Di buon mattino abbiamo sbattuto il naso, ancora indolenzito dall’iperattività aspiratoria della notte, contro l’intervista post-arresto-pre-iniziodeltour di Mannarino, rovinandoci irrimediabilmente la giornata. E a prescindere dal risultato di Italia – Uruguay, vogliamo rovinarla anche a voi.
**“M’hanno preso pure le impronte digitali”. Alessandro Mannarino scuote la testa. Nelle sue canzoni, bellissime, racconta la vita degli arrabbiati, i carcerati e le guardie, i disillusi. Pochi giorni fa è diventato protagonista di uno dei suoi brani, è stato arrestato a Ostia per resistenza a pubblico ufficiale dopo una rissa. È seduto al bar a due passi dallo studio dove prova con i musicisti. È uscito il terzo album Al monte e il 3 luglio parte da Villafranca di Verona per un tour che durerà tutta l’estate.
Notate la bellezza del passaggio semantico tra la resistenza a pubblico ufficiale e l’uscita del terzo album con il conseguente tour: pura poesia.
Mannarino, che è successo quella sera a Ostia?
“Mia sorella per i 18 anni aveva organizzato una festa hawaiana al mare. Mentre siamo andati a prenotare un albergo, perché era tardi, era già successo tutto. Erano arrivati ‘sti ragazzi che volevano imbucarsi ed è scoppiata la rissa. Era già intervenuta la polizia, sembrava tutto tranquillo. Mi è dispiaciuto leggere sui giornali certe cose. Quella frase: “Lei non sa chi sono io” non l’ho mai detta, li ho mandati a fare in c… i poliziotti, questo sì”.
Tre cose da sottolineare: 1. Una festa hawaiana al mare. A Ostia. Poi dici. 2. Putacaso ti fosse scappata quella frase “Lei non sa chi sono io” e putacaso uno dei poliziotti ti riconosceva “ah tu sei Mannarino, quello delle canzoni di merda”, poi questa bellissima intervista ce la rilasciavi dalla terapia intensiva. 3. Hai mandato a fare in culo i poliziotti e ti senti un cazzo di ribelle, Mannarino, questo lo capiamo, ma la vita non è una canzone dei Modena City Ramblers, quindi se mandi a fare in culo un poliziotto, questo poi ti apre il cranio, e se questo capita a te, noi siamo felici.
Ha esagerato anche lei.
“Quelli che ci hanno aggredito avevano dato un cazzotto alla mia ragazza, la volevo vedere. Ma “Lei non sa chi non sono io” non lo dico, poi sapevano benissimo chi ero. Mentre parlavo con gli agenti ho sentito le urla della mia ragazza, mio fratello era a terra. Mi sono messo a correre e mi hanno afferrato. Sono finito in auto ammanettato, uno di questi teppisti mi guardava: “Mannarì sei finito, mo’ lo vedi che fine fa la ragazza tua” (fa il segno di un coltello che taglia la gola, ndr). Perché hanno trattato me come un criminale?”.
Correre, coltelli, gola, manette, criminale: Mannarino, riprenditi, santa Madonna, non sei in un film di Nicolas Winding Refn e tu non sei Ryan Gosling. Quindi il consiglio è questo: meno canne la sera, che c’hai 40 anni, e ti suggestioni. “Sapevano benissimo chi ero“? Ma chi? Chi cazzo ti conosce Mannarino? Ah, poi tu sì, sei un criminale, perché quelle canzoni di merda che scrivi sono da reato, Mannarino. Bacetto.
Già, perché è stato ammanettato?
“Sono scappato quando mi avevano detto di stare fermo, ma solo per vedere che era successo alla mia ragazza. È vero che gliene ho dette di tutti i colori quando ero in macchina, ma ero fuori di me. Gli ho urlato: questa cosa ve la farò pagare, la mia ragazza è ferita - ha ancora un occhio nero, ha paura di uscire di casa – non ne chiamo uno di avvocati ma dieci. Per una cosa così poi ti trovi in un tribunale, le cose che scrivevo le stavo vivendo, vedo addosso a me come funziona, ma non ho fatto niente: la mia verità è quella di dieci, dodici persone che hanno visto tutto”.
Mannarino la tua ragazza ha paura di uscire di casa semplicemente perché tu sei il suo ragazzo. È normale. E poi cosa cazzo chiami 10 avvocati, chi cazzo sei O.J. Simpson? Ti meriti un altro bacetto.
È una vicenda che lascia il segno.
“Sto pensando al tour, sarà la mia risposta, la cosa in sé mi è dispiaciuta, ma mi è dispiaciuto di più per com’è stata ricostruita: costruendo lo stereotipo dello scemo che si è montato la testa, beve e dice: ‘Lei non sa chi sono io’. Per fortuna chi mi conosce e ascolta le mie canzoni, non ha creduto a una parola”.
