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Non piantare che un albero: la vite
Alceo
Il vino si ottiene a partire dal succo d’uva, in seguito ad una complessa e lunga lavorazione in cantina. Sull’impulso dell’imperativo di Alceo, poeta greco vissuto tra il settimo ed il sesto secolo a.C., del quale sono arrivati fino a noi circa 400 frammenti, saranno descritte le modalità di impianto di un vigneto, dai cui frutti – gli acini d’uva-, si otterrà il mosto, per primo, e poi il vino.
Vitis vinifera è il nome scientifico della pianta di vite, che appartiene alla famiglia delle Vitacee. I suoi frutti, organizzati in grappoli o racemi, sono del tipo delle bacche. Con una vasta adattabilità al clima, la vite presenta un immenso areale di coltivazione: Europa, America, Africa, Asia, Australia e Nuova Zelanda, in zone ubicate perlopiù tra il 30° e il 50° di latitudine.
La parte aerea delle viti per la coltivazione in campo appartiene a varietà di Vitis vinifera innestate su viti di origine americana (altre specie di Vitis) che forniscono la parte basale e radicale della pianta. Per quale motivo si fa ricorso al portainnesto? La risposta sta nel fatto che la vite americana utilizzata come portainnesto è resistente alla fillossera, un insetto che attacca la parte radicale della vite, e che alla fine del 19° secolo causò in Europa la distruzione di tutti i vigneti, una catastrofe che ha lasciato il segno nella storia della viticoltura; per questo motivo l’utilizzo di un portainnesto di vite americana o similari, è un must a cui non si può derogare.
Quando si decide di impiantare un nuovo vigneto si devono affrontare scelte che si riveleranno di importanza decisiva per la quantità e la qualità delle uve che verranno prodotte, scelte che riguardano principalmente il portainnesto, la varietà, la forma di allevamento. Considerando che la durata economica di un impianto viticolo è mediamente di vent’anni, si capisce bene la portata, anche economica, delle decisioni da prendere.
Per quanto riguarda il portainnesto, la sua scelta – oltre ad essere obbligata dal rischio fillossera-, può variare molto a seconda del tipo di suolo su cui si va a realizzare il vigneto. Infatti, la tessitura del terreno, il suo contenuto in elementi nutritivi, la ricerca di una produttività maggiore o minore, orienteranno verso il portainnesto da utilizzare.
In Italia la vite può essere allevata in tantissime forme, tra quelle di uso tradizionale e non. Il sistema di allevamento determinerà forma e dimensioni della pianta e sarà individuato in funzione degli effetti sulla crescita della pianta e la maturazione delle uve. Soltanto per farsi un’idea, ecco due esempi: a seconda dell’ambiente in cui la vite crescerà e darà frutti, essa potrà essere indotta a crescere verso l’alto per evitare il gelo che può salire dal terreno – e in tal caso si utilizzeranno forme di allevamento che lasciano sviluppare la pianta in altezza-, oppure potrà crescere molto vicino al suolo, se si vuole sfruttare il calore che da esso proviene. Negli ultimi decenni, inoltre, si sono sviluppate forme d’allevamento che consentono di effettuare la vendemmia con le macchine vendemmiatrici.
Sulle piante allevate in varia forma, può essere praticato un diverso tipo di potatura, con un numero di gemme variabile correlato al numero di grappoli che la pianta porterà: un maggior numero di gemme consentirà di ottenere più grappoli. Il punto fondamentale è che la qualità delle uve risulta inversamente correlata al numero di grappoli: la qualità più elevata si otterrà con minori quantitativi d’uva prodotti da ogni singola pianta. Sviluppando la tecnica di coltivazione intorno a questo principio, risulta evidente che per ottenere uve di qualità e – conseguentemente- vini di qualità, è necessario ridurre l’uva prodotta, ricercando il giusto equilibrio tra qualità e quantità.
Ma la scelta più importante, quella che incide sulle caratteristiche di un vino, è il vitigno. Nel mondo esistono migliaia di varietà diverse di uve, da quelle “internazionali” – come Cabernet, Merlot, Syrah, Pinot, Riesling, Chardonnay – che vengono coltivate quasi ovunque, a quelle autoctone che, invece, sono espressione di un territorio, sviluppatesi ed acclimatate in esso, da cui si ottengono quei prodotti legati al territorio sempre più apprezzati e ricercati. Della Campania, in particolare, si ricordano i vitigni Aglianico – da cui si ottengono i vini Aglianico e l’apprezzatissimo Taurasi – e Piedirosso tra i vitigni a bacca rossa, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo, Coda di Volpe, Asprinio tra i vitigni a bacca bianca. Sono nomi da memorizzare per scegliere vini dalla spiccata tipicità sensoriale.
Per agganciarsi alla storia della coltivazione della vite ed all’origine di questi vitigni, un’ipotesi accreditata afferma che l’Aglianico trarrebbe il suo nome da Ellenico (sarebbe stato introdotto in Italia con le colonie della Magna Grecia); la Coda di Volpe, invece, è citata da Plinio nella Naturalis Historia. Non si tratta della vite antichissima di Alceo, ma non manca molto…