L'importanza della cultura
Pubblicato da Alessandra Zengo Cari lettori,vorrei segnalarvi questa domenica l'interessante articolo "Niente cultura, niente sviluppo" apparso sull'inserto Domenica de Il Sole 24 ore, che vi consiglio di leggere.
Un manifesto per la cultura in cinque punti, in cui si evidenziano gli snodi e le riforme legislative e fiscali per creare sviluppo con la conoscenza, la ricerca, l'arte.Questa è la copertina del domenicale (in allegato al quotidiano potete trovare anche il racconto Il violinista delle danze scozzesi di T. Hardy) che propone una riflessione sull'importanza della cultura oggi e cinque punti "per una costituente che riattivi il circolo virtuoso tra conoscenza, ricerca, arte, tutela e occupazione". E come non essere d'accordo sul bisogno di una riformazione culturale? Quello che l'articolo vuole mettere in luce è lo stresso rapporto esistente tra cultura e sviluppo: bisogna investire in conoscenza per aumentare il progresso e la produttività del nostro paese. Un articolo trasversale che investe diversi settori, quali l'economia, la politica e l'istruzione, e che rispecchia la situazione italiana – tutt'altro che positiva. Buona lettura!
Occorre una vera rivoluzione copernicana nel rapporto tra sviluppo e cultura. Da "giacimenti di un passato glorioso", ora considerati ingombranti beni improduttivi da mantenere, i beni culturali e l'intera sfera della conoscenza devono tornare ad essere determinanti per il consolidamento di una sfera pubblica democratica, per la crescita reale e per la rinascita dell'occupazione.
1. Una costituente per la culturaCultura e ricerca sono due capisaldi della nostra Carta fondamentale. Le riflessioni programmatiche che proponiamo qui cercano di mettere a punto alcuni elementi "per una costituente della cultura". L'articolo 9 della Costituzione "promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico nella Nazione." Sono temi saldamente intrecciati tra loro. Perché ciò sia chiaro, il discorso deve farsi strettamente economico. Niente cultura, niente sviluppo. Dove per "cultura" deve intendersi una concezione allargata che implichi educazione, istruzione, ricerca scientifica, conoscenza. E per "sviluppo" non una nozione meramente economicistica, incentrata sull'aumento del Pil, che si è rivelato un indicatore alquanto imperfetto del benessere collettivo e ha indotto, per fare solo un esempio la commissione mista Cnel-Istat a includere cultura e tutela de paesaggio e dell'ambiente tra i parametri da considerare. La crisi dei mercati e la recessione in corso, se da un lato ci impartiscono una dura lezione sul rapporto esistente tra speculazione finanziaria ed economia reale, dall'altro devono indurci a ripensare radicalmente il nostro modello di sviluppo.
2. Strategie di lungo periodoSe vogliamo davvero ritornare a crescere, se vogliamo ricominciare a costruire un'idea di cultura sopra le macerie che somigliano assai da vicino a quelle da cui è iniziato il risveglio dell'Italia nel secondo dopoguerra, dobbiamo pensare a un'ottica di medio-lungo periodo in cui lo sviluppo passi obbligatoriamente per la valorizzazione dei saperi, delle culture, puntando in questo modo sulla capacità di guidare il cambiamento. La cultura e la ricerca innescano l'innovazione, e dunque creano occupazione, producono progresso e sviluppo. La cultura, in una parola, deve tornare al centro dell'azione del governo. Dell'intero Governo, e non di un solo ministero che di solito ne è la Cenerentola. E' una condizione per il futuro dei giovani. Chi pensa alla crescita senza ricerca, senza cultura, senza innovazione, ipotizza per loro un futuro da consumatori disoccupati, e inasprisce uno scontro generazionale senza vie d'uscita. Anche la crisi del nostro dopoguerra, a ben vedere, fu affrontata investendo in cultura. Le nostre città, durante quella stagione, sono state protagoniste della crescita, hanno costruito "cittadini", e il valore sociale condiviso che ne è derivato ha creato una nuova cultura economica. Ora le sfide paiono meno tangibili rispetto alle macerie del dopoguerra, ma le necessità e la capacità di immaginare e creare il futuro sono ancora più necessarie e non rinviabili. Se oggi quelle stesse città che sono state laboratori viventi sembrano traumatizzate da un senso di inadeguatezza nell'interpretare le nuove sfide, ciò va ascritto a precise responsabilità di governo e a politiche e a pratiche decisionali sbagliate. Negli ultimi decenni nel nostro Paese – a differenza di altri, Francia, Germania, Stati Uniti oltre a economie recentemente "emerse" – è accaduto esattamente l'inverso di ciò che era necessario. Si è affermata la marginalità della cultura, del suo Ministero, e dei Ministeri che se ne occupano (Beni e Attività Culturali e Istruzione, Università e Ricerca) considerati centri di spesa improduttiva, da trattare con tagli trasversali.