Sto pensando al tour sarà la mia risposta. Sto pensando al tour sarà la mia risposta. Che cazzo di risposta è? Eroe! Non vediamo l’ora! Racconta dal palco alla gente cosa ti hanno fatto gli sbirri cattivi, proprio come Jim Morrison a New Haven nel ’67.
Dal Bar della rabbia a Supersantos fino all’ultimo disco Al monte, si è imposto con le sue canzoni che sono poesie del quotidiano.
“Sono cresciuto con De André, nelle canzoni è vero, c’è un velo di tristezza ma anche il senso del riscatto, il valore dell’essere umano, la certezza di una possibilità di vita diversa da questa”.
Bingo! Quanto cazzo ci hai messo, Mannarino, a citare De André! Perdi colpi, ma ti meriti un bacettino.
E c’è sempre la rabbia.
“È la rabbia di chi vede che le cose girano al contrario. Mio nonno faceva la staffetta dei partigiani, teneva le armi sotto casa, è stato un lottatore, la sua è una generazione di combattenti, noi ci siamo fatti togliere tutto. Da piccolo mi leggeva Trilussa e mi raccontava in romanesco I Miserabili, la Tosca, Jack London, Hemingway. Mi ha aperto un mondo”.
Qui porti a casa il Jackpot con nonno, partigiani e armi. Ti sei dimenticato Pasolini. Carezzina sul visino.
In una sua canzone, Scendi giù, scrive : “Il detenuto è come un figlio da educare, perché abbassi sempre gli occhi della sfida”.
“Lo Stato ha un atteggiamento paternalista nei confronti dei poveracci, degli ignoranti, mai nei confronti della classe dirigente. Il piccolo detenuto viene preso dallo Stato come ‘il figlio ribelle’, con la sua rabbia non deve dire al padre: ‘Non ti riconosco come autorità’, ma abbassare gli occhi. Per questo canto in un verso: ‘… del figlio che non riconosce il padre faremo un morto che non riconosca l’omicida’”.
In poche righe scomodi concetti che Montesquieu te la deve sucare forte, soprattutto perché a quei tempi non si usavano cappelli così di merda come il tuo. Cattivello.
L’ha dedicata a Stefano Cucchi?
“A lui e ai tanti Stefano Cucchi. Se penso a certe cose mi verrebbe voglia di mettere le bombe. Per carità non lo farei mai: dopo la lezioni degli anni 70 è meglio di no. La vera ribellione è quella delle idee che sono contagiose, e quindi come dice la mia canzone: ‘Il mondo non cambia spesso, la vera rivoluzione è cambiare te stesso’”.
Che abbia inizio il rodeo amici: dopo De André, i partigiani, la separazione dei poteri, la lotta armata, Renato Curcio, Cesare Beccaria, arriva il turno del povero Stefano Cucchi. E trovi anche il coraggio (stima infinita per questo) di citare una tua canzone. Dove parli, chiaramente, di rivoluzione. Non sei uno stupidello tu. Bello & Bravo sei.
Lei com’è cambiato?
“Sono cresciuto a San Basilio, mi madre si raccomandava: dì che abiti tra la Nomentana e la Tiburtina, dire San Basilio a Roma significava già partire dal posto sbagliato. Ma non puoi vergognarti del quartiere da dove vieni. Ho studiato al liceo classico, poi mi sono laureato in Lettere, Antropologia. La cultura mi ha aiutato tantissimo a uscire dal ghetto, dei miei amici d’infanzia sono pochi quelli che sono usciti da questa realtà perché lo Stato è organizzato in un certo modo, anche la scuola perpetua la distinzione delle classi sociali, c’è la serie A e la serie B, ma la cultura ti riscatta”.
Questo è il momento in cui parli del ghetto, della redenzione e della vendetta. Non ti sei riscattato con le armi, ma con la cultura, tipo Antonio Cassano. Ah, notevole la metafora calcistica, da te ce l’aspettavamo in effetti. Più bello che bravo.
Che rapporto ha con la politica?
“Sto sul cavolo a gran parte della sinistra che è elitaria e non vuole condividere. La sinistra assistenzialista radical chic sotto sotto non ci crede che gli uomini siano tutti uguali, parliamoci chiaro: a quelli il coatto con la canottierina e il tatuaggio non gli piace”.
Qui c’è la sindrome da accerchiamento. Tutti ce l’hanno con te ché sei un ribelle. Dio ti deve fulminare Mannarino, però non devi morire subito, ovviamente. E poi, la canottierina, la canottierina cristo di dio. Carezza sulla gamba.
Le piace Renzi?
“Il problema non è Renzi, è il sistema in cui si muove: siamo sinceri, ancora vogliamo credere alla favoletta che Renzi può decidere qualcosa? Può fare alleanze con l’estero, può eseguire gli ordini, ma non credo che questo paese abbia una sovranità nazionale, le bandiere servono per le Olimpiadi e i Mondiali. Non mi piace il capo di un governo di sinistra che durante gli sgomberi permette che venga manganellata la gente senza reddito”.
