4 aprile 2014 • Interviste, Vetrina Cinema
Elisa Amoruso: “Vi racconto un amore che sfida tutte le convenzioni sociali”
E’ uscito nelle nostre sale Fuoristrada, il coraggioso documentario che Elisa Amoruso ha presentato al Festival Internazionale del Cinema di Roma lo scorso novembre. Fuoristrada racconta l’amore tra Pino/Beatrice, un meccanico, campione di rally, transessuale e Marianna, una donna rumena che fa da badante a sua madre. La loro è una storia d’amore a lieto fine poiché i due, malgrado tutto, riescono a sposarsi e a costruire il loro nucleo familiare di cui fa parte integrante anche Daniele, il figlio di Marianna. In occasione della presentazione di Fuoristrada al Festival Made in Italy a Londra, Elisa Amoruso ha svelato ad Oggialcinema le sue emozioni nel girare questo documentario ed i suoi progetti futuri.
Quanto è stato difficile cercare di mantenere un criterio di autenticità?
La situazione era molto particolare quindi era necessario per me e per la mia troupe mantenere un rapporto di non-distanza. Io conosco i protagonisti di questa storia da circa due anni e ho creato con loro un rapporto di fiducia, ho partecipato ai loro pranzi di famiglia e li ho frequentati molto spesso. Se non ci fossimo conosciuti così a fondo, se non si fossero fidati di me e delle mie intenzioni, sarebbe stato difficile mantenere questo livello di sincerità. Fare un’intervista con me per loro era diventato quasi come fare una chiacchierata con un’amica.
C’è stato qualche momento in cui all’inizio si è sentita un pochino intrusiva?
Io sono stata di proposito particolarmente intrusiva. Pino ha spesso sottolineato durante gli incontri con la stampa o con il pubblico quanto io sia stata assillante. Ciò che ho colto fin dall’inizio e che mi ha motivata a proseguire questo progetto è stato il loro bisogno di avere qualcuno dall’esterno che gli riconoscesse l’ autenticità del loro amore, delle loro vite. Vista la dimensione surreale delle loro vita, i loro valori sono stati facilmente fraintesi. Ho raccontato questa realtà così complessa e difficile da accettare per la società cercando di instaurare un legame tra chi raccontava la storia e chi la guardava.
Che tipo di risposta avete avuto dal pubblico finora?
Tutte le persone che hanno visto il mio documentario, anche quelle mentalmente più chiuse, più anziane, sono rimaste colpite da questa storia. Credo che questo sia avvenuto grazie alla chiave emotiva con cui ho deciso di raccontare le loro vite, parlando al cuore delle persone, senza pregiudizi. Mio padre è una delle persone più conservatrici che io conosca eppure, nonostante le perplessità iniziali, dopo averlo visto si è commosso.
Avete descritto questo film come “una storia non convenzionale in un paese convenzionale”, che cosa intende lei per “convenzionale”?
Questa storia che mi ha colpito subito per la sua originalità. In Italia un transessuale è quasi sempre una prostituta, al massimo una parrucchiera o una ballerina, raramente fa il meccanico e il pilota di rally. Pino/Beatrice già di per sé rappresenta una novità. Lui non è convenzionale perché non si adatta al ruolo che la società arbitrariamente affida alle persone che decidono di cambiare sesso. L’aspetto più sconvolgente e anticonvenzionale della sua storia è che una donna qualsiasi, che prima faceva la badante a sua madre e non aveva mai visto un transessuale in vita sua perché viene da un paesino rurale della Romania, lo abbia visto e se ne sia innamorata incondizionatamente.
Quanto è lontana l’Italia da un modello di integrazione come quello britannico?
L’Italia è un paese in cui si stenta ancora ad avere una società multietnica, a riconoscere parità di diritti agli omosessuali e alle coppie di fatto. Tutto ciò che avviene al di là del matrimonio viene ancora visto come qualcosa di condannabile. Quando Beatrice e Marianna sono andate, entrambe vestite da donna, davanti al sindaco per sposarsi, quest’ultimo che ha fatto molta resistenza fino a che, dinanzi al documento, che indicava Pino come un uomo, è stato costretto a cedere. Nella lotta del sindaco c’è un paese convenzionale che tenta di resistere all’accettazione della diversità.
Beatrice e Marianna sembrano due personaggi del documentario Sacro GRA di Francesco Rosi.
A me è piaciuto moltissimo Sacro GRA. La cosa che ho apprezzato di più è che, di una città apparentemente convenzionale come Roma, Rosi sia andato a ricercare dei personaggi che avessero delle storie così singolari. Pino e Marianna avrebbe sicuramente potuto far parte di quel documentario. La differenza tra il mio e il suo lavoro è che, mentre lui ha scelto di raccontare le storie di queste persone senza entrare nelle loro vite, con un’idea di regia e messa in scena molto più forti, solo a tratti emotiva, io ho scelto un approccio completamente opposto. Per far accettare questa storia dal pubblico dovevo entrarci dentro, per far sentire lo spettatore come mi sono sentita io quando sono andata a casa loro la prima volta ovvero accolta in un universo che non è poi così estraneo, ma pieno di gioia e di allegria.
Che tipo di ruolo ha il figlio di Marianna all’interno del loro nucleo familiare?
Daniele ha fatto sì che da coppia loro diventassero a tutti gli effetti una famiglia. Pino, che spesso di definisce ‘semi donna’ si è trovato a dover gestire un ragazzo che era già problematico quando è arrivato dalla Romania a 8 anni, perché i suoi rapporti con il padre naturale non erano idilliaci ma piuttosto diseducativi e violenti. Pino è stato quasi costretto a diventare padre e questo è stato un altro grande cambiamento per lui da affrontare perché lui ha una figlia con cui ha un rapporto molto conflittuale.
I documentari stanno finalmente affermando la propria importanza in Italia. Possono assumere un determinato valore civile, secondo lei?
Questa è la ragione per cui ho realizzato il mio documentario. Ho pensato che una storia del genere doveva essere raccontata. E’ stato un piccolo film che abbiamo realizzato con pochissimi mezzi perché io e la mia troupe eravamo sicuri che la storia di Pino e Marianna, se raccontata bene, avrebbe potuto aprire gli occhi di tante persone.
Quali sono i suoi progetti futuri?
Sto lavorando ad un progetto di fiction, scritto da me, per cui ho ottenuto un finanziamento dal ministero italiano. Si tratta di una co-produzione con la Polonia e sono due storie d’amore messe alla prova da barriere culturali ed integrazione mancata tra una ragazza polacca ed un ragazzo egiziano a Roma. Prevediamo di cominciare a girare entro fine anno. Sono contenta perché era un progetto che avevo da diversi anni e che adesso sembra che stia iniziando a vedere la luce.
di Rosa Maiuccaro per Oggialcinema.net
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