5 marzo 2014 • Interviste, Vetrina Cinema
Gianni Amelio: “Auguro ai giovani omosessuali di avere coscienza del loro amore”
Solo qualche mese fa Gianni Amelio ha fatto outing dichiarando la sua omosessualità e, in un Paese come il nostro, dove questo fa ancora notizia, le sue osservazioni non sono di certo passate inosservate. Il regista sessantanovenne ha dichiarato in un’intervista a Repubblica: “Sono gay. Ma il vero outing lo vorrei da chi froda il fisco, da chi si arricchisce con la politica”. Alla Berlinale, nella sezione Panorama, Gianni Amelio ha spiegato i motivi della sua scelta, nel modo in cui sa fare meglio, ovvero dietro la macchina da presa. Il suo ultimo lavoro è un documentario, si chiama Felice chi è diverso e tratta il rapporto tra gli omosessualità e la società italiana nella seconda metà del Novecento.
Oggialcinema ha intervistato Gianni Amelio in occasione della presentazione del suo documentario
A quando risale questo progetto?
Due anni fa alla Mostra del Cinema di Venezia Cinecittà Luce mi parlò del progetto di realizzare tre documentari, uno da affidare a Ettore Scola, l’altro a Ermanno Olmi ed uno a me. Mi chiesero che idea avevo in mente e io dissi che mi sarebbe piaciuto fare una sorta di resoconto di come l’omosessualità è stata vista dai media italiani lungo il secolo scorso. Approvarono immediatamente la mia idea e a me è toccato solo fare delle ricerche molto lunghe per le quali mi sono avvalso dell’aiuto di Francesco Costabile del Centro Sperimentale.
Secondo quali criteri ha scelto le storie da raccontare?
E’ stato difficile trovare delle belle storie che potessero supplire alla mancanza del materiale di repertorio, che non è in abbondanza su questo argomento. Per me questa è stata una scoperta negativa perché io credevo che soltanto durante il fascismo ci fosse stata una censura mentre ho capito che questo insabbiamento è continuato addirittura fino agli anni Settanta, quando sull’onda di certe tendenze americane, l’omosessualità è stata trattata in modo meno offensivo rispetto a come ci avevano abituati i giornali di destra e mi riferisco in particolar modo a Il Borghese e Lo Specchio. Erano i due settimanali che almeno ogni numero contenevano un attacco indiretto a qualcuno che era ritenuto omosessuale e che spingevano in una trappola mediatica.
Che cosa la infastidiva maggiormente all’epoca?
Per me era agghiacciate l’uso del linguaggio dei media, ci si riferiva agli omosessuali come ai cosiddetti “invertiti”. Poi c’è stato un periodo di “capovolto” per poi proseguire con “finocchio-occhiofino”. Oggi certe espressioni non sarebbero neanche notate ma credo che esista un modo più subdolo per colpire determinati obiettivi. Detesto la parola “gay” perché ha tolto alla diversità il suo valore. Vorrei che non ci fosse una parola come questa a cementificare il pregiudizio. Al cinema il termine è entrato nell’uso comune sul finire degli anni Sessanta, mentre prima era impensabile. Sulla falsariga di Schubert, il popolare sarto delle dive, nel cinema italiano proliferavano le immagini dell’omosessuale sarto.
Come si viveva l’omosessualità?
Il non pronunciare la parola “frocio” proteggeva ed aiutava ad esserlo, in qualche modo. Alcuni continuano a sostenere in parole brevi che “si stava meglio quando si stava peggio” poiché dalla rivoluzione sessuale in poi la situazione è diventata più insostenibile per gli omosessuali. Io trovo che chi ragiona così in realtà si riferisce all’omosessualità ma non all’omo-affettività che credo sia il punto centrale. Per molto tempo l’omosessualità è stata intesa come un rapporto di una notte e via, atteggiamento superficiale ritenuto offensivo se riferito agli eterosessuali. Perché mai un omosessuale dovrebbe vivere così? Io credo che conti molto l’ambito sociale in cui uno cresce e vive. Ad esempio nel mondo dello spettacolo essere omosessuali è quasi un’agevolazione.
Per un insegnante di provincia è diverso poiché vi sono delle realtà in cui c’è chi confonde addirittura l’omosessualità con la pedofilia, Putin docet!
Che mezzi ha avuto per realizzare questo documentario?
Non voglio parlare della cifra, perché se la dico ci vergogniamo tutti. Mi limito a dire che non potevo permettermi di fare una retata di persone in giro per l’Italia e poi scegliere il montaggio. Il film è stato girato in 48 ore complessive. Attraverso amici di amici e con l’aiuto dell’arcigay abbiamo scelto delle persone che avessero una fascia di età compresa tra i 75 e i 95 anni e fossero disponibili a raccontarci le loro storie. Le storie sono 19/20 e ne ho lasciate fuori solo due che compariranno nelle versione homevideo. Raccontano tutti esperienze differenti ma ciascuno di loro è rappresentante dell’universalità del tema.
In che cosa consiste la diversità?
Trovo che sia un’insensatezza generalizzare sui rapporti tra due uomini, tra un uomo e una donna o tra due donne. Ma se mettiamo da parte il sesso e parliamo di affettività allora credo davvero che siamo tutti uguali. Vorrei evitare che si facessero documentari come questo. La mia più grande ambizione era non doverlo fare. Nel mio documentario c’è addirittura una persona di nome Glauco che sostiene che solo una disgrazia più grande come quella di essere rimasto orfano da bambino, gli ha dato la fortuna di non dover confessare ai propri genitori la propria omosessualità.
In che modo un film come questo può entrare nel dibattito?
Spero che possa essere un atto politico. E’ chiaro che il mio coinvolgimento personale è così profondo che l’atto politico si trasforma in solidarietà. Credo che questo sia un valore aggiunto. Ho scavato nella vita di queste persone come se scavassi dentro di me e, le confesso, ci sono stati dei momenti emotivamente intollerabili. Sono contento che con Papa Francesco si sia finalmente aperto il dibattito, prima di lui si sentivano delle cose spaventose, anche dalla bocca del papa precedente, che interveniva almeno una volta al mese in modo molto duro sull’argomento.
Conclude il suo documentario con un ragazzo giovane che rappresenta il futuro, lei come lo vede questo futuro?
Volevo che non ci fosse l’impressione di uno studio archeologico sull’argomento ma che quelle persone avessero la possibilità di parlare per darne l’occasione a delle altre. Mi hanno proposto di mescolare storie di giovani e anziani ma non credevo fosse opportuno. Tuttavia avvertivo l’esigenza di un ponte tra passato, presente e futuro ed è stato difficilissimo trovare un ragazzo giovane che non fosse esibizionista. Oggigiorno su internet si trova di tutto anche molto di finto e superficiale. Questo è un pericolo che i giovani omosessuali corrono ovvero quello di vivere un’apparente libertà. L’omosessuale oggi deve combattere non solo per farsi accettare ma per imparare ad amare una persona dell’altro sesso. Prima ancora di aspirare al matrimonio, dovrebbero sperimentare quella che io chiamo omo-affettività ovvero vivere insieme e scambiarsi amore. Come conclude Pasolini Comizi d’amore indirizzandosi alla giovane coppia di novelli sposi: “Io vi auguro di unire al vostro amore, la coscienza del vostro amore.”
- La recensione di Felice chi è diverso
- La scheda film di Felice chi è diverso
di Rosa Maiuccaro per Oggialcinema.net
Felice chi è diversoGianni Amelio