Qui mi sei diventato metà Giovanni Sartori metà Alexis de Tocqueville ma con la bellezza e la spigliatezza che ce la devono sucare nuovamente tutti. Ah, gli sgomberi. Sì, bravo, che ancora non li avevi nominati.
Nell’Impero scrive che “certe botte non lasciano i segni”.
“Oltre alla violenza fisica ci sono le botte all’anima che non si vedono fuori, le umiliazioni. Il disco è figlio di questi anni che ho vissuto, ho sentito gente distrutta perché si era indebitata, perché era finita nelle mani degli strozzini, quelle sono le botte che non lasciano segni esteriori ma ti uccidono. Gli esseri umani si realizzano nella se hanno un piccolo sogno da portare avanti, le speculazioni finanziarie riducono le persone a non avere più una dignità e sono peggio di una guerra. Le sembra normale che la felicità e l’infelicità delle persone debba corrispondere alle freccette dei numeri della Borsa? Per questo dico che a me quello di Renzi sembra un modello feudale, con i vassalli, i valvassori e i valvassini”.
“Impero” sarebbe la versione musicata di “Empire” di Toni Negri immaginiamo. Ma poi, quali anni hai vissuto Mannarino che sei un bimbo. Hai sentito gente, ma come parli, come cazzo parli cristo santo. Notevole l’attacco a Wall Street nel finale, perché non c’è bellezza senza consapevolezza delle finanze. Bacetto e calcetto.
Però canta l’amore come unica speranza.
“Perché l’amore, quello vero, anarchico, è l’unica salvezza. Sovverte la mediocrità, gli innamorati possono fare la rivoluzione, se non hai un amore libero e forte non troverai mai la forza di fare niente. Oggi cancelliamo l’amore finito, puliamo l’hard disk per non soffrire, cancelliamo tutto. Poi quel dolore riaffiora anche se versi via il profumo del primo appuntamento perché è il primo amore, è il tuo nome, tu prendi quel profumo, lo versi e sei già morto”.
Puliamo l’hard disk per non soffrire. Puliamo l’hard disk per non soffire. Mannarino, noi ti veniamo a prendere sotto casa, santo sia il Signore iddio dell’universo. Bacetto sulla fronte.
A 35 anni continua a essere duro e puro, ma oggi il successo, i premi, gli stadi e teatri pieni che impressione le fanno?
“La prima volta che sono andato dalla Dandini feci una battuta: voglio morire povero. C’è stato un momento della mia vita quando soffrivo tanto – avevo 28 anni, ero laureato, non c’avevo una lira, facevo il manovale, avevo lavorato da McDonald’s – in cui pensavo: o mi trovo un lavoretto e smetto di cantare nei locali o mi metto l’anima in pace, canterò sotto i ponti ma lo devo accettare. Poi una sera mi sono detto: l’accetto. La passione per la musica era troppo forte. Oggi vivo con la musica, ho avuto la percezione che adesso la strada è diventata una responsabilità, è nata una cosa così bella, lo vedo ai live, quando parlavo con i ragazzi che sono venuti alla Feltrinelli. Non mi posso permettere di uscire sui giornali come un rissaiolo ubriaco, non lo sono”.
Duro e puro. Ma perché noi dobbiamo morire pazzi non tu. Noi. Poi, che cazzo di battuta è “voglio morire povero”, ti sei dimenticato un particolare: “voglio morire povero coglione”, così aveva un senso. Scherziamo eh, lo sai che ti vogliamo bene come fossi figlio nostro.
Vuole sempre morire povero?
“Sono andato via di casa a 25 anni, senza aiuti, quando i miei mi sono venuti a trovare mia madre si è messa a piangere, stavo sulla Casilina in un posto che faceva paura. Ho un’empatia con chi è ai margini, sento l’anima delle persone, sto bene con la gente, sono sempre curioso degli altri, anche se non conosco una persona mi ci metto a parlare, parlo con quelli della stazione e li capisco. Ho la fortuna di aver viaggiato, sono stato tra i poveri delle favelas, nei peggio posti non ho mai avuto paura, mi sento di appartenere di più a loro che a quello che può essere derubato. Penso che la gente accumuli soldi perché ha paura di morire, io sto navigando nella vita”.
25 anni Mannarino. Sei andato via di casa a 25 cazzo di anni, quando la maggior parte dei tuoi coetanei era già andata via da 8 di anni. Poi forse qui sputi la frase più bella, la somma di tutte le somme. L’anima delle persone, i poveri della favelas (chapeau), i peggio posti (sì, sì), ANCHE SE NON CONOSCO UNA PERSONA MI CI METTO A PARLARE. Genio. Genio cazzo, genio.
L'articolo L’intervista del cattivello Mannarino è ovviamente opera di Frankezze.