Un film sull’incertezza del nostro futuro…conseguenza di un presente che non capiamo.
Ci troviamo da anni a fare i conti con una crisi che sembra ormai inarrestabile e che sta mettendo in ginocchio l’Europa intera. Una crisi che non capiamo, un nemico che nessuno sa come contrastare e che, giorno dopo giorno, continua a mietere vittime.
Già perché sempre più spesso, come ormai i giornali ci hanno abituato a leggere, la gente si uccide o arriva a compiere gesti estremi per manifestare il proprio disagio e denunciare una situazione al limite del surreale. In un tempo storico così importante anche il cinema, che da sempre rappresenta una “finestra sul mondo”, non poteva far finta di niente e non dedicare a questi eventi la dovuta attenzione. È infatti un giovane regista italiano – Enrico Muzzi – a portare sullo schermo con il suo film “L’Incognita”, una di queste tante storie legate alle difficoltà economiche. Il giovane regista ci parla della Crisi, seguendo il filo conduttore della “peste” del XXI secolo, ma entrando con il suo obiettivo nel quotidiano stravolto dagli accadimenti di un piccolo personaggio qualunque: Silvano… uno dei tanti. Silvano è una vittima autentica della Crisi. È un uomo di mezza età al quale hanno “rubato” il lavoro. Sì…rubato, perché un licenziamento per un uomo di quell’età, equivale ad un furto, o meglio dire, ad una condanna. Ora, sconfitto e stordito, quest’uomo dovrà lottare per costruire un futuro diverso. Si accorgerà ben presto delle difficoltà che dovrà affrontare per “rimanere a galla” e combattere quell’angoscia che gli sta salendo dentro, che lo soffoca e che lo spinge in una sequenza di gesti sbagliati che sembra avere un finale già scritto.
Enrico Muzzi ci racconta questa storia con un tatto incredibile…la spettacolarizzazione del dolore non gli appartiene. La regia, volutamente trattenuta e quasi “distaccata” sembra sposare alla perfezione lo stato d’animo del protagonista. Il regista sembra volersi “fare da parte” per lasciare allo spettatore la possibilità di entrare nel film con il suo personale carico emotivo dettato dal proprio quotidiano. Enrico Muzzi non si lascia prendere la mano dal dramma, non ne fa un melodramma (all’italiana), ma sorprende per il rigore, la freddezza, il ritmo con cui svolge la vicenda, senza concedere nulla a facili sentimentalismi. Dalle inquadrature e dal montaggio emerge un distacco e una distanza intellettuale dagli eventi che, lungi dal risultare asetticità, sono la condizione per la loro analisi, li marcano nella loro trama senza bisogno di commento o dimostrazione. Operazione cercata dal regista, e riuscita, che potrebbe sconcertare lo spettatore abituato ad argomentazioni e perorazioni, ma certamente apprezzata da chi in un film cerca lucidità e intelligenza, che preferisce l’allusione alla spettacolarizzazione. L’esito è un film che sfugge agli stilemi un po’ autocompiaciuti del cinema italiano, per risultare un prodotto dal respiro internazionale, che giunge all’intendimento senza bisogno di alcuna facile spiegazione.
L’Incognita è un film importante, di denuncia, profondo e commovente a cui vogliamo dare l’attenzione che merita. È a questo proposito che abbiamo incontrato il regista Enrico Muzzi per un’intervista sul suo ultimo lavoro.
A.M.: Enrico, cosa ti ha portato a fare un film su un argomento così delicato e spinoso come la crisi economica?
Enrico Muzzi: Ho sentito la necessità di parlare di questo perché il tempo lo imponeva. Ogni giorno i quotidiani ci riportano episodi di dolore, violenza e rassegnazione legati alle difficoltà economiche. La gente non è pronta ad affrontare un arretramento così repentino del proprio status sociale; si vergogna, si nasconde, si uccide. Mi sembrava doveroso affrontare questo tema in un film e poter a mio modo denunciare una situazione ormai insostenibile e quasi surreale.
A.M.: Ci spieghi il perché del titolo? Che cos’è L’Incognita?
Enrico Muzzi: L’Incognita è un film che nasce da un grande punto di domanda, da un’incognita appunto. Come ci siamo potuti ritrovare a vivere ciò che sta accadendo? Cosa è successo? Dove sono finiti quei valori sui quali costruivamo le nostre certezze? Come è possibile che ci siamo ritrovati così impreparati? Cosa possiamo fare? Tutte queste domande sono le stesse che milioni d’italiani e di europei si pongono ogni giorno e alle quali pare impossibile dare una risposta. Questa è l’incognita …una grossa “X” all’interno di un’equazione quasi irrisolvibile. Il mio è un film sull’incertezza del nostro presente, sull’incapacità dei personaggi come Silvano (il protagonista del film) di trovare il loro ruolo in questa società e dare un senso al loro farne parte.
A.M.: Ti va di raccontarci meglio la storia del tuo film?
Enrico Muzzi: L’Incognita è la storia di Silvano, un uomo di mezza età che perde il lavoro e si trova improvvisamente “fuori dai giochi”. Licenziato…ancora non ci può credere, ha un mutuo da pagare con già tre mesi di arretrato e questo perché l’azienda che lo ha appena licenziato rimandava il suo stipendio chiedendo fiducia e pazienza. Simultaneamente la banca lo mette alle strette e tutto improvvisamente sembra essere contro di lui. Silvano ha però una famiglia da mantenere e delle spese da sostenere…non può certo darsi per vinto. Ben presto però si accorgerà che, nonostante i numerosi sforzi e svariati tentativi, non sembra esserci un modo per “tornare in sella” e che il suo bel curriculum, fatto in anni di duro lavoro e la sua età, rappresentano più un ostacolo che un vantaggio nella ricerca di un nuovo impiego. Senza ormai più speranze, Silvano crolla nello sconforto più totale. Si ricorda della polizza vita che aveva stipulato tre anni prima e comincia a prendere in seria considerazione l’idea del suicidio per assicurare alla famiglia una vita dignitosa. Qualcosa d’inaspettato arriverà a cambiare i suoi piani e lascerà intravedere un piccolo barlume di speranza.
A.M.: Il film è una fotografia perfetta di questo periodo storico e suscita molte emozioni contrastanti. In che modo hai deciso di affrontare questa materia narrativa e quali obiettivi ti eri prefissato?
Enrico Muzzi: Volevo fare un film che non risultasse banale, in cui i personaggi non fossero monodimensionali – o buoni o cattivi – o bianchi o neri. Questo tipo di semplificazioni non mi appartengono, nonostante in un cortometraggio (dato il tempo limitato) risulta difficile, specialmente su un tema così complesso, fare le opportune contestualizzazioni e approfondire bene certe tematiche senza risultare troppo scontati. Questo è quello che più mi interessa, dare ai personaggi una loro complessità, fare in modo che lo spettatore si possa a tratti identificare col personaggio e a tratti voglia invece prenderne le distanze. Far sì che empatizzi con lui per certi versi e che poi lo rinneghi per altri. La vita del resto è così, ricca di sfumature, di scale di grigio e noi stessi, a seconda anche dei momenti e delle situazioni che viviamo, possiamo mostrare aspetti nuovi del nostro carattere che fino a quel momento non erano ancora venuti “a galla”.
A.M.: È quello che accade al protagonista di questa pellicola?
Enrico Muzzi: È quello che accade a tutti noi in diversi momenti della vita; messi alle estreme conseguenze ci scopriamo capaci di cose che magari mai avremmo considerato in altri contesti. Chiaramente poi, ciascuno ha le sue modalità di reazione. C’è chi si affida alla fede, chi si uccide, chi pensa di andare a rubare e chi invece trae nuova forza dalle situazioni difficili. Silvano è un personaggio che non manca di determinazione, ma si accorge che l’incapacità di tornare “in sella” non è dovuta tanto ai suoi sforzi quanto ad un sistema che è ormai giunto al collasso. Silvano è a suo modo un uomo orgoglioso, uno che si è “fatto da solo” e che fatica a manifestare le proprie emozioni e a condividere i suoi problemi con la famiglia. Anche per questo dopo il suo licenziamento decide di non comunicare la sua situazione alla moglie e di far finta di niente, tentando di trovare al più presto una soluzione alternativa. Quello che fa lo fa per amore e per tutelare le persone cui tiene di più. In questo senso anche la polizza vita e il pensiero del suicidio vanno esattamente in quella direzione.
A.M.: Purtroppo ci sono tante storie simili a quella di Silvano e il tuo film sembra voler chiudere con un messaggio di speranza. Credi davvero che la situazione si possa in qualche modo risolvere?
Enrico Muzzi: Onestamente non credo di avere gli elementi per poter rispondere a questa domanda. Ritengo però molto difficile una ripresa, occorrono tempi lunghi e ad oggi la crisi non sembra far altro che accelerare e travolgere tutto come un fiume in piena, portandosi via quelle certezze e quei valori che ritenevamo inattaccabili: Il lavoro, lo stato sociale, la dignità e i diritti di ognuno. Conosco molte persone che vivono davvero in una brutta situazione e ho molti amici che sono a casa senza lavoro. Alcuni di loro hanno anche smesso di cercarlo e perso le speranze… è diventato persino troppo umiliante. Il finale del mio film lascia aperta una porta alla speranza ma è anche vero che ciò che succede a Silvano riguarda solo lui e che una buona dose di fortuna è intervenuta in suo soccorso. Si potrebbe dire che a lui è andata bene. Nonostante questo però, l’ultima inquadratura del film (scandita dalla fredda voce di un giornale radio), rivela un nuovo e drammatico evento e ci ricorda che la risoluzione dei problemi di Silvano non rappresenta la fine dei problemi di questa Italia e di tutti quei lavoratori alle prese con un nemico ancora da sconfiggere. In questo senso non può certo considerarsi un happy-ending…sarebbe stato molto poco onesto da parte mia (oltre che irrispettoso) chiudere il film facendo della facile retorica di comodo. Come ho accennato in precedenza, le banalizzazioni non fanno per me.
A.M.: Raccontaci qualcosa dell’iter produttivo, come hai diretto questo film e quali scelte stilistiche hai adottato?
Enrico Muzzi: La realizzazione di questo film è stata un’esperienza davvero fantastica dove ho avuto l’opportunità di avvalermi di persone straordinarie che hanno sposato l’idea e hanno messo tutta la loro professionalità a servizio di questo progetto. Il film è stato co-prodotto da “DreamVision”, la mia casa di produzione, e dalla “Undervilla Production” di Bologna, in particolare grazie all’aiuto di Arturo Bernardi, Davide Polato e Matteo Bombarda. L’idea di fare un cortometraggio su un tema così caldo e così importante ha motivato davvero tutti. Le riprese del film sono durate 6 giorni e si sono svolte a Bologna nel periodo di Agosto. La macchina da presa che abbiamo utilizzato è stata la RED Scarlet, corredata da ottiche Canon. Per questo film avevo in mente molti movimenti di macchina, alcuni molto lunghi e particolarmente complessi da realizzare. Quello che ci ha messo più duramente alla prova è stato un piano sequenza che vale la pena di raccontare. Era l’ultimo giorno di riprese e ci trovavamo in interno, in quella che doveva essere la casa del protagonista (Silvano). La macchina da presa doveva effettuare una lenta carrellata in avvicinamento su Silvano, il quale era seduto su un divano e ci dava le spalle, per poi cominciare ad alzarsi verticalmente fin sopra la sua testa e scoprire così la pistola che stava sul tavolo. A quel punto la macchina da presa iniziava a ruotare attorno al suo asse per poi scendere nuovamente dall’altra parte e terminare con una carrellata in allontanamento. Un movimento davvero molto complesso che però serviva a condurre lo spettatore all’interno della psicologia del personaggio e a fargli sposare il suo stato d’animo. Onestamente non ero sicuro se saremmo riusciti a “portare a casa” questa inquadratura senza perderci tutta la giornata. La cosa difficile era ovviamente sincronizzare tutti i movimenti, sia quelli interni alla scena e sia quelli della macchina, del carrello e del braccio che effettuava l’alzata. Ogni volta c’era qualcosa che non accadeva al momento giusto ma fortunatamente dopo soli 7 ciack abbiamo ottenuto il risultato che volevamo e siamo potuti procedere oltre. Ricordo benissimo l’entusiasmo di tutti nell’essere riusciti a realizzare questo movimento così difficile esattamente per come l’avevamo programmato. È stato un momento che ha unito tutti, ricordo che subito dopo aver dato la “buona” ci siamo riuniti tutti attorno al monitor per rivederlo con calma ed essere sicuri. Dopo qualche minuto di rigoroso silenzio è ovviamente scattato l’applauso…davvero un bel momento per tutti. Come dicevo, ci sono tanti movimenti in questo film, la macchina da presa non è quasi mai ferma, si muove sempre…anche se spesso in modo quasi impercettibile. Era per me il modo più giusto di dirigere questo film, un modo che contribuiva a creare il “mood” della vicenda e dava al film quel respiro e quei tempi che la narrazione richiedeva. Il tema della storia era delicato e ho scelto di essere delicato anch’io nel suo trattamento, ponendomi a servizio di questo argomento con grande rispetto e sensibilità. Mi auguro di esserci riuscito e spero che il film possa essere apprezzato e regalare presto qualche soddisfazione.