di Marco Casula. Il 2 di settembre 1904, alla fine della mattinata, gli operai abbandonarono i pozzi e si riversarono davanti agli uffici della direzione. Lo sciopero continuò il giorno seguente, domenica. Una folla di minatori si riunì davanti alla palazzina della direzione. I dirigenti sindacali, il segretario della lega Alcibiade Battelli e Giuseppe Cavallera venuto precipitosamente da Carloforte, parlarono ai minatori invitandoli alla calma e, insieme a un funzionario inviato dalla prefettura di Cagliari, andarono a parlamentare col direttore. La trattativa si protrasse a lungo, poiché Georgiades studiava di guadagnar tempo, sapeva che da Cagliari, per sua richiesta, erano state fatte partire due compagnie di fanteria.
I soldati arrivarono alle nove del mattino a Iglesias e da qui si misero in marcia verso Buggerru. Vi giunsero alle quattro del pomeriggio, mentre nella direzione ancora si trattava, e, davanti alla folla silenziosa, si ritirarono in una costruzione (un’officina) loro assegnata come sede, e che tre operai andavano frettolosamente allestendo. Un solo soldato restò all’esterno di guardia.
Fu allora che un gruppo di operai si staccò dalla folla e, gridando, si diresse verso l’officina: chiedevano che i tre operai uscissero e si unissero a loro. D’un tratto dalla folla partì un sasso che colpì la sentinella. I soldati uscirono dall’improvvisato quartiere e affrontarono con le baionette un gruppo di minatori che tentavano di farvi irruzione. Un operaio rimase ferito, e subito dalla folla partirono grida, altre sassate. A questo punto i soldati reagirono sparando sulla folla, ancora oggi su qualche muro si vedono i segni lasciati dai proiettili. Due operai, Felice Littera e Giovanni Porcu, caddero uccisi; un terzo, Giustino Pittau, ferito in modo gravissimo, sarebbe poi morto qualche giorno più tardi; altri tre, colpiti dai proiettili, poterono essere curati nello stesso ospedale di Buggerru.
Trascorse del tempo prima che il paese, grazie anche all’intervento pacificatore di Battelli e di Cavallera, conoscesse di nuovo giorni tranquilli. Già la mattina del 7, sepolti i morti, cancellati dalla piazza i segni della battaglia e dell’eccidio, i minatori tornarono al lavoro. Sarebbero stati necessari altri scontri e altri morti perché il Parlamento disponesse un’inchiesta sulle condizioni dei lavoratori nelle miniere sarde.
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Nel primo decennio di questo secolo accadeva che anche il popolo sardo si muovesse. Si era mosso a Buggerru nel 1904, ma il risultato non era stato esaltante: la morte di tre minatori era stata il prezzo di qualche modesto miglioramento dei salari e delle condizioni lavoro. Vi era stato uno sciopero generale nazionale, il primo nella storia del nostro paese che, sostenuto da organizzazioni sindacali e politiche, le leghe operaie e le prime Camere del lavoro, il partito socialista ancora incerte, aveva avuto scarso successo. Aveva però contribuito a suscitare nuove inquietudini e nuovi fermenti di rivolta non più soltanto fra i minatori, ma anche nelle aree contadine, nel popolo minuto delle città e fra quanti, e in Sardegna non erano pochi, erano più pesantemente colpiti dal rapido aumento del costo della vita.
Gli alti prezzi erano, come sempre accade, conseguenza di processi di sviluppo contradditori che avevano favorito alcuni settori dell’economia sarda, l’industria casearia, in primo luogo, ma anche la pastorizia e la grande proprietà terriera e avevano lasciato immutati i salari. In città, a rendere più penose le condizioni dei meno abbienti, all’alto costo della vita si aggiunsero la scarsità degli alloggi e i dazi esosi. Il disagio che pesava sulla maggior parte della popolazione, non esclusa la piccola borghesia, era particolarmente grave a Cagliari, che pagava i prezzi di un’espansione rapidissima. I nuovi quartieri si erano andati dilatando sia verso ovest, verso gli stagni di Macchiareddu, sia verso est, verso le borgate del Campidano.
La città si arricchiva di nuovi edifici non privi di qualche solennità, come in via Roma, per esempio, dove era in costruzione il nuovo palazzo municipale. Il 3 settembre 1905 era stata inaugurata la Galleria Umberto I, la Passeggiata coperta. Era cresciuto con altrettanta rapidità il numero degli abitanti: erano poco più di 37.000 nel 1881 ed ora, nei primi mesi del secolo XX, erano ventimila di più. Non vi erano più case che bastassero per tutti e il livello degli affitti era altissimo. Vi erano i dazi che, affidati ad appaltatori avidi, pesavano su tutte le merci che entravano in città e ne facevano salire il prezzo. Di qui il malcontento che la Camera del lavoro, le leghe operaie, il partito socialista, facevano fatica a contenere nei limiti di un’ordinata protesta.
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