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L’ineffabile segreto della stanza del cuore

Creato il 07 luglio 2010 da Fabry2010

di Franco Lanza

«Recitare significa essere un altro: con questa raccomandazione di tecnica interpretativa e di sagacia professionale una ragazza a nome Cristiana si appresta ad entrare nell’esperienza drammaturgica, non senza aver prima vissuto e sofferto in proprio il gran te ma della realtà e della finzione. E’ infatti figlia di genitori separati ed ha assistito precocemente alla precarietà degli affetti che si sfaldano sotto la sferza delle ambizioni sbagliate e delle passioni egoisticamente incapaci di coordinarsi con i valori; per giunta è anoressica, lunatica, insoddisfatta sia degli studi sia delle varie «evasioni» giovanili e disposta se necessario a sottoporsi a trattamenti psicanalitici. Quando Simone, il giovaneregista che crede nelle sue qualità, le propone di visitare il monastero di Santo Spirito per osservare da vicino le monache di clausura in vista di un film su una misteriosa suorCrocifissa morta da poco in fama di santità, accetta di buon grado il programma ed entra per un paio di giorni in quel mondo così estraneo alla modernità, che per la suaanomalia l’at trae ed insieme respinge.

Questo è l’antefatto dal quale si dipana la vicenda del romanzo di Luciano Marigo, La stanza del cuore, ed. Santi Quaranta. Una trama che vale la pena seguire ed analizzare davicino.

Cristiana, la protagonista, avverte subito d’essere approdata ad un luogo d’iniziazione, lontano dalla città e dai rumori. La giovane monaca che l’accoglie, di nome Crocifissa come la Santa la colpisce subito per la serena pacatezza con cui la immette nell’atmosfera claustrale dicendo semplicemente: “la prima cosa che devi tenere a mente è che la fede è un grande amore.”

Dapprima Cristiana non riflette sul significato della frase, ma tutto il prosieguo della narrazione ci fa assistere al dipanarsi dell’enunciato. E’ la stessa novizia a fornire il procedimento didascalico: “Noi facciamo così: prendiamo quella data frase e continuiamo a ripeterla tutta la giornata, dieci cento mille volte, guardandola ogni volta da un lato diverso come girandole intorno. Se proverai a farlo anche tu ti accorgerai che a furia di dirla e ridirla dentro di te, alla fine quella frase non sarà più la stessa perché ti avrà svelato a uno a uno tutti i segreti. Ti accorgerai, per esempio, che il suo enunciato, che ti appariva semplice e non scomponibile, è invece un intero microcosmo, ossia un piccolo ma completo sistema. Facciamo una prova. Se dico la fede è un grande amore significa che ci sono anche gli amori piccoli. Come definiresti un amore piccolo? Un amore che ti impegna poco. E ti impegna poco perché vale poco il suo oggetto o perché è fragile la passione che ci metti tu? E così via. Non hai idea di quello che ti può nascondere una semplice frase se non la prendi sul serio.”La prolungata esposizione o focalizzazione dell’oggetto (che all’inizio è oscuro su fondo chiaro) determina alla fine, come ben sanno i fotografi, la sua chiarità su fondo scuro. Tale è, ricordiamolo, uno degli esercizi spirituali più raccomandati da Ignazio di Loyola: ed implica il bruciante ossimoro sviluppato da Giovanni della Croce, della notte che ingloba il giorno, e del giorno che si comprende (ovvero chiarisce) soltanto nella notte.

Con queste premesse Cristiana si inserisce nel monastero non diversamente dal personaggio kafkiano nel Castello: va incontro alla propria clausura come ad una liberazione, vorrebbe rimanere estranea al miracolo di suor Crocifissa, ma incappa nel fascino della mistica iniziazione che a poco a poco chiude il suo spazio reale e sensibile per aprirne un altro, voraginoso ed ineffabile, nella cella ignota, nella segreta Stanza del cuore.

Così le due giornate che trascorre al Santo Spirito si squadernano come una sequenza di stazioni eccezionali. Prima di tutto abbiamo l’imprevista gioiosa agonia di suor Benedetta, una monaca anziana, cuoca e veggente, che ha assistito al trapasso della santa e ne ha raccolto il testamento spirituale; poi la rivelazione, attraverso suor Benedetta,che la santa avrebbe trovato la vera pace dopo un tentativo di suicidio; poi lo stupore per certi ambulacri segreti, per tesori d’arte inesplorati, per certe regole infrante e certiaccadimenti eccezionali che tutto risolvono in Grazia e in dono di felicità; poi la scoperta che la personale ritrosìa a quel mondo arcano sparisce man mano che un’anima siappropria della sua bellezza… Tutto ciò scandisce le tappe di un sogno mistico che ovviamente cancella il progetto cinematografico ed apre per la protagonista un tempo diverso,quello dell’incipit vita nova.

Lo scrittore ha il buon gusto di non chiudere la favola con il noviziato di Cristiana, perché un epilogo edificante guasterebbe l’identificazione di sogno e di realtà che resta, comeinsegnavano i teorici del “sublime”, l’anima nascosta di ogni vera drammaturgia. D’altra parte la protagonista non è propriamente convertita al misticismo, avverte soltanto il suogrado iniziale, che è “lo sgomento di una donna che sente di vivere un’esperienza percepita come eccessiva rispetto alle proprie capacità.”

Leggendo il testamento della santa, la ragazza si convince che “un amore si dice grande quando entrando nella vita di un’anima vi insedia una signoria assoluta, disperando ognialtro pensiero e andando a occupare tutti gli spazi della mente e del cuore. Quando una donna dona tutta se stessa senza tenere nulla per sé, allora vive un grande amore”…”Ora capisco che il desiderio inappagato della santa è una metafora che per essere compresa correttamente, va letta capovolta: non è che il dono si faccia attendere, piuttosto è il contraccambio che risulta impossibile”. Dunque è l’eccesso del dono a rendere inadeguata qualunque risposta.

Ora precisando il concetto di misticismo in questa chiara dialettica di grazia e corresponsione Marigo mostra di compiere un passo notevole verso l’intelligenza della letteratura mistica che sta rifiorendo un po’ dappertutto nei paesi nordici nonché nelle Americhe, ma con molti slittamenti verso l’esoterismo, l’occultismo, la magia e le altre componenti dell’irrazionalismo contemporaneo. Ma il romanzo di Marigo, presentando come naturale e verosimile l’eccezione, ha fatto compiere un salto di qualità a tutta la narrativa “conventuale” degli ultimi duecento anni. Una professionale abitudine a storicizzare la contemporaneità non può evitare un paragone con Le lettere di una novizia di Piovene(1941): bellissimo romanzo ma appunto costruzione mistica al negativo, perché nell’ombra del chiostro i vari personaggi trovano non già la pace bensì il rovello della coscienza e l’emergere dei delitti mentre rimangono in un chiaro- scuro provinciale e crepuscolare le molte storie di capinere di estrazione verghiana o neorealista.

Abbiamo citato Piovene come antecedente illustre, vicentino anche lui, come lo sono Barolini e Parise e Nogara. L’ombra dì Fogazzaro si allunga per tutto il Novecento, formando una costante tematica e stilistica di sorprendente continuità, da segnalare agli storici del costume non meno che a quelli della letteratura e della poesia. Luciano Marigo si è inserito consapevolmente in questo filone di cui ha certo avvertito il fascino, ma ha preferito giocare le sue carte migliori sul crinale mistico “al positivo” inteso come risposta dell’amore umano alla grazia dell’Amore divino.

E’ indubbiamente un atto di coraggio, perché rovescia non soltanto le inquietudini sempre presenti nei territori dominati dal classicismo palladiano, ma anche quelle costruite a freddo, del troppo celebre Nome della rosa. E lo ha fatto con matura sobrietà di stile e con sicura padronanza di una tematica come quella teologica e mistica, tuttora marginale nella narrativa contemporanea pur fra le evidenti ma disordinate sollecitazioni spirituali.



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