“Devo accettare una volta per tutte che gli italiani non sapranno mai fare impresa e sistema, in senso moderno e internazionale? Persino i cinesi (e non solo loro) iniziano a vederci come dei “farfalloni”. Altro che crisi: siamo noi tutti, pigri e piatti, operai o imprenditori, l’unica vera cagione dei nostri mali“: il duro j’accuse di Michelangelo Guglielmetti, 39 anni, risuona fin da Honk Kong, metropoli cinese (ed ex-colonia britannica), dove ora risiede.
Michelangelo, una laurea in Economia alle spalle, un tentativo di fare l’imprenditore nella Penisola lo ha fatto: “un anno dopo però ero sfinito, avevo fatto solo carte, la banca mi chiamava tutti i giorni per 238mila lire di scoperto sul conto…“, ricorda senza rimpianti.
E’ così che nel 2001 coglie al volo un’opportunità di business, e parte per l’Estremo Oriente: Corea del Sud e Cina, in particolare. Scopre un altro mondo, lontano anni-luce da un’Italia che aveva già imboccato la via del declino, a tassi di crescita sempre più modesti.
“Da quel momento è stato un susseguirsi di alti e bassi, che mi hanno fatto diventare quello che sono. Tutto il “basso” era, purtroppo, in Italia“, ricorda Michelangelo, che ha sempre cercato di non recidere del tutto il cordone ombelicale che lo lega alla madrepatria. Gli anni a Honk Kong trascorrono veloci: Michelangelo cambia più settori. “In Asia le opportunità non finivano e non finiscono mai. Si deve solo essere pronti a fare sul serio“, avverte però.
Nel 2009 la svolta, con l’ingresso nel settore delle rinnovabili. Per paradosso, è un ordine in arrivo proprio dall’Italia (in quegli anni qui imperava la moda del fotovoltaico) a spalancargli la porta. Michelangelo scopre però presto come il club esclusivo dei “main players” sia qualcosa di estremamente ristretto, nella Penisola. Puoi entrare, apportando i tuoi capitali e il tuo istinto di innovazione, ma appena rischi di alterare troppo certi equilibri, vieni eliminato. “L’Italia del fuoco amico“, la definisce lui. Un’Italia dove sono gli stessi giocatori ad azzoppare il compagno di squadra troppo bravo, che li fa sfigurare…
L’ultima avventura di Michelangelo riassume l’intero senso della storia: in Cina avvia la costruzione di un grande parco di serre solari integrate con pannelli fotovoltaici. Contro l’opinione dei suoi collaboratori locali, sceglie di venire a cercare i capitali e gli investimenti proprio in Italia, per spalancare ai suoi connazionali le porte di un business in Estremo Oriente.
La reazione è sconcertante: appuntamenti a ripetizione in uffici asettici e dotati di ogni lusso. Ma zero investimenti: questo “pellegrinaggio” si risolve in un viaggio nell’Italia più anacronistica, conservatrice, e allergica al rischio. Dove la “parola data” è valida giusto il tempo in cui la si dà… dove non si prende mai una decisione che sia una. Dove si parla, ore e ore, senza muovere un dito. Un’Italia che va a 40 km/h, mentre in Cina viaggiano ormai tutti con l’alta velocità.
Michelangelo riassume così la sua ricetta per la Penisola, che scherzosamente (ma non troppo) definisce “contro la brutta fine”: “valigia, aereo e un mese a Shenyang o posti simili (niente Pechino, niente Shanghai). A meta’ mese un po’ di Hong Kong (dove magari si mette la famiglia). Da prendere 3/4 volte all’anno, per tre anni almeno, per mettersi nell’ottica di non poter smettere mai più…“
Ospite della puntata è Giacomo Biraghi, esperto internazionale di strategie urbane, tra i coordinatori dei Tavoli Tematici Expo 2015 di Milano. Proprio i Tavoli Tematici hanno rappresentato l’unica- insperata- àncora di salvezza per il progetto di Michelangelo. Capitatoci quasi per caso, ha incontrato una comunità di giovani internazionale, pronta a credere in progetti dal respiro globale. Grazie a loro Michelangelo ha deciso di non abbandonare il progetto di “riconnessione” con l’Italia. E’ il finale (provvisorio), forse un po’ a sorpresa, di questa storia ancora tutta da scrivere.
Nella rubrica “Expats” ospitiamo, come ogni ultimo sabato del mese, le lettere degli ascoltatori. Oggi tocca ad Anna, professionista e madre emigrata in Germania. Dove ha scoperto un mondo del lavoro completamente diverso, in termini di rispetto delle donne e della loro professionalità, rispetto a un’Italia dal welfare semi-inesistente, dominata da una mentalità ancora molto maschilista.
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La discussione di febbraio: “Considerate possibile il ricambio della classe dirigente in Italia, a tutti i livelli, mediante una robusta iniezione di giovani professionisti di talento, qualificati, di rientro dall’estero? Se sì, come – concretamente? Inviateci proposte!”
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