3. Cooperazione tra ministeriOggi si impone un radicale cambiamento di marcia. Porre la reale funzione di sviluppo della cultura al centro delle scelte dell'intero Governo, significa che la strategia e le conseguenti scelte operative, devono essere condivise dal ministro dei Beni Culturali con quello dello Sviluppo, del Welfare, della Istruzione e ricerca, degli Esteri e con il Presidente del Consiglio. Inoltre il ministero dei Beni Culturali e del paesaggio dovrebbe agire in stretta coordinazione con quelli dell'Ambiente e del Turismo. Non si tratta solo di una razionalizzazione di risorse e competenze, ma dell'assunzione di responsabilità condivise per lo sviluppo. Responsabilità né marginali né rinviabili. Se realisticamente una vera integrazione degli obiettivi sembra difficile date le strutture relative di potere di ogni ministero e la complessità di azione propria dei ministeri stessi, tuttavia questo non deve diventare un alibi per l'inazione. Al contrario: esso deve imprimere il senso della necessità di favorire ogni forma di sperimentazione possibile che vada nella direzione di una cooperazione tra ministeri, oltre che ripristinare i necessari collegamenti tra Nord e Sud, tra centro e periferie. Si tratta di promuovere il funzionamento delle istituzioni mediante la loro leale cooperazione, individuando e risolvendo i conflitti a livello normativo (per esempio i conflitti Stato-Regioni per le norme su ambiente e paesaggio).
4. L'arte a scuola e la cultura scientificaE' importante che l'azione pubblica contribuisca a radicare a tutti i livelli educativi, dalle elementari all'università, lo studio dell'arte e della storia per rendere i giovani i custodi del nostro patrimonio, e per poter fare in modo che essi ne traggano alimento per la creatività del futuro. Per studio dell'arte si intende l'acquisizione di pratiche creative e non solo lo studio della storia dell'arte. Ciò non significa rinunciare alla cultura scientifica, che anzi deve essere incrementata e deve essere considerata, in forza del suo costitutivo antidogmatismo, un veicolo prezioso dei valori di fondo che contribuiscono a formare cittadini e consumatori dotati di spirito critico e aperto. La dicotomia tra cultura umanistica e scientifica si è rivelata infondata proprio grazie a una serie di studi cognitivi che dimostrano che i ragazzi impegnati in attività creative e artistiche sono anche i più dotati in ambito scientifico.
5. Merito, complementarietà pubblico-privato, sgravi ed equità fiscaleUna cultura del merito deve attraversare tutte le fasi educative, formando i nuovi cittadini all'accezione di precise regole per la valutazione dei ricercatori e dei loro progetti di studio. Non manca il merito, nei percorsi italiani di formazione. Lo dimostra il crescente successo di giovani educati in Italia che trovano impiego nelle più prestigiose università di ricerca in tutto il mondo. Ma finché non riusciremo ad attrarre allettanti "cervelli" dall'estero, questo saldo passivo dissanguerà la nostra scienza e la nostra economia. E' necessario riguardo a ognuno degli aspetti trattati, creare le condizioni per una reale complementarietà tra investimento pubblico e intervento dei privati, che abbatta questa falsa dicotomia. E' mancata la centralità della cultura per lo sviluppo che ha portato a normative fiscali incoerenti e inefficaci. La complementarietà pubblico/privato, che implica una forte apertura all'intervento dei privati nella gestione del pubblico patrimonio, deve divenire cultura diffusa e non presentarsi solo in episodi isolati. Può nascere solo se non è pensata come sostitutiva dell'intervento pubblico, ma fondata sulla condivisione con imprese e i singoli cittadini del valore pubblico della cultura. Si è osservato in questi anni che laddove il pubblico si ritira anche il privato diminuisce di incisività, mentre politiche pubbliche assennate hanno un forte potere motivazionale e spingono anche i privati a partecipare alla gestione della cosa pubblica. Provvedimenti legislativi a sostegno dell'intervento privato vanno poi ulteriormente sostenuti attraverso un sistema di sgravi fiscali (in molti Paesi persino il biglietto per un museo o un teatro è detraibile). Misure di questo genere ben si armonizzano con l'attuale azione di contrasto all'evasione a favore di un'equità fiscale finalizzata a uno scopo comune: il superamento degli ostacoli allo sviluppo del paese.Un programma e delle scelte attuabili o solo pura utopia?
Cosa ne pensate? Siete d'accordo?