[Articolo pubblicato sulla Webzine Sul Romanzo n. 5/2012 Intellettuali e Potere]
Con l’avvento della società di massa, lo scenario è cambiato radicalmente: Pasolini fu tra i primi a denunciarlo e in modo così diretto da essere ucciso subito dopo Salò o le 120 giornate di Sodoma. L’impegno civile lo avrebbe ripagato soltanto post mortem, quando le sue analisi confermarono che la nuova generazione aveva pochi tratti in comune con le precedenti. Nonostante questo, la figura dell’intellettuale – in un Nuovo Millennio così diverso dai secoli scorsi – non può cambiare: è necessario che la matrice di fondo sia illuminista, in cui si mescolano sapere, partecipazione, rifiuto dell’autoreferenzialità e impegno per la difesa della propria indipendenza, nell’ottica di un continuo adattamento alle storie raccontate dal mondo.
I presunti intellettuali di oggi lo sono troppo o troppo poco? Tra il polo di chi non interviene nel dibattito, e dunque non osa, perché ostile ai nuovi mezzi di comunicazione – la televisione più di ogni altro –, e quello di chi lo fa in modo demagogico e sol perché concessogli da chi gestisce il mezzo, succubo, quindi, di qualcuno o qualcosa, esistono figure intermedie e cioè perfettamente intellettuali?
Non mancano (poche) risposte positive da parte di coloro che, fedeli al modello illuminista, sono riusciti ad andare oltre, senza guardare solo in superficie una società, che, in un modo o nell’altro, torna in qualsiasi tipo di narrazione con il peso dei suoi eventi; nascondersi dietro un libro non è sufficiente per conoscere la realtà, né per giustificare qualsiasi presa di posizione; questa società va vissuta, fosse soltanto per il gusto di conoscere altre storie e apprendere il modo in cui queste possono essere raccontate – sempre che di storie (vere) si tratti.
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