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Non è facile comprendere la scelta del settimanale diretto da Giorgio Mulè di raccontare in questo modo i primi cento giorni da premier di Monti. Stare al passo con i tempi? Rendere la carta stampata più simile al web? Non è dato saperlo. Quello che sappiamo con certezza, invece, è che Twitter ha davvero contagiato tutti, compresi giornalisti e operatori dell’informazione a vario titolo. Mettiamola così: Facebook resta ad oggi il social network più diffuso, ma Twitter è quello più influente. Anche il Papa è approdato su Twitter, per dire.
Diversi politici lo utilizzano per esprimere i propri pareri su issues e temi più in voga. Tanto da chiedersi se non si perda l’esclusività di certe affermazioni. Sovente, infatti, capita di imbattersi in articoli che altro non sono che una ricostruzione in chiave giornalistica dei tweet di esponenti di partito o di governo. Verrebbe meno lo “status” dell’intervista, a una lettura superficiale del fenomeno, poiché tutte le ipotetiche risposte sono già lì, a portata di mano. In verità Twitter offre nuovi stimoli. Sta all’intervistatore incalzare il personaggio di turno sugli argomenti più scomodi o ostentare una maggiore originalità nella formulazione delle domande (che tradotto vuol dire ricercare un più efficace modello di approfondimento). Ma ciò è vero nel momento in cui si decide di mirare all’eccellenza, altrimenti il rischio che si corre è quello di un’informazione impigrita.
Prendiamo i tweet di Monti su Panorama (che peraltro reali tweet non sono). I temi affrontati dal premier affrontano diverse tematiche, suddivise per capitoli. Si passa dalla politica interna a quella estera, dalle riforme alle difficoltà, dalle emozioni al futuro. E ad ogni voce non si aggiunge molto di più di quanto già non si sappia. “Stiamo riuscendo a togliere l’Italia dalla zona d’ombra. Da origine del problema possiamo diventare la soluzione”, scrive ad esempio il presidente del Consiglio. O ancora: “La riduzione del debito pubblico è vitale e ogni deviazione può fare sprofondare l’Italia nell’abisso. La Grecia è vicina e ci dà una visione di ciò che può succedere”. Sulle riforme: “Non diremo mai ‘è colpa dell’Europa’. Le riforme difficili che dobbiamo attuare sono necessarie per migliorare la vita economica, sociale e civile dei cittadini”. E sull’articolo 18: “Nessuno del governo è alla caccia di simboli da usare come trofei per dimostrare che stiamo cambiando l’Italia”. Insomma, tutte affermazioni che abbiamo avuto modo di ascoltare o di apprendere in precedenti occasioni. Nulla di nuovo, a parte il momento in cui Monti si confessa e racconta della prima volta che ha parlato in Senato: “Quando ho scoperto che forse potevo farcela. Per me non era una cosa così scontata”.
Va bene sembrare innovativi (che è ben altra cosa dall’esserlo), ma in questo caso un’intervista con tutti i crismi non sarebbe stata più opportuna?
(anche su T-Mag)
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