Sono molto felice di ospitare, per queste Olympinner, i pensieri di Nicola Giorgioni, amico e grande sportivo. Nicola rende omaggio ai vincitori, ma siccome anche lui - come me – guarda sempre agli “sfigati”, a quelli che arrivano secondi. Quelli umani. Leggetelo, che ne vale la pena.
Nei 100 metri, Usain Bolt non ha vinto, ha letteralmente stravinto. Non appena il giamaicano supera i primi 30 metri, si raddrizza con la schiena, inizia la progressione con le sue lunghe leve. Potente e sontuoso, capisci subito che non ce n’è per nessuno. Un cavallo di razza. Chapeau.
Eppure, lo ammetto: io tifavo Yohan Blake! Più piccolo di statura, più massiccio, grosso, “tarchiato” rispetto a Bolt, ma coraggioso: sapeva che contro il ben più famoso connazionale aveva poche chances, ma ci ha provato lo stesso. É arrivato primo degli umani, e questo mi basta. Bolt e Blake sono due medaglie d’oro, a mio giudizio: una a testa, se la meritano.
E poi mi chiedo: perché, quando tutti acclamano i vincitori, io provo più simpatia per i vinti? Perché capisco che hanno dato il massimo, che hanno gettato il cuore oltre l’ostacolo, perché sono in lotta contro se stessi prima che contro gli altri.
Prendete Valeria Straneo, maratoneta piemontese con una storia tutta da leggere, che ieri è arrivata ottava. Ottava alle Olimpiadi. Quanti di voi metterebbero la firma per arrivare tra i primi otto del mondo ai Giochi Olimpici?
Valeria è stata in testa fino al km 24, non ha mai mollato di un centimetro nonostante i sorpassi subiti dalle atlete più titolate di lei. Sguardo determinato, convinto, mente allenata: aveva gli occhi della tigre e ha vinto la sua Olimpiade.
Così come le mie simpatie sono da sempre rivolte verso atleti del calibro di Alessia Filippi (sempre oscurata dall’ingombrante presenza di Federica Pellegrini), Stefania Belmondo (epica la sua rivalità con la più telegenica Manuela Di Centa), Steve Prefontaine (arrivato quarto nei 5.000 metri alle Olimpiadi di Monaco 1974, ma provando più e più volte a gettare il cuore oltre i suoi limiti).
Dietro ogni atleta, c’è una persona. E dietro ogni persona c’è una storia: e – bella o brutta che sia – va rispettata in ogni caso, perché è una storia di vita.
E, che ci piaccia o no, tutti abbiamo qualcosa da imparare da ragazzi come Oscar Pistorius, che ha sfidato ogni pregiudizio (scientifico, etico, morale) e che è uno dei grandi vincitori di questa splendida edizione dei Giochi Olimpici.
Tutti questi atleti mi hanno sempre trasmesso un grande insegnamento: c’è una possibilità per tutti. O, meglio ancora, c’è una possibilità per tutti coloro che hanno un sogno da raggiungere.
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