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L’indianata

Da Roberto Chessa @robertochessa70

Il mare, la spiaggia, la notte. Tre elementi che hanno caratterizzato le mie estati giovanili.

I mitici ani 80, almeno per me lo sono stati. I familiari mi chiamavano il lattaio, non perché amassi tale bevanda, ma il fatto che rientrassi a casa, ogni mattina all’alba.

E a quell’ora per le strade incrociavi solo gli allevatori che consegnavano il latte alla cooperativa.

Ma la notte algherese non era solo discoteca, a volte si trascorreva il tempo semplicemente chiacchierando sino a quando le luci del mattino t’invitavano a rientrare a casa.

Quelli erano gli anni delle indianate in spiaggia. Un falò, un gruppo di amici, la chitarra e tanta voglia di stare bene insieme.

Birra calda e panini al gusto sabbia. Per niente al mondo avrei rinunciato a quelle serate.

C’era l’ indianata mega,  quella che aspettavi per tutta la stagione. Centinaia di persone attorno al fuoco. Alcool, sesso, droga e rock and roll  . Più alcool che il resto.

Poi c’erano le indianate di gruppo. Per la spiaggia vedevi tanti falò, attorno ad ognuno, un gruppo di amici.

Ed era bello perché si girava da un gruppo all’altro, socializzando.

Le più belle erano quelle improvvisate, organizzate all’ultimo momento. Si faceva colletta, qualche bottiglia di birra e via, tutti in spiaggia. Qualche pezzo di legna ed il gioco era fatto.

Tutti intorno al fuoco, cantando. Io ero il chitarrista, quello che vedeva  lentamente il gruppo disgregarsi negli anfratti bui. Si formavano le coppie, ci s’innamorava, tra una canzone di Battisti ed una di Vasco Rossi.

Le ore passavano e le ragazze erano sempre meno. Sino a quando non restava  la meno carina, che ti guardava con gli occhi sognanti, dolci a volte allupati. Ed io li, a suonare ancora, sino a quando le luci del mattino ti invitavano a rientrare a casa.

Un altro giorno era trascorso. Un giorno per sognare, per divertirsi, per innamorarsi, per cantare ancora insieme.


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