Questa settimana ho trovato un po’ di tempo per guardare la televisione e mi sono soffermata sul programma pomeridiano “La vita in Diretta”. Questo programma ripercuote il classico format televisivo italiano dove i conduttori sono due di ambo i sessi, quello secondo cui una donna non può condurre un programma da sola.
Non mi esprimo sui conduttori, che nemmeno nominerò, ma sul format della trasmissione televisiva che riflette l’anomalia tutta italiana secondo la quale la conduttrice donna ricopre la conduzione di argomenti di cronaca rosa, nera dove ampio spazio viene dato a donne uccise, spesso vittime di violenza maschile, trasmettendo il messaggio secondo cui solo le donne devono occuparsi di queste tematiche, oltre alle frivolezze offerte dalla cronaca rosa, dalle varie attenzioni che vengono date alle mamme vip, alla chirurgia estetica, al matrimonio della principessa di turno, al calendario dell’ultima velina e via dicendo.
Alla controparte maschile, invece, è affidata la conduzione di temi politici. Già da qui si parte dal presupposto che la politica è “roba da uomini” e che le donne non dovrebbero mischiarsi in queste faccende. Un pensiero diffuso nel nostro Paese che spiega le motivazioni della scarsa rappresentanza delle donne in politica. Allo stesso modo gli ospiti invitati sono spesso uomini, e quasi mai compare una donna, in veste di politica a meno che non si tratti di argomenti che hanno a che fare con le “quote rosa” o argomenti come la violenza di genere, dove in questo caso mancano ospiti di sesso maschile.
Sull’esclusione degli uomini dal dibattito ne ho parlato spesso e mi sono spesso indignata sul fatto che spesso questo tema viene affrontato come se non li riguardasse, malgrado gli autori fossero uomini. Inoltre, la trasmissione, tende a parlare di femminicidio sfruttando alcuni episodi di cronaca nera più famosi senza dare alcuna spiegazione di fondo sui meccanismi che stanno alla base. Spesso si sentono interventi come “le donne dovrebbero denunciare i violenti”. Quest’affermazione implicitamente punta il dito contro la vittima della violenza e non approfondisce sui motivi per cui una donna non denuncia quasi mai un episodio di violenza domestica. Lo scarso intervento delle forze dell’ordine, il buonismo della “giustizia”, le violenze psicologiche a cui sono sottoposte le vittime, la paura, sono tutte motivazioni che spingono a non sporgere denuncia.
Nella trasmissione si avverte inoltre la mancanza di figure femminili. Le donne sono invisibili, o meglio sono visibili solo in quanto vittime, in quanto belle, in quanto madri e mogli. E’ radicata, infatti, la rappresentazione delle donne come oggetti sessuali o come “sesso debole”, un’idea che rafforza la visione subordinata della donna nella nostra società.
Per questo gli stereotipi sono pericolosi e la tv dovrebbe prenderne le distanze. Un’altra cosa che ho notato e che mi preoccupa è l’esaltazione della maternità come unica possibilità di realizzazione per le donne. Vengono definite supermamme coloro che riescono a lavorare e a badare la famiglia da sole. Emerge infatti la figura della donna “multitasking” colei che si fa carico di tutto e questo viene presentato come una forma di emancipazione. Come se la condivisione dei compiti tra coniugi fosse aberrante.
In entrambe le reti generaliste vi è la totale assenza di tematiche sentimentali e sulla sessualità, questo balza all’occhio sopratutto a chi viene da un altro paese e a chi è abituato a vedere un altro genere di televisione, dove i temi come l’amore e il sesso non sono tabù. Qualche giorno fa si parlava della morte del cantante Franco Califano e nella trasmissione si introduceva che l’uomo “non si era mai innamorato e ha avuto molte donne“. Sono rimasta stupita che secondo gli ospiti e Mara Venier “avere avuto tante donne e non essersi mai innamorato” fosse una questione di vanto per un uomo. Tutto ciò all’interno di un programma dove viene trattato anche il tema del femminicidio e senza che a nessuno venisse in mente che se non si sovvertono queste norme patriarcali sarebbe difficile e impossibile combattere il femminicidio.
Del resto il femminicidio è figlio delle norme culturali che introiettano l’idea che le donne sono esseri inferiori rispetto agli uomini, poiché la virilità si costruisce attraverso la subordinazione delle donne e l’affermazione di un desiderio sessuale che viene negato alle donne, trattate da oggetti sessuali.
Per effetto delle stesse norme, diverse trasmissioni televisive pomeridiane dedicano molto spazio a dare consigli alle giovani e meno giovani donne casalinghe su come curare il proprio aspetto fisico, con consigli come trucchi, interventi di chirurgia estetica e vestiti scollati. Lo stesso giorno seguivo una trasmissione su Raidue con Caterina Balivo alla conduzione, che presentava una giovane ragazza che desiderava un trucco che potesse attirare l’attenzione di suo marito che ormai la trascurava per dedicare tempo ai suoi cani.
In una puntata de “Le amiche del Sabato” su Rai 2, un ospite dichiarava che una donna dovrebbe alzarsi dal letto tutta truccata perché se no sarebbe comprensibile se il marito si facesse l’amante.
L’immaginario della donna come essere inferiore è un cliché che si ripete in moltissime trasmissioni. La trasmissione preserale de L’Eredità ha un conduttore maschio accompagnato da alcune avvenenti fanciulle, il cui unico scopo è ballare stacchetti e leggere approfondimenti su comando del presentatore. Il loro ruolo è a metà strada tra quello delle “signorine buonasera” in abiti succinti che presentano i programmi in serata e quello delle veline di Striscia la Notizia. Durante la Giornata Internazionale delle Donne (8 marzo) veniva presentata una domanda che riproponeva il luogo comune secondo il quale le donne sono incapaci al volante. Questo senza alcuna presa di posizione da parte dei telespettatori. Ma non fu l’unico episodio. L’anno scorso, una delle avvenenti signorine leggeva un taccuino sul quale c’era scritto che il tasso di natalità è diminuito per colpa delle donne che pensano alla carriera. Un’anomalia del servizio pubblico è dedicare quattro serate al concorso di bellezza Miss Italia. L’evento viene esaltato come importante, alla stregua di un’elezione papale.
Le fiction della Rai hanno sempre protagonisti maschili in veste di personaggi della storia o artisti, mentre le donne hanno un ruolo secondario come mogli, sorelle, amanti o madri.
Nelle reti Mediaset la situazione è molto simile, tranne che nelle fiction dove le protagoniste sono spesso donne in carriera. I programmi pomeridiani trasmettono cronaca rosa e spesso si sottolinea l’importanza di essere belle, per cui gli argomenti proposti alle telespettatrici sono quelli della chirurgia estetica, la moda e il trucco. Come nella Rai, c’è molto sciacallaggio sulle tragedie di cronaca nera e le uniche donne reali che appaiono sullo schermo sono solo in veste di vittime. Anche qui, come nella Rai, viene esaltato il tema della maternità come se fosse importante e si mettono in scena episodi violenti come liti e aggressioni verbali o fisiche all’interno degli studi televisivi.
Nel primo pomeriggio va in onda il programma “Uomini e Donne”, dove queste ultime vengono trattate come carne da macello da scegliere e dove si esalta lo stereotipo dell’uomo che non deve chiedere mai. Il format è spregiudicato perché le ragazze e le donne che vi partecipano sono tutte avvenenti e in abiti succinti ma i concorrenti uomini e gli opinionisti spesso le puntano il dito addosso se si dimostrano troppo disponibili. Tempo fa ho visto una puntata dove una ragazza veniva scartata da un concorrente perché lo aveva baciato subito. Emerge così una tendenza a vedere le donne come dei “corpi senza desiderio”.
Non vi è nemmeno una trasmissione che non abbia ragazze in abiti succinti anche dove non è necessario. Striscia è un buon programma di satira e di denuncia ma la presenza delle veline è obsoleta. Eppure, l’autore televisivo, ogni due stagioni le dedica una trasmissione lunga un’estate intera dove una giuria dovrà eleggere le due nuove Veline.
Su Canale 5, denuncia Lorella Zanardo, c’è un quiz televisivo dove una bionda maggiorata e svampita ha il ruolo di distrarre i concorrenti maschi massaggiandogli le spalle. La ragazza viene spesso umiliata, trattata come una bestia e offerta ai concorrenti per palpeggiarla. La “Bonas”, suo nome d’arte, in realtà gioca con gli stereotipi ma lo fa in un contesto che per 20 anni ha sempre svilito la figura femminile, lasciando il pubblico senza strumenti per poterli decostruire. Senza la possibilità di decostruire questi messaggi, il gioco agli stereotipi si annulla e la donna appare come un fenomeno da baraccone, finché qualcuno non si convince che non fa la scema ma lo è veramente. Il rischio è che la tv alimenta gli stereotipi di genere, peggiorando la condizione delle donne e rafforzando le discriminazioni che ci tengono ai margini della società.
Mancano modelli alternativi, manca un osservatorio contro il sessismo e una legge che vieti messaggi maschilisti sui nostri mezzi di comunicazione, perché oltre alla tv anche la pubblicità ha un ruolo fondamentale nel fomentare gli stereotipi di genere.