma purtroppo sono due attività che pagano proprio poco in Italia, mentre all’estero le pagano molto meglio. Però nella mia vita non ho mai considerato l’aspetto economico come il più importante, quindi la possibilità di un rientro nel Paese di Berlusconi, del Vaticano, della Lega, è sempre rimasta.
Da quando invece ho trovato in Nord America l’ammmore, quello con tre “m”, ho la sensazione che le possibilità di un rientro nello Stivale si siano davvero ridotte. Un po’ mi dispiace, perché in Italia ho i miei genitori, i miei luoghi, i miei amici. Ma sono allo stesso momento eccitato all’idea di avere alcuni decenni (se avrò la fortuna di diventar vecchio, chiaro) in Canada o negli USA o dove diavolo sarà, crescendo dei figli che parleranno in tutta probabilità meglio l’inglese e magari anche lo spagnolo dell’italiano. Che comunque spero parleranno.
Buffo. Qualcuno ha scritto che siamo le persone che incontriamo. Perché quelle persone ci modellano, ci cambiano: basta prestar loro attenzione, orecchio, ascoltarle, e non starsi sempre a guardare l’ombelico. Nel mio caso è proprio ciò che sta succedendo, e penso che la cornice in cui sto vivendo sia anche il frutto di una gran dose di fortuna. Per carità, non ho fatto la scoperta dell’America (anche se tutto sommato…), moltissimi poeti e cantanti hanno già cantato questa cosa prima di